Fonte: IlSudEst,it
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di Marianna Sturba – 3 novembre 2017
Abbiamo dato la colpa dell’aumento dei casi di bullismo alla società sempre meno educante, ad una società globalizzata che trasmette la violenza, ai giochi elettronici sanguinari, alle serie Tv, agli idoli televisivi dannati. Abbiamo accusato a tratti la scuola e le istituzioni, la modernità e la mancanza di ideali, ottenendo sempre e solo l’aumento e il peggioramento dei casi.
Oggi arriva una sentenza che farà storia: Tribunale di Torino 8 anni e mezzo per atti di bullismo più risarcimento danni. I colpevoli pagano, le famiglie risarciscono.
Perché le famiglie devono assumersi la responsabilità di quanto sta accadendo.
Più che la famiglia il dito si alza e indica il Padre: figura svuotata di funzioni e di senso.
Sí, cari papà, giunge il momento di assumersi delle responsabilità.
Appartiene alla comunità tutta la trasmissione identitaria, ma quella maschile è scomparsa insieme ai riti di iniziazione, segnando per la prima volta una rottura antropologica tra generazioni. Siamo in una società in cui sono le mamme ad inserire i figli nella società aiutate da una serie di figure femminili, genere oltretutto prevalente in tutto il sistema educativo e socio-psicologico infantile/adolescenziale.
Sempre meno padri riescono a svolgere quella funzione fondamentale di sciogliere il figlio dallo spazio psichico materno, e finiscono per adottare atteggiamenti amicali nei confronti della prole, azzerando le differenze di ruolo.
Manca il padre del confine, della regola, del lecito e non, dello scontro, del timore e anche della carezza; modello questo sostituito dal padre amico che non consente la crescita. Il modello da interiorizzare non è più costituito dai valori genitoriali per eventualmente superarli, ma da quello dei pari.
La struttura quindi dell’autostima che dovrebbe passare attraverso l’apprezzamento e il riconoscimento degli adulti di riferimento, ora persegue nuove vie quelle del consumo di mode e prodotti legati ad immagini e marchi di successo sollecitato dai media. Questa svalorizzazione, questi riferimenti normativi familiari da interiorizzare e richiamare attraverso una morale interna, svaniscono, e il confine di ciò che si può o meno, diventa sempre più labile.
La nostra società, ha abolito le tappe psicologiche di iniziazione che avevano il compito di “provare” il giovane, avevano il compito di testarne la comprensione delle regole della società , avevano anche il dovere di porre i giovani davanti a “frustrazioni” utili alla crescita.
Si impone una crescita senza perdite, senza lacerazioni, quindi senza la ricchezza trasformativa e di sviluppo che queste comportano. Viviamo una società “orizzontale”, in cui tutti sono eternamente giovani, fratelli e sorelle in costante rivalità, senza più padri e figli.
Come abbiamo gia accennato, analiticamente, la funzione del padre è quella di rompere la simbiosi madre-figlio e spingerlo nel mondo. Noi stiamo passando da un rapporto con il figlio di tipo patriarcale ad un rapporto con un padre amico, incapace di trasmettere regole e con la paura di invecchiare. Non a caso molti studiosi di varie branche accusano la società attuale di “giovanilismo”, un giovanilismo sterile che provoca lo smarrimento delle nuove generazioni.
Quindi rispondere al fenomeno del bullismo non lo si può fare solo punendo il comportamento deviante, ma prendendo in carico l’ interezza delle dinamiche familiari al fine di restituire a tutti gli attori dei processi educativi, le proprie responsabilità personali e sociali.
La sentenza di Torino, citata ad apertura dell’articolo, ci fa sperare che si inizi a considerare il bullismo, come un nuovo male della nostra società che necessita sia di riconoscimento giuridico che di riconoscimento psico-sociale.
A tutti i genitori l’ appello al tornare ad essere figure significative capaci di dare regole ed affetto, durezza e riconoscimento, al fine di fornire i nostri giovani di quelle competenze pro-sociali necessari al mantenimento di giusti rapporti sociali.
Cari padri aspettiamo il vostro ritorno!