Cresce la voglia di miracoli, dilagano le cieche speranze. Intramontabile carattere del genio italico: l’ arte del compromesso al ribasso, del trasformismo, del nascondersi o rimandare i problemi, fa tutt’ uno con gli esercizi retorici sulle rinascite, sui rinascimenti o sulle ricostruzioni. A ogni cambio di governo, da 30 anni a questa parte, ascoltiamo il ritornello sulle irrinunciabili riforme e sulla certa promessa del loro imminente realizzarsi.
Ora abbiamo un premier che sembra almeno non ripetere il gioco ed essere ben consapevole dei concretissimi fini che sono a sua portata, e tuttavia i suoi soci di maggioranza, così come le varie organizzazioni di categoria, vanno a gara nell’ illudere che un governo di questa natura possa seriamente affrontare questioni su cui tutte le forze politiche, pur combinandosi e ricombinandosi nei più svariati modi, son naufragate – e per ragioni culturali, strategiche, ben prima che per fragilità organizzativa o per errori tattici.
Sarebbe manna sui nostri deserti se Draghi varasse un Recovery Plan che contenga obiettivi di sviluppo e non solo di assistenza, salvataggi e incentivi a pioggia, e poi una legge di bilancio che davvero contrasti l’intollerabile aumento delle disuguaglianze che questa crisi va producendo.
E già sarebbe poi un quasi-miracolo se il suo governo riuscisse a superare le contraddizioni, i ritardi, le disfunzioni incredibili che hanno segnato l’ inizio della campagna-vaccini.
Si sa, infatti, che questa situazione dipende anche e soprattutto dal modo in cui è organizzata la sanità, e cioè dal rapporto irrazionale tra poteri centrali e Regioni, ma, per carità, lasciamo perdere l’ idea che un nodo di tale portata possa essere anche solo pensato da un “governo di guerra”come l’ attuale.
Il “principio di realtà” non è mai stato uno di quelli più frequentati dalle nostre parti, ma l’ uomo che viene da Bruxelles e Francoforte dovrebbe averlo saldamente nelle sue corde.
Certo egli non potrà contrastare l’ ondata sempre meno arrestabile che emerge da sempre più vasti settori dell’opinione pubblica.
DOMENICO ARCURI GIUSEPPE CONTE
Non si tratta ancora dell’ appello all’ Uomo Forte di fronte alla impotenza delle forze politiche in campo, appello che, nelle condizioni storiche attuali, sarebbe comunque destinato a cadere nel vuoto. Si tratta, piuttosto, di un ingenuo “decisionismo” tutto ideologico, velleitario, ampiamente diffuso, peraltro, in settori significativi delle cosiddette èlites dirigenti.
GIANCARLO GIORGETTI MARIO DRAGHI LUIGI DI MAIO
Ideologia che sottovaluta o ignora, da un lato, il ruolo fondamentale che la struttura amministrativa, tecnica, burocratica svolge negli assetti istituzionali e politici del mondo contemporaneo, e, dall’ altro, la funzione dei corpi intermedi nella costituzione di una democrazia progressiva (“idea regolativa” della nostra Costituzione).
Ecco, allora, la pulsione al Regista, all’ uomo capace finalmente di mettere in scena il dramma come si deve. Peccato che nessun regista, per quanto in teoria meraviglioso, sarà mai in grado di farlo se dispone di guitti di strada, di tecnici di luci, scenografi, costumisti da tre soldi. Il Regista funziona se coordina e combina competenze – e competenze al lavoro non solo per se stesse, per i propri legittimi interessi, ma anche per la riuscita complessiva dello spettacolo, e cioè che conoscano il dramma da rappresentare e magari pure lo amino. Tali competenze, nella loro sinergia, il Regista le potrà valorizzare, ma non sarà mai lui a produrle – dovranno formarsi da sé, organizzarsi autonomamente.
Due percorsi, allora, si intrecciano, se vogliamo pensare nei fatti a una ripresa del nostro Paese: la ricostruzione del suo apparato tecnico-amministrativo, a partire dalla sua stessa formazione (e ci metto la Giustizia al suo interno, poiché non un potere, a mio giudizio, la Magistratura nella sua autonomia, ma una funzione essenziale dello Stato democratico) – la presenza di corpi intermedi vitali, attivi e propositivi, senza la cui energia la partecipazione democratica è fumo ideologico.
Pensino a questo i nostri partiti e movimenti nei mesi che trascorreranno all’ ombra protettiva del professor Draghi. La crisi forse un effetto positivo l’ ha avuto: perfino i 5Stelle sembrano ora aver compreso che non si governa con chiacchiere movimentistiche e che, piaccia o no, la democrazia ha a che fare fisiologicamente con la presenza di forze politiche organizzate e di gruppi dirigenti non improvvisati sulla base di qualche clic.
E il Pd sembra muoversi finalmente verso un congresso dove i resti dei partiti che l’ hanno fin qui composto e scomposto saranno chiamati, volenti o nolenti, a ridefinirsi e non potranno più limitarsi a declinare il termine responsabilità in governabilità comunque.
Responsabilità è rispondere alle domande reali: quali progetti di riforme istituzionale si intenda ancora perseguire e con chi; quale politica dell’ occupazione e del lavoro si ritenga adeguata alla rivoluzione tecnologica in atto; quale politica della formazione ne consegua. Si va al governo per rispondere a tutto questo, nell’ ambito europeo, non per sopravvivere come ceto politico e allungare i tempi della decadenza del Paese.
Se il congresso che si annuncia si svolgerà in forma aperta in questa direzione, lo smottamento pauroso del Pd dalle sue basi sociali potrebbe essere arrestato, e maturare, contestualmente, un’ intesa di governo con il new look pentastellato, in vista dell’ elezione del Presidente della Repubblica e delle prossime politiche – intesa che dovrà per forza esser messa subito alla prova a Milano, a Roma e in tanti altri centri di rilievo ben più che amministrativo.
Ricordi anche il Pd di essere stato al momento della sua (presunta) nascita un fiero sostenitore del maggioritario. Lavori perciò affinché si realizzino le condizioni, con le prossime politiche, per un confronto, questo sì responsabile, tra due schieramenti e programmi contrapposti.
Davvero non ci sarebbe più “salvezza” se, a quel punto, dopo vani, estenuanti pateracchi tra fantasmi politici, il Presidente di turno si vedesse di nuovo costretto a ricorrere ad altri Cincinnato e ancora le assemblee legislative, per loro colpa esclusiva, si riducessero a meri organi di ratifica di decreti del governo o della Presidenza del Consiglio.