Fonte: La Stampa
Ciò che è stato fatto non può essere cancellato – ma neppure quello che non è stato fatto può esser fatto quando ormai è troppo tardi. Sul latte non versato è inutile piangere quanto su quello versato. La seconda ondata era prevedibilissima e occorrevano più strutture di terapia intensiva, più medici e infermieri, indirizzi precisi per medici di base e sanità sul territorio. Sono responsabilità politiche che non si possono dimenticare.
E responsabilità tutta politica è quella per cui, malgrado le esperienze della scorsa primavera, siamo punto e capo nello sconquasso istituzionale dei rapporti tra Amministrazioni locali, Regioni e Governo. So bene che tale sconquasso ha cause storiche, affonda nel fallimento di ogni serio disegno federalista in questo Paese – ma almeno un “chiarimento”, onde evitare il ripetersi di scene penose, sarebbe stato, penso, legittimo aspettarselo. Ora l’ ombra della crisi si allunga ben oltre la questione nuovi lockdown sì o nuovi lockdown no.
È crisi economica che innesca colossali problemi di ordine sociale. Il nostro futuro si gioca intorno al modo in cui verranno affrontati. Forse non è troppo tardi per rimediare a forme di “comunicazione” che inducono a comportamenti del tutto irrazionali. Le file per fare i tamponi o la corsa ai Pronto Soccorso per sintomi minimi o addirittura nessuno produce più contagi che il non tenere la mascherina lungo strade deserte.
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«Comunicare» ai propri concittadini dati che facciano senso (quanti sono in percentuale dei contagiati gli asintomatici, i lievemente sintomatici, quelli che hanno davvero bisogno di ricovero e tra questi i gravissimi), invece di “sparare” quotidianamente, per giornali e tv, dei numeri in assoluto, aiuterebbe certamente ad affrontare l’«ondata» con maggiore consapevolezza e quindi con maggiore efficacia. Ma, ripeto, ormai il fronte si è spostato, o, meglio, a quello sanitario-ospedaliero si è aggiunto l’ altro, quello sociale, e per quest’ ultimo la situazione appare, se possibile, ancora più drammatica.
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La crisi esaspera, e non solo da noi, contraddizioni e disuguaglianze tra settori economici e ceti sociali fino a generare ingiustizie intollerabili per un regime democratico. Se un Governo(democratico, appunto) non combatte questa tendenza con la massima decisione, la crisi è destinata a esplodere e questo Governo a fallire. Finora non la si è combattuta.
I provvedimenti adottati hanno penalizzato drasticamente alcuni, “salvato” o quasi altri e altri ancora sono rimasti al sicuro e si illudono di poterci per sempre rimanere. Imprese commerciali, filiera turistica, trasporto privato, spettacolo, con il loro esercito di lavoratori stagionali e precari, sono colpiti in pieno dalle norme passate e presenti; bar e ristoranti si chiudono a prescindere dalle loro dimensioni e dalle misure di sicurezza adottate (e implicitamente le Autorità ammettono con questo di non essere in grado di farle rispettare), mentre ciò non avviene per altre attività che (fortunatamente)possono continuare.
ROBERTO GUALTIERI GIUSEPPE CONTE
I professionisti di calcio, basket, pallavolo, tennis possono “godere” (fortunatamente) di un po’ di pubblico, quelli dello spettacolo no – e si vede che convegni, conferenze, ecc., sono tutte attività dilettantistiche (la cultura, infatti, è “divertimento”, diceva un Presidente del Consiglio).
All’ opposto, i dipendenti del settore pubblico o para-pubblico continuano, smartworking o meno, a ricevere il proprio stipendio, al riparo da Cig e dall’ angoscia di fallimenti e licenziamenti. Insomma, si stanno creando disparità di reddito e di condizioni di vita assolutamente incompatibili con il significato stesso del termine “democrazia”. Ne abbiamo coscienza? Finora non mi è parso, ma oggi non vi è un istante da perdere. Occorrono massicci interventi a sostegno dei settori colpiti che, a differenza di quelli per la prima «ondata», giungano direttamente agli interessati, siano immediatamente tangibili, senza odiose mediazioni bancarie e burocratiche.
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Facile a dirsi – ma come? Ogni vacua promessa, ogni ulteriore rimando e rinvio, non faranno che aggravare la crisi sociale. Il Governo – questo, come quello di molti altri Paesi europei – dovrà finalmente dichiarare con quale strategia economica e finanziaria intende affrontare l’ esigenza imprescindibile di non esasperare le disuguaglianze, di sostenere le condizioni di vita di milioni di cittadini, che i suoi provvedimenti (giusti o sbagliati a questo punto conta, ma conta poco) minacciano di rovinare.
Illudiamo la gente che i soldi ci siano? Illudiamo che sarà l’ Europa a regalarceli? L’Europa sosterrà progetti di ricostruzione, non quei provvedimenti di assistenza e protezione oggi comunque necessari. A questo dovremo pensare noi, se vorremo pensarci. Aumentando a dismisura il nostro debito, così da rovinare definitivamente figli e nipoti?
GLI ANTAGONISTI DEVASTANO TORINO DURANTE LA PROTESTA CONTRO IL DPCM 20
O invece attraverso eque politiche fiscali e redistributive, distribuendo, cioè, il carico dei necessari sacrifici tra tutti i settori della nostra società? La seconda è la scelta obbligata. Strategia difficile, magari sulle prime impopolare, come tutte quelle che si fondano sul principio di un’ autentica solidarietà tra ceti e interessi diversi, ma se questa mancherà ancora, usciremo da questa pandemia (destinata a finire per forza ) malati a morte, malati a morte proprio come società.