da www.aldogiannuli.it 17 maggio 2014
La sesta sezione della Cassazione ha fatto cadere l’accusa di “condotta con finalità di terrorismo” per il lancio di alcune bottiglie molotov contro i cantieri della Tav, a seguito del quale qualche macchinario andò distrutto, mentre non ci fu alcun danno alle persone, che lavoravano nella galleria, cui il fuoco si propagò casualmente. L’accusa era tanto spropositata che la Cassazione, che pure non è un covo di pericolosi anarco insurrezionalisti, ha dovuto riconoscerne l’infondatezza e stabilire che il reato vada ridefinito più realisticamente. Ovviamente siamo soddisfatti di questo risultato per i quattro accusati che, speriamo, vengano trattati con equità e clemenza, sia in considerazione della loro giovane età, sia delle particolari condizioni in cui viene a trovarsi la lotta in Val di Susa, di fronte all’assoluta sordità delle istituzioni e delle forze politiche verso le istanze della popolazione locale. Bene, però il discorso non finisce qui, perché resta che quattro cittadini, a seguito di questo sproposito giuridico, sono stati sottoposti ad un regime detentivo di massima sicurezza, con misure afflittive del tutto sproporzionate al fatto.
E, per di più, dovranno affrontare un giudizio penale in condizioni di svantaggio psicologico, perché già la derubricazione del reato parrà una misura di clemenza, per cui sarà più difficile ottenere quelle attenuanti di quanto sarebbe stato in diverse condizioni di partenza. E qui i problemi sono due: la norma ed i suoi utilizzatori.
L’ art. 270 sexies Codice Penale. Condotte con finalità di terrorismo, venne aggiunto (dall’art. 15, Dl 27 luglio 2005, n. 144, (convertito, con modificazioni, con L. 31 luglio 2005, n. 155) nel clima certamente non sereno seguito al terribile attentato dell’11 settembre 2001 e testualmente recita:
<< 1. Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia >>
Si noti in carattere eccessivamente vago e imprecisato della fattispecie penale: neppure si esplicita che sia necessario l’uso della violenza (che resta sottintesa), ma, molto genericamente, si parla di una “condotta che… “ e si specifica, che essa è applicabile anche nel caso in cui il fine sia quello di “costringere i poteri pubblici… a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto”, quasi che le righe precedenti non coprissero con sufficiente ampiezza l’area dei comportamenti da sanzionare con tanto rigore. Cosa vuol, dire “qualsiasi atto”? Se un gruppo di cittadini cerca di impedire lo sgombero di case occupate, magari alzando barricate, certamente fa un reato, ma si può parlare di terrorismo per questo? E se il tentativo di indurre i pubblici poteri a recedere da una decisione fosse fatto con frode, potremmo parlare di terrorismo? La norma è così dilatabile che non si comprende bene dove debba arrestarsi.
E’ comprensibile (ma solo sino ad un certo punto) che, di fronte alla minaccia del terrorismo internazionale, il legislatore possa essersi fatto prendere la mano, ma oggi, ad un decennio da quei fatti e con una minaccia tanto ridimensionata, dobbiamo continuare a tenerci una norma così pericolosamente fluida? Questi sono i danni delle “norme di eccezione” che entrano nell’ordinamento per una emergenza e poi ci restano anche quando l’emergenza è passata. E questo, fra l’altro, contribuisce a plasmare la mentalità dei magistrati indirizzandoli verso un uso non garantista del diritto penale (come si in questo paese ce ne fosse bisogno, con la magistratura che ci ritroviamo!).
E, infatti, negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad una tendenza della magistratura inquirente ad alzare il tiro, beninteso, quando si tratta di conflittualità sociale, mentre l’atteggiamento è ben più esastico per i reati finanziari o degli appartenenti ai corpi di polizia, nel qual caso passano in cavalleria addirittura gli omicidi. Ormai si contesta il reato di devastazione e saccheggio anche se qualcuno sfascia una vetrina o un altro tira giù un segnale stradale e le imputazioni per reati gravissimo sono seminate come noccioline. Neppure ci si pone il problema della commisurazione dell’atto rispetto ai possibili effetti. L’inquirente dei No Tav ha ragionato in questo modo: “il lancio delle molotov era finalizzato a bloccare i lavori della linea ferroviaria decisa. Dunque, era rivolto a costringere i poteri pubblici a non attuare un proprio progetto e, pertanto, siamo negli estremi previsti dall’art. 270 sexies”. In tutto questo ragionamento, non si prende neppure in considerazione se il gesto in questione fosse idoneo ad ottenere l’effetto in questione. Insomma, se cerco di fare una rapina in banca armato di temperino, magari le mie intenzioni sono quelle, ma appare scarsamente realistico che la cosa possa sortire l’effetto voluto ed è probabile che qualcuno mi prenda per matto più che per rapinatore. L’intenzione soggettiva non è criterio di per sé sufficiente a caratterizzare il reato. Tanto più, quando poi l’intenzione soggettiva (nel caso specifico, gli imputati, pur ammettendo le proprie responsabilità e l’intenzione di boicottare i lavori, hanno decisamente negato di voler arrecare danno alle persone e, peraltro, l’estensione dell’incendio alla galleria è stato casuale e non prevedibile) non viene minimamente tenuta in considerazione quando si tratti di contestare l’eventuale danno a persone.
Questo atteggiamento della magistratura, non è una tendenza solo italiana (si pensi al comportamento della magistratura inglese nel 2011 nei confronti della rivolta giovanile di quella estate), ma qui mi pare che stiamo facendo gli straordinari. Ha ragione il mio amico Turi Palidda quando sottolinea come il tempo della crisi spinga a comportamenti repressivi anche al di là della legalità. La spropositata accusa di terrorismo ai giovani No Tav è figlia di questa cultura giuridica e di questa funzione repressiva spinta al parossismo.
Qualche tempo fa scrissi un articolo (che non piacque a diversi cultori del mito del “giudice buono”) per sottolineare quale sia la funzione cardine della magistratura nei processi di globalizzazione: sul versante civilistico attraverso l’assunzione die principi della lex mercatoria e su quello penale attraverso l’emergenzialismo contro i conflitti sociali.
E dunque, al di là dei singoli casi, si rende necessaria ed urgente una presa di coscienza dei termini reali del problema della giustizia penale. Ma, per fare questo, è necessario, prima di tutto, sbarazzarsi delle mitologie giustizialiste di questi anni, di chi ha visto nella magistratura il baluardo della Costituzione, dove c’era semplicemente uno scontro fra diverse fazioni del potere.
Aldo Giannuli