Fonte: L'Espresso
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di Massimo Cacciari – 25 agosto 2018
Che i “Valori” della nostra civiltà di cui tante volte ci siamo retoricamente fregiati non costituiscano alcuno stabile fondamento, non traccino alcuna salda prospettiva per il nostro agire, ma piuttosto fragili idee regolative, sempre in pericolo, minacciate, sul punto di essere contraddette alla radice, la storia dovrebbe avercelo insegnato usque ad nauseam. Cristianesimo e Illuminismo, in forme antagonistiche e tuttavia inseparabili, hanno certo forgiato aspetti fondamentali della nostra vita, e tuttavia nei momenti in cui un ordine politico e sociale “catastrofizza” ed è difficile anche intravvedere la stessa possibilità di un nuovo ordine, ecco che essi tendono a scomparire, a uscire dal nostro “cono di luce”. La stessa “missione” che alcuni dei suoi grandi interpreti, scienziati, filosofi e politici, hanno considerata propria dello spirito europeo, e cioè ricondurre ogni forma di vita a razionale coerenza, liberandola da ogni dogmatismo e da ogni ossequio verso Autorità che dall’esterno si impongano alla coscienza della persona – questa stessa “missione” sembra ogni volta venire sopraffatta dalle gelide passioni della paura, dell’egoismo, dell’avarizia e dell’invidia quando entriamo in un passaggio d’epoca. È quello che oggi sta avvenendo, e in tale quadro andrebbe considerata anche la cronaca di questi giorni. Magari si trattasse soltanto dell’ignorante bullismo di qualche ministro pro tempore!
E tuttavia sembrava più di una speranza quella su cui l’Europa uscita dalla Guerra aveva iniziato a pensare e a costruire la propria unità politica. Come avrebbe mai potuto, infatti, l’Europa imperdonabile , l’Europa che aveva condotto l’intera umanità alla più immane tragedia della sua storia, dimenticare di nuovo l’imperativo categorico di federarsi insieme , di essere solidali gli uni con gli altri, di volere il bene del prossimo nella razionale coscienza che esso è, alla lunga, anche il nostro? La nuova Europa non poteva non aver compreso la propria responsabilità: combattere sul nascere ogni forma di demagogia nazionalista e revanscista, ogni retorica volta a vedere in altre forme di vita o civiltà minacce o nemici. Cosi si ragionava. Fu un’illusione? Forse no, ma la sua idea si fondava su due condizioni venute meno nel tempo. La prima: la memoria ancora viva di quale mondo avesse portato alla catastrofe mondiale, quali idee, quali comportamenti collettivi. La seconda: che l’Europa unita praticasse davvero quei valori di solidarietà, uguaglianza di diritti e accoglienza che si predicavano nelle cerimonie, negli anniversari delle tragedie, nei mea culpa sulle origini dei totalitarismi del Novecento. La memoria della Guerra e delle sue cause vale ormai per i nostri politici come quella di Cesare nelle Gallie e l’idea stessa di un’Europa politicamente e culturalmente unita si va dissolvendo sotto i nostri occhi. Resterà magari l’euro, resterà uno spazio commerciale europeo. Il dominio della shakespeariana universale bagascia non verrà messo in discussione da nessuno. Ma sparirà l’Europa.
L’Europa cessa di esistere se diviene indifferente nei confronti del male. L’Europa esce dalla Guerra cosciente che, se vuole spiritualmente e politicamente rinascere, ha il dovere di combattere il male in qualsiasi forma esso si manifesti. Ingiustizia, sofferenza, sopraffazione. Ma il male non è soltanto quello volontariamente perpetrato. Male è anche quello che eseguiamo obbedendo a un ordine. Male è anche quello cui ci rendiamo complici perché non sappiamo ribellarci a chi, cosciente o meno, lo compie. Tuttavia, la sua forma fondamentale, quella più ardua da riconoscere e combattere, quella che può dilagare come un’epidemia senza che quasi la si avverta, è proprio l’anonima indifferenza nei suoi confronti. Banalità del male, diceva Hannah Arendt. Il male si diffonde alla superficie delle nostre vite, le imbeve di sé, diviene qualcosa di quotidiano. Non fa più scandalo . Che vi sia chi soffre atrocemente non è più uno scandalo per la nostra coscienza. Basta tenerlo lontano, non vederlo, che non anneghi nei pressi delle nostre spiagge. Non sono questo male , e la nostra impotenza ad affrontarlo, il problema, ma come ridurne gli effetti sulle nostre vite, come renderlo, appunto, indifferenteper noi. La “cura” consiste tutta nel rimuoverlo, o nel riuscire a passarci accanto come i buoni giudei della parabola del samaritano. Da casa, al più, possiamo sopportare di vederne solo il fumo.
Un’Europa in cui si lascia dilagare l’indifferenza per il male, in cui manca ogni volontà politica di contrastarne la mascherata violenza, è un’Europa che tradisce il “giuramento”, non scritto, ma realissimo, che ne aveva unito le nazioni dopo la Guerra. Ed è un’Europa tragicamente miope sui propri stessi destini, all’inseguimento di compromessi a brevissimo termine tra i propri stati e staterelli che si presumono “sovrani”, mentre il mondo si ricostruisce su equilibri tra grandi spazi imperiali, per i quali quei “Valori” di cui l’Europa avrebbe dovuto essere operante testimonianza non contano più neppure nelle retoriche politiche. È un’Europa che dopo avere per secoli “trasgredito”con ogni mezzo ogni confine e fatto esodo per tutti i continenti, si richiude in se stessa, si difende da quegli stessi che mai nella sua storia aveva “lasciato in pace”.
Un’Europa che chiede soltanto di sopravvivere conservando quello stato economico che le era stato garantito in condizioni geo-politiche del tutto differenti dalle attuali e assolutamente irripetibili. Macroscopica contraddizione. Intanto, nell’impotenza dei nostri pseudo-leader a riconoscerla e superarla, scarichiamo gli uni sugli altri la responsabilità per il male, fattosi banale, quotidiana, superficiale notizia. Colpevoli tutti, tutti innocenti – da sempre il motto delle anime morte.