Fonte: il Sole 24 ore
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di Marta Fana* 31 marzo 2016
Quello che il rapporto sui voucher non dice
Il rapporto del ministero del Lavoro e dell’Inps sull’uso dei voucher pubblicato oggi approfondisce parzialmente alcuni temi e questioni sollevate nel corso dei mesi sulla progressiva, e inarrestabile, diffusione di questo strumento di regolazione delle prestazioni di lavoro occasionali.
Eravamo rimasti al numero di voucher venduti nel 2015: 114.921.574. Oggi sappiamo che i lavoratori che hanno ricevuto almeno un voucher sono 1.392.906, erano 24.437 nel 2008, anno di introduzione dei voucher per alcune attività legate al settore dell’agricoltura. Poco più della metà sono donne, mentre nella distribuzione anagrafica continua l’ascesa degli under 25 interessati dal lavoro accessorio: rappresentavano poco più del 15% nel 2008, mentre a fine 2015 costituiscono il 31% dei percettori di voucher. Inoltre, l’importo medio percepito nell’anno dai più giovani voucheristi è di 554 euro contro i 700 degli over 65, che rappresentano solo il 3,9 percento dei percettori. Da questo primo dettaglio non è tuttavia possibile capire se il minor reddito dei giovani dipenda da un minore ammontare di ore lavorate per prestazioni occasionali oppure perché soggetti più frequentemente a lavoro irregolare.
Un dettaglio necessario, che purtroppo manca e rende difficile non soltanto la comprensione del fenomeno ma in un certo senso indebolisce “l’intenzione e la volontà del Governo e del ministero di combattere ogni forma di illegalità e di precarietà nel mercato del lavoro e di colpire tutti i comportamenti che sfruttano il lavoro ed alterano una corretta concorrenza tra le imprese”. Scorrendo gli ulteriori approfondimenti presenti nel breve rapporto, è evidente che lo sforzo sin qui fatto da Lavoro e Inps è solo parziale.
Sempre più spesso ci si è chiesti se l’esplosione dei voucher fosse o meno legata a un effetto di sostituzione di precedenti rapporti di lavoro. Ebbene, secondo il rapporto, nel 2015 il 7,9 % dei lavoratori retribuiti con voucher aveva avuto, nei tre mesi precedenti la prestazione, un rapporto di lavoro con lo stesso datore; la percentuale sale al 10,0 % se si prende a riferimento un periodo di sei mesi, oltre centomila lavoratori, di cui 10.000 ex co.co.pro e circa 300.000 ex lavoratori dipendenti. Questi si distribuiscono nei settori che più fanno ricorso al sistema dei voucher: turismo, commercio e le non definite “altre attività”.
Le argomentazioni contenute nel rapporto provano a sdrammatizzare il dato affermando che “è dunque difficile ipotizzare che il lavoro accessorio abbia rappresentato un’alternativa ad altre forme di inquadramento, se non per quanto attiene al comparto turistico per prestazioni che potrebbero essere state precedentemente realizzate mediante ricorso al contratto a chiamata”. Un’affermazione che sembra depistare, dal momento che sono coinvolti lavoratori occupati nei servizi, nel commercio e nelle “altre attività”.
Per comprendere realmente quanto avvenuto a questi lavoratori, sarebbe necessario accedere ai dati relativi alla distribuzione delle sostituzioni per settore di attività unitamente a quelle contrattuali: come si distribuiscono per settori le trasformazioni che hanno coinvolto i co.co.pro e i lavoratori dipendenti?
Ancora, nel testo si afferma che il decreto sul riordino dei contratti operato a giugno col D.Lgs. 81/2015 non ha nessun effetto su queste cifre, dal momento che l’incidenza dei contratti sostituti sul totale dei prestatori di lavoro occasionale addirittura diminuisce da luglio. Un’affermazione forte, dal momento che l’incidenza dipende dal numero totale dei prestatori e che quest’ultima è in costante aumento. Invece, a guardare i dati sui lavoratori soggetti a trasformazione dei rapporti di lavoro da dipendente o collaborazione a voucher, si nota che questi ultimi proprio a partire da luglio aumentano rispetto ai primi mesi dell’anno.
Inoltre, per poter stabilire l’impatto in termini causali della riforma dei contratti sulla probabilità di sostituzione di un contratto di collaborazione (o simili) in voucher non basta guardare all’incidenza delle sostituzioni. Si potrebbe, invece, indagare se la probabilità di trasformazione cambia prima o dopo l’introduzione del decreto e per chi.
Infine, in base ai dati del 2014, il 40% dei voucheristi non percepiscono altri redditi da lavoro o prestazioni sociali: circa 400.000 lavoratori. Tuttavia, il rapporto non fornisce alcun dettaglio sulle caratteristiche di questi lavoratori: siano essi giovani, ex dipendenti, ex co.co.pro non è dato di sapere. Così come non è dato conoscere quanti tra questi hanno percepito redditi esclusivi da voucher anche negli anni o mesi precedenti. Una lacuna non secondaria dal momento che i voucher come sistema di pagamento per prestazioni lavorative sono caratterizzati da una contribuzione previdenziale minima, 13%. I voucheristi esclusivi sono non soltanto i precari di terza generazione, ma soprattutto, in un sistema pensionistico contributivo, si candidano ad essere poveri sia oggi, sia domani.
*dottoranda in economia presso l’Istituto di Studi Politici di Sciences Po, Parigi