Canale Mussolini. Parte seconda

per Gabriella
Autore originale del testo: Mirella Serri
Fonte: la stampa
Url fonte: http://www.lastampa.it/2015/11/29/cultura/tuttolibri/pennacchi-la-guerradi-un-voltagabbana-JOWkMKl6IWHDNryYptH0xK/pagina.html

Canale Mussolini. Parte seconda.

CANALE MUSSOLINI. PARTE SECONDA – di ANTONIO PENNACCHI – ed. MONDADORI
recensione di Mirella Serri, la Stampa

«Varda, Palmir, che mi agò dei pati col Roosevelt e col Churchill. A Teheran ghemo dito che ognun, dopo ’a guera, as tien quel che ga ciapà». Chi interloquisce in dialetto veneto-ferrarese con il Palmiro nazionale ovvero con Togliatti, genovese, torinese d’adozione, che a sua volta risponde: «Agò capìo, Bepo, son mina inbesìle»? Il Bepo è Giuseppe Stalin il quale, mentre Palmiro è in procinto di tornare in Italia dopo il lungo esilio, gli illustra i risultati della conferenza di Teheran in cui con Roosevelt e Churchill si è spartito le zone di influenza.

Con questa paradossale e straniante invenzione linguistica, Antonio Pennacchi, sulle orme del successo del primo romanzo dedicato a Latina all’epoca della bonifica delle Paludi Pontine, torna al Canale Mussolini. Parte seconda. Torna alla saga della famiglia Peruzzi che, originaria dell’Altaitalia, è approdata nell’appena edificata Littoria: ne fa parte il piccolo Diomede, una specie di rosso Malpelo per pigmentazione e per indole, un ribelle che non riesce a star chiuso nel podere sul Canale intestato al Mascellone. Irruento e generoso, imbroglione e altruista, è connotato da una specie di handicap destinato a non rivelarsi tale: è dotato di un grosso «batocio» la cui visione tra le gambettine del neonato sconvolge la famiglia.

Diomede è stato abbandonato dalla madre ma non prova rancore o risentimento, bensì senza arte né parte si adatta e si lascia trascinare dal vento delle circostanze e delle convenienze. Incarna l’italiano ardimentoso e guascone, senza affetti e senza forti passioni, privo di una specifica inclinazione politica. Quando 32 chilometri di navi – da Torre Astura a Tor San Lorenzo – scaricano fuoco e fiamme sul nuovo fronte di Anzio, Peruzzi contrasta lo sbarco degli Alleati in compagnia di un soldatino tedesco pure lui fulvo di capelli. Eberhard ha un forte senso del dovere ed è calamitato dal gusto della lotta e dal calore di una liaison con Diomede, apparentemente fraterna ma ricca di sotterranee tentazioni erotiche che rimangono inappagate. Colpito da una granata, Eberhard muore e lascia una bella eredità, le mappe dove sono segnati i luoghi del litorale in cui la Wehrmacht ha deposto le mine prima di fuggire verso il Nord. E questo prezioso rotolo di carte cambierà il destino di Diomede, pronto a voltar gabbana e a mettersi al servizio degli inglesi e degli americani per sminare il territorio.

Pennacchi intreccia le fortune della famiglia Benassi con quelle dei Peruzzi, divisi nel clima della guerra civile, con Paride nella Rsi a caccia di partigiani, il fratello Statilio che combatte i tedeschi in Corsica con il Regio Esercito e il cugino Demostene affiliato a Stella Rossa. A completare il quadro c’è l’intelligente zia Santapace che sforna pargoli, la nonna Peruzzi che decide le sorti dei più giovani e il Periclino che solo da adulto scopre chi è il suo vero padre. Su tutti emerge Diomede, ricco d’immaginazione e di estro: il 25 maggio 1944, dopo che i tedeschi in fuga hanno fatto saltare il caveau della Banca d’Italia di Littoria, con altri due compari incamera carriole di quattrini. Diventerà così un palazzinaro doc, potente e sposato con una bella donna che ne apprezza pure il macroscopico difetto fisico, un vero Big Boss.

Nel romanzo polifonico e corale scorrono le alterne vicende della penisola, con i dolori, i morti, le sconfitte e i successi, dall’invasione italiana della Grecia all’eccidio di Porzùs, dalla nascita del Cln all’espansione urbanistica postbellica di Latina. Nel racconto epico e appassionato della nascita dell’Italia democratica e repubblicana domina un’ottica assai speciale. Quella di un grande affabulatore che vuole rimettere a posto i tasselli della storia con verve satirica e con ironia perché, come dice lo zio Adelchi, l’unico vigile urbano rimasto a guardia del Comune mentre stanno per arrivare gli Alleati e i tedeschi sono scappati, «Ognuno ga le so razon».

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un brano del libro

Il 25 maggio del 1944 – ultimo giorno di guerra a Littoria – nel breve intervallo tra la partenza dei tedeschi e l’arrivo in città degli angloamericani, Diomede Peruzzi entra nella Banca d’Italia devastata e ne svaligia il tesoro. È qui che hanno inizio – diranno – la sua folgorante carriera imprenditoriale e lo sviluppo stesso di Latina tutta. Ma sarà vero? Il Canale Mussolini intanto – dopo essere stato per mesi la dura linea del fronte di Anzio e Nettuno – può tornare a essere quello che era, il perno della bonifica pontina. In un nuovo grande esodo, che ricorda quello epico colonizzatore di dodici anni prima, gli sfollati lasciano i rifugi sui monti e tornano a popolare la città e le campagne circostanti. I poderi sono distrutti, ogni edificio porta i segni dei bombardamenti. Ma il clima adesso è diverso, inizia la ricostruzione. Nel resto d’Italia però la guerra continua e si sposta man mano verso il nord, mentre gli alleati – col decisivo ausilio delle brigate partigiane e del ricostituito esercito italiano – costringono alla ritirata i tedeschi e le milizie fasciste. È una guerra di liberazione, ma anche una guerra civile crudele e fratricida. E la famiglia Peruzzi, protagonista memorabile della saga narrata in queste pagine, è schierata su tutti i fronti di questo conflitto. Paride al nord nella Rsi – mentre sogna di tornare dall’Armida e da suo figlio – rastrella ed insegue i partigiani. Suo fratello Statilio combatte i tedeschi in Corsica con il Regio esercito, poi a Cassino e su su fino alla linea Gotica. Il cugino Demostene è partigiano della brigata Stella Rossa, e combatte anche lui per liberare l’Italia. Accanto a loro ritroviamo lo zio Adelchi, che vigila sulle ceneri di una Littoria piena di spettri e di sciacalli, in attesa che nasca Latina; il mite Benassi e zia Santapace, collerica e bellissima; l’Armida con le sue api, e la nonna Peruzzi, che attribuisce compiti e destini alle nuove generazioni via via che vengono al mondo. E su tutti c’è Diomede – detto Batocio o Big Boss per un piccolo difetto fisico – il vero demiurgo della nuova città. Con il suo funambolico impasto linguistico veneto-ferrarese, col suo sguardo irriverente e provocatorio sempre addolcito però da un’umanissima pietas – «Ognuno ga le so razon» – Antonio Pennacchi torna a narrare le gesta dei Peruzzi, famiglia numerosa e ramificata di pionieri bonificatori, grandi lavoratori, eroici spiantati, meravigliosi gaglioffi, e donne generose e umorali. E se nel primo volume di Canale Mussolini ci aveva fatto riscoprire un capitolo della nostra storia per molti versi dimenticato, in questa seconda parte si dedica a mantenere viva la memoria del difficile processo di costruzione della nostra Italia democratica e repubblicana.

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