Brexit. Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 4 novembre 2016

La vita è curiosa. Prendete un Paese in cui l’esecutivo gode di “considerevoli poteri” (Sergio Romano, oggi, sul Corsera), come il Regno Unito. In quello stesso Paese si è svolto un referendum che, per quanto consultivo, era stato comunque convocato dal governo e approvato dal voto dei Comuni. Non si trattava di un referendum qualsiasi, per altro, ma di quello che ha deciso la Brexit. Poi, a seguito di un ricorso, l’Alta Corte britannica rimette tutto in gioco e decide che deve ancora esserci un definitivo pronunciamento del Parlamento, perché (come sintetizza sempre Romano) “non è possibile modificare i diritti acquisiti dai cittadini britannici nell’ambito della UE senza un dibattito parlamentare”.

Perché la vita è curiosa? Perché in UK hanno un esecutivo fortissimo, una legge ultra maggioritaria e si è già svolto un referendum. Eppure, c’è qualcuno che ricorda a tutti che il Parlamento resta centrale, sia rispetto alle decisioni del governo, sia rispetto ai referendum consultivi, per quanto sostanzialmente deliberativi. E forse ciò vuol dire che i governi forti, i deliberati popolari, i politici smart non sono sufficienti a mantenere salda una democrazia per quanto antica come quella britannica. Non sono sufficienti a garantire una stabilità delle decisioni (tanto più delle decisioni!). Forse ciò vuol dire che non basta creare un cortocircuito (mediatico, populista) di governo e popolo, con le Camere chiamate solo a ratificare decisioni altrui, se l’intento è quello di stabilizzare le istituzioni, consolidare le decisioni e promuoverne di cogenti. E forse ciò vuol dire che le decisioni davvero efficaci sono quelle che non nascono da una volontà decisionista portata all’estremo, astratta, di annunci e bonus, di bandi e proclami, ma sorgono da un fermento politico democratico che coinvolge nei modi dovuti tutto il Paese: istituzioni, partiti, cittadini.

Adesso tutti a rimarcare l’esistenza dell’ennesimo conflitto tra politica e giustizia. Sciocchezze. Il conflitto è tutto interno alla politica, tra chi pensa che basti rafforzare i numeri dell’esecutivo, chiamando a raccolta il popolo, per ‘cambiare’ rispetto a presunte ‘paludi’ antecedenti. E chi invece sa che “la democrazia parlamentare è un tesoro di leggi e consuetudini che non si possono piegare”, come annota Fabio Cavalera nelle pagine interne del Corriere. Leggi e consuetudini che non possono essere calpestate dal primo outsider che passa di qui nella frettolosa e sciocca illusione di far prima (ma a far che?). La faglia passa tra queste due posizioni. Ed è una faglia che sta terremotando l’Europa, divisa tra populisti antiparlamentari da una parte, e difensori del primato delle assemblee elettive e del ruolo dei partiti e dei corpi intermedi dall’altra, con quel che ne consegue in termini di rispetto dei ruoli, dei compiti, dei contrappesi indispensabili alla bulimia governativa. La Brexit è servita anche a mettere a nudo, nel modo più palese, questo conflitto.

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