“Campo largo” o campo vuoto ?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
“Campo largo” o campo vuoto ?
La politica, lo spazio e il tempo
Il nome è tutto. C’è poco da fare. Hai voglia a dire che è solo un’etichetta, non è così. Prendete la locuzione “campo largo”. Indica una spazio politico in cui raccogliere forze “progressiste” in una quantità tale da essere in numero superiore alla destra. Una spazio dove radunarsi per staccare seggi in Parlamento, e condizionare il più possibile l’iter di formazione dell’esecutivo. “Campo largo” è un termine “spaziale” con precisi intenti tattici ed elettorali, non indica una prospettiva, non traccia mappe di lungo corso (e come potrebbe), non ha una visione (per lo meno a me sfugge), sembra più che altro una sorta di salvagente a uso della classe dirigente governista del centrosinistra in questi frangenti critici. Una locuzione senza temporalità, senza una prospettiva strategica – una locuzione solo spaziale, genericamente spaziale. Un “campo”, insomma, nulla più di questo.
Niente a che fare con formule come “compromesso storico”, dove si tracciava un orizzonte strategico, ben oltre l’immagine o il profilo del futuro esecutivo. Oppure “equilibri più avanzati”, dove il senso del tempo, la sua prospettiva, il dinamismo storico, dominavano su ogni possibile cognizione puramente spaziale, tattica e di cortissimo respiro. Il fatto, ormai palese, quasi banale dirlo, è che la Prima Repubblica, a onta delle dicerie interessate, era temporalità, era prospettiva, nonostante se ne parli ora come se fosse stata una sorta di palude. Al contrario della Seconda Repubblica che è, invece, il trionfo della spazialità, dei recinti, dei posizionamenti, degli status: polo della libertà, partito dei sindaci (ossia, un recinto in cui i sindaci si affollano)…. Lo stesso Ulivo indicava il radicamento in un campo, come pure “centrosinistra” e “centrodestra” erano (sono) da considerarsi meri ambiti spaziali, luoghi di raccolta di forze che puntano fondamentalmente alla conquista del governo (il motto politico non è più “partecipare” politicamente, ma vincere).
Con la Seconda Repubblica cade, insomma, la prospettiva del cambiamento (il tempo e la temporalità) a vantaggio della mera spazialità dello stare (fondamentalmente al governo), secondo le linee di una pura politica di potenza e di conservazione. Ci sono ragioni sociali ed economiche dietro questa svolta, e anche l’idea che la democrazia intesa come partecipazione sia ormai defunta. Anche la sinistra ha interpretato questo cambiamento mutandosi in “centrosinistra”, ossia in un raggruppamento che si colloca in quel certo spazio, più che puntare a costruirne di nuovi.
“Campo largo” insomma è un nuovo nome per la stessa cosa, per di più in una fase in cui anche solo sollevare un dubbio, o chiedere rispetto per la propria dignità politica, diventa un atto eversivo meritevole di gogna mediatica, solo perché preannuncia e vorrebbe possibili cambiamenti (quelli veri, non l’ideologia del cambiamento di cui i conservatori sono campioni).
E se allora, invece di “campo largo”, dicessimo: “Cambiare l’Italia”, indicando anche come? Non sarebbe una prospettiva più suggestiva? Più allettante? Non vorrebbe dire che lavoriamo a una prospettiva democratica di giustizia sociale e di tutela degli ultimi, contro la palude in cui stiamo anche noi pian piano sprofondando? Che siamo nel tempo, che non ci contendiamo solo uno spazio, che anche nei nomi vogliamo fare un salto vero in avanti?
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