Paolo Savona: Cara Ue, cosa fai per far uscire l’Europa (e l’Italia) dalla crisi?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Paolo Savona
Fonte: Milano Finanza

La percezione prevalente sembra essere che il Governo sta cercando una strada comoda per evitare il rispetto delle regole e comprare consenso. La realtà è che i cittadini italiani hanno fiducia nell’euro, e si aspettano che il Governo e l’Unione agiscano per risolvere i problemi che essi hanno. Il Governo sta facendo la sua parte. La speranza è che l’Unione europea faccia la propria. Questa è l’opinione del ministro degli Affari europei, Paolo Savona

di Paolo Savona – 21 novembre 2018

Il 57% degli italiani ritiene che l’euro sia conveniente, il 30% che non lo sia. Il risultato, che verrà pubblicato oggi da Eurobarometro, è sorprendente se si pensa a quanto riportato da molta informazione in Italia, e lo è ancora di più se si considera che la fiducia nella moneta unica è in aumento di dodici punti rispetto al 2017, e la sfiducia in essa è diminuita del 10% nello stesso periodo.

Parto da questa notizia per sottolineare la differenza tra percezione e realtà, che oggi è più importante che mai. L’Italia è un Paese solido, lavora e produce, esporta, ha risparmio in eccesso che cede all’estero, ma non riesce a crescere, perché una parte significativa della nostra economia ristagna, e ha livelli di produttività lontani dagli standard europei. A causa di questo, disoccupazione giovanile e povertà hanno raggiunto livelli non accettabili. La diagnosi del Governo è che per sbloccare la situazione ci sia bisogno di sostenere la domanda aggregata, partendo dai consumi per colpire povertà e disoccupazione, e proseguendo con gli investimenti, che sono la chiave per migliorare la produttività.

Eurointelligence, una newsletter diretta dall’autorevole editorialista Wolfang Munchau, sostiene che non vi sia spazio nell’UE per una politica keynesiana, ma ignora che in Italia esiste la condizione di base per attuarla, ossia un ingente risparmio inutilizzato. Ricorda inoltre che una moneta comune non può affrontare le singole esigenze nazionali, ma anche in questo caso ignora che la natura non ottimale dell’euroarea richiede una politica fiscale correttiva, un ben noto punto di debolezza dell’Eurozona. Il problema da risolvere è quindi la contraddizione tra la giusta interpretazione di Munchau, che non vi sia attitudine nell’Unione a intraprendere politiche keynesiane, e la realtà da affrontare, che mina la stabilità dell’euro e dello stesso mercato comune.

Le proposte di riforma dell’eurozona oggi sul tavolo dell’Unione sono molto limitate, sia nell’ambizione che nei possibili effetti; e quella presentata dalla Francia e dalla Germania in questi giorni per un futuro bilancio dell’area dell’euro non affronta la contraddizione indicata, come invece fa il documento da me inviato per conto del Governo a Bruxelles e Francoforte intitolato Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa. Quando si conosceranno i dettagli della proposta franco-tedesca si potrà verificare se essa contiene elementi complementari a quella italiana, e può esservi una convergenza tra le istanze di stabilità finanziaria rappresentate dai due parametri fiscali e quelle di aumento del saggio di crescita europeo ottenibile solo con impulsi esogeni, preferibilmente investimenti liberi da condizionamenti fiscali.

Gli impulsi esogeni non possono aspettare le pur necessarie riforme, perché la caduta attesa del Pil reale si presenta più grave del previsto, sommando problemi congiunturali a quelli strutturali dell’Ue. Per l’Italia un tale impulso non può provenire dall’interno del suo mercato, né dal rispetto degli impegni presi dal precedente Governo per il deficit pubblico strutturale e il rapporto debito/Pil, pur senza negare la rilevanza di quegli impegni. Concordo con il collega Tria che, se lo facessimo, sarebbe «un suicidio», con gravi effetti negativi indotti sull’Unione Europea.

Molto difficilmente potrà esserci una correzione di rotta da parte dell’Unione se essa viene osteggiata per prima dall’interno dell’Italia, come sta avvenendo, o se prevale l’interpretazione neocapitalistica che non è più tempo di politiche keynesiane. Il dialogo si afferma se si manifesta una comune volontà di dare una risposta civile alle tre necessità impellenti del Paese: la caduta inaccettabile di una crescita già bassa, la disoccupazione elevata e la povertà diffusa in una società benestante. La strada intrapresa, attualmente sotto esame in Parlamento è l’unica scelta possibile, purché venga integrata dal rilancio degli investimenti pubblici, per il quale il Governo sta lavorando, e di quelli privati, che necessita una proficua collaborazione con gli imprenditori.

L’Unione europea ha gli strumenti, e spero anche la saggezza, per tenere conto della situazione reale in cui l’Italia si trova. L’Italia non può e non vuole negare l’esistenza di regole che essa stessa ha contribuito a stabilire. Allo stesso tempo, l’Unione deve essere consapevole che negare l’esistenza di un problema, e imporre il rispetto delle regole senza tenere conto di quel problema, non può essere la strada. La percezione prevalente sembra essere che il Governo sta cercando una strada comoda per evitare il rispetto delle regole e comprare consenso. La realtà è che i cittadini italiani hanno fiducia nell’euro, e si aspettano che il Governo e l’Unione agiscano per risolvere i problemi che essi hanno. Il Governo sta facendo la sua parte. La speranza è che l’Unione europea faccia la propria.

(articolo pubblicato su Mf/Milano Finanza)

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