Breve storia del trumpismo (o perché il ritorno alla “normalità” è impossibile)

per Gabriella
Autore originale del testo: Gianluca Mercuri
Fonte: Corriere della Sera
Con la sconfitta di Trump, l’Internazionale populista perde il suo frontman e il suo massimo ispiratore. Gideon Rachman elenca tutti i leader delle destre mondiali che hanno fatto apertamente il tifo per il presidente americano uscente, incuranti di qualsiasi risvolto diplomatico. Riuscirà mai a incontrare Joe Biden il premier sloveno che con troppa fretta ha festeggiato il «trionfo» di Donald dopo i primi dati? E dopo essersi bruciato con Merkel, Macron e perfino con qualsiasi leader spagnolo (per l’appoggio all’indipendentismo catalano), riuscirà Salvini a far dimenticare al Dipartimento di Stato di essere stato in questi giorni «il cheerleader di Trump» (definizione dell’Independent)?
Ma i vedovi del presidente più anticonvenzionale di sempre sono davvero tanti: dal Brasile all’India, dalla Polonia all’Ungheria, da Israele all’Arabia Saudita non si contano i capi di Stato e di governo che si sono allineati a Trump, hanno approfittato del suo cinismo e sposato i suoi modi spicci. Che faranno ora? Semplice: aspetteranno quattro anni, come hanno fatto negli ultimi quattro quelli di sinistra, sperando che il vento cambi di nuovo.
La domanda che si ripropone dunque è sempre quella: cosa devono fare i democratici americani per evitare che nel 2020 “vinca qualcuno peggiore di Trump”, come avverte perfino Chuck Schumer (vedi la Rassegna di ieri)? Il capo dei dem al Senato riconosce le delusioni che hanno portato a Trump e propone un totale cambio di rotta con interventi «alla Roosevelt». Solo che sembra condizionarli alla conquista del Senato, che è complicata (dipende dai ballottaggi del 5 gennaio in Georgia, che qui vi spiega Viviana Mazza).
Errore. Schumer, Biden, Harris e in generale i leader progressisti mondiali dovrebbero leggersi questo intervento di Yanis Varoufakis sul Guardian. Magari non per fare proprio tutto quello che dice. Ma certo per non ripetere gli errori esiziali degli scorsi anni, che l’ex ministro delle Finanze greco descrive e riassume in modo impeccabile. E nel farlo, spiega anche molte cose del trumpismo e dei fan di Trump che la sinistra o capisce una volta per tutte o perderà di nuovo, e ancora più duramente.
Tutto risale al 2008, ricorda Varoufakis, all’anno del primo trionfo di Obama, con le enormi speranze suscitate da un presidente intellettuale e nero, ma tradite per la scelta – o l’obbligo, potrebbero spiegare i realisti – di soccorrere il settore bancario. Trump coltiva esattamente «la rabbia e l’odio» nati allora, che hanno contaminato la maggioranza degli americani. C’è una spiegazione storica. La stagnazione salariale degli anni ’70 aveva rotto il contratto sociale del dopoguerra, salvo essere poi compensata dalla promessa alla classe operaia di «un’altra via alla prosperità»: valori delle case gonfiati e schemi pensionistici finanziarizzati. Tutto questo è scoppiato con la bolla del 2008. Non bastasse, il governo fece affluire miliardi a Wall Street, che le grandi imprese usarono per ricomprarsi azioni (buy back) e «far schizzare nella stratosfera» i loro profitti e i bonus dei manager. Quei miliardi, nella visione della sinistra radicale – una visione in questo caso comprensibilmente radicale, o radicalmente comprensibile – potevano invece andare in misura maggiore a Main Street (l’espressione con cui si riassume l’America della classe media e medio-bassa, in contrapposizione proprio a Wall Street, la Borsa, i grandi interessi economici e finanziari) ed essere investiti in posti di lavoro qualificati. Invece Main Street fu investita da uno tsunami di confische di abitazioni, perdita di certezze previdenziali e disoccupazione.
Nel 2016, quindi, «la maggioranza degli americani era profondamente frustrata» dall’aver assistito a una gigantesca socializzazione delle perdite dei ricchi e dall’essere stata al contempo strozzata dall’austerity.
Ed ecco che arriva Trump ad approfittarne. Trump «l’incompetente». Altro che incompetente, dice Varoufakis. Magari non riesce a mettere due frasi di senso compiuto in fila, e sul Covid è stato un disastro. Ma facendo a pezzi il Nafta, il trattato commerciale del Nordamerica, ne ha imposto un altro che ha giovato agli operai sia americani sia messicani. Ha fatto il bullo nel mondo ma non ha fatto guerre e ha ritirato le truppe da diversi teatri (attenzione: le scelte militari saranno tra le prime cose su cui la sinistra giudicherà Biden).
Trump il bugiardo, certo, Trump l’osceno. Ma «le oscenità e il disprezzo delle regole sono esattamente il modo con cui si è connesso ad ampi segmenti della società». Le buone maniere di Biden e i suoi appelli all’unità, secondo Varoufakis, faranno poca impressione agli americani che, mentre era vicepresidente, si sono visti sottrarre le case dai banchieri, gli stessi banchieri soccorsi dal bailout del suo governo. Non smetteranno facilmente di rimpiangere le cattive maniere con cui, almeno a parole, Trump li vendicava.
Dunque, «la tragedia dei progressisti è che i fan di Trump non si sbagliano del tutto». I democratici si riempiono la bocca di uguaglianza, giustizia sociale, parità razziale e di genere, ma se qualcuno prova a toccare «le vere strutture del potere», come Bernie Sanders, lo neutralizzano. Il ticket Biden-Harris vuole davvero imitare Roosevelt? Bene: si ricordi che Roosevelt diceva che «i banchieri sono unanimi nell’odio per me, e io sono lieto del loro odio».
A Varoufakis si potrà anche imputare una certa propensione al manicheismo, gli si potrà dire che se nel 2008 fosse crollato il sistema bancario sarebbero crollati l’America e il mondo, e che Sanders non ha perso le primarie per un complotto dell’establishment ma perché ha convinto meno elettori. Ma come dargli torto nell’analisi delle radici del trumpismo? Per evitare che torni Trump «o uno peggiore di lui», la «nuova» leadership deve rispondere anche agli oltre 70 milioni di americani che l’hanno rivotato. Deve fare riforme epocali, Senato o non Senato. Deve trovare il modo di convincere i tanti democratici ricchi che una redistribuzione del potere e della ricchezza toccherebbe anche loro e i loro figli. E vale per tutte le sinistre del mondo. Altro che ritorno alla «normalità» e ai «brunch».
Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.