di Giovanna Ponti – 13 settembre 2018
Il video del 1962 mi ha ricordato un episodio di quando ero piccola.
Mio padre vendeva carbone e legna: allora le case della Bovisa che avevano il riscaldamento centralizzato erano pochissime, e i “sustrée” lavoravano molto.
Eravamo una famiglia povera che veniva dal paesello in provincia di Bergamo in cerca di un po’ di fortuna.
Alla fine degli anni ’50 iniziò il grande flusso migratorio di meridionali che a frotte riempivano le case fatiscenti dei quartieri popolari come il mio.
Un mezzogiorno del 1963 (avevo 9 anni) mio padre torna dal lavoro e mi dice che vuole portarmi a vedere una cosa. Così lo accompagno nella sua “consegna”.
Un sacco di coke, meno costoso dell’antracite, sulle sue spalle e cominciamo a salire le scale di un palazzo a poche decine di metri dal mio.
Arrivati in alto, alla fine delle scale,mio padre va ad una porta, bussa e viene ad aprire un uomo piccolo piccolo. Mio padre ed io entriamo. L’appartamento è un abbaino, quello dove adesso si conservano le cose che non servono più: un unico e piccolo locale con il soffitto basso e spiovente e pieno di letti. C’è un grande letto matrimoniale e un altro letto appoggiato al muro che praticamente si unisce al matrimoniale e sul quale siedono due bambini, con i capelli più rossi che abbia mai visto, poco più grandi di me. Una stanza angusta e buia al punto da farmi sembrare una reggia i miei due locali della portineria di mia madre.
Mio padre lascia il carbone e non vuole soldi, mentre la signora ringrazia, gesticolando, in una lingua che non conosco.
Scendendo le scale mio padre mi dice solo: “Lo vedi Giovy come vivono i poveri cristi?”.
Quel Natale avevo chiesto i gemellini Andrea e Poldina che avevo visto l’aprile precedente alla Fiera di Milano ed erano mesi che sfiancavo, come sanno fare i bambini, i miei genitori per averli, trovando la loro resistenza.
Costavano 16.000 lire, una cifra pazzesca al tempo e avrebbero voluto lo capissi visto che ero grandina ormai.
Ho collegato questa richiesta alla scena vista e da quel giorno non li ho più chiesti.
Però a Natale li ho avuti lo stesso!
I due bambini sono diventati miei amici nel tempo, la Bovisa mantiene ancora adesso un connotato un po’ paesano, allora ci si conosceva proprio tutti.
Li vedo ogni tanto, più che altro ai funerali di amici comuni perché loro si sono allontanati dal quartiere, la città li ha perfettamente integrati e ha assicurato loro un futuro sereno. Quando li incontro, con il rosso ormai sbiadito dei loro capelli, sempre mi ritorna il ricordo di quel pomeriggio invernale del 1963.
Ricordo perfettamente l’anno perché le due bambole sono ancora oggi il più bel regalo che io abbia ricevuto a Natale.