Bonomi e il licenziamento di lavoratori via WhatsApp

per mafalda conti
Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
In una intervista interessante rilasciata ad Alessandro De Angelis per l’Huffington post, il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, spiega che la legge impedisce il licenziamento di lavoratori via WhatsApp e aggiunge che continuare a parlarne (come si ostina a fare il ministro Orlando, ndr) è “pura propaganda anti-impresa. Una delle tante narrazioni a fini politici che di fatto non ha alcun fondamento”.
Ha ragione?
Ha torto?
Se vi va, seguitemi un istante: un licenziamento individuale può avvenire anche via WhatsApp, nel senso che anche in quel caso esiste l’obbligo a una comunicazione scritta, ma la giurisprudenza (seppure con controversie legali) ritiene un messaggio inviato sul telefono l’equivalente di una raccomandata. Un paio di sentenze, per la verità, il problema lo ha affrontato e in quei singoli casi i giudici hanno stabilito che la chat può sostituire la forma scritta. Se chiedete a me (che non sono un giurista) vi dico che la tesi mi pare zoppicare parecchio, ma quel che penso io non interessa. Prima o poi, invece, penso che dovrà occuparsene la Cassazione.
Invece nel caso di licenziamenti collettivi (le grandi aziende) quella forma di comunicazione non è ammessa (ecco che pare avere ragione il presidente Bonomi). Vale la norma della lettera in forma scritta. E allora?
Allora è semplice: ai 422 lavoratori della Gkn di Firenze e ai 90 della Logista di Bologna non è arrivato un messaggio WhatsApp con la lettera di licenziamento (che richiede l’avvio di una specifica procedura regolata dalla legge). Loro hanno ricevuto un messaggio (il venerdì sera) col quale gli si comunicava l’immediata sospensione (o in alternativa la chiusura dei cancelli).
Chiaro? Cioè in pratica con quel messaggio WhatsApp scoprivano di essere stati messi in mezzo alla strada, ma la procedura di licenziamento (perbacco, regolare) partiva parallelamente al messaggino che all’ora di cena comunicava a quegli operai e alle relative famiglie che per loro il lavoro non c’era più.
Come la vogliamo chiamare questa roba?
Un metodo brutale?
Licenziamento in tronco, ma nel rispetto del protocollo (non dico del galateo)?
Ecco dove il presidente di Confindustria ha torto. Nel ritenere che la forma, una volta ossequiata, spenga la sostanza (che è fatta anche della dignità della persona).
Quell’accusa al ministro Orlando di fare della propaganda anti impresa, dunque, è sbagliata per due ragioni.
La prima è in una scarsa considerazione dell’intelligenza e della cultura del ministro che (potrei persino dolermene!) è un sincero riformista (nel Pci sarebbe stato iscritto d’ufficio alla corrente migliorista) e sa non bene, di più, che senza una impresa sana e produttiva il lavoro non lo si difende. Ma sa anche che i lavoratori vanno sempre preservati nei loro diritti e nella loro dignità. Lo insegnava già Giuseppe Di Vittorio prima che il presidente attuale di Confindustria nascesse.
La seconda ragione sta nell’idea (se ho compreso bene) di fare indossare al ministro i panni dell’uomo di parte che punta solo a propagandare ricette incompiute, magari per mettere in ambasce il governo di cui è parte. E qui l’errore è nel non sapere (o nel non voler sapere) che la sinistra di questo paese è stata sin troppo responsabile negli ultimi vent’anni, e lo è stata anche quando un pezzo dell’impresa (non tutta e non la maggior parte: un pezzo) ha fatto gli affari (e i profitti) suoi mentre altri (compresa la politica) si caricavano il peso di scelte che si sono pagate anche sul piano del consenso.
Ora, in sintesi, sono certo che gli operai della Gkn e Logica saranno sollevati dalla scoperta che nessuno li ha licenziati via WhatsApp perché la legge lo vieta. Li hanno “solamente” sospesi dal lavoro. Per cui non stiano lì a far le pulci e si leggano l’intervista del presidente degli industriali.
L’altra conclusione a che con ogni probabilità (per non dire evidenza) il vertice confindustriale vedrebbe di buon occhio una uscita di scena del ministro Orlando (che fa solo della propaganda).
Ma su quest’ultimo auspicio siccome (nel mio piccolo) lo giudico, al contrario, uno dei ministri migliori, delle due l’una: o Confindustria convince chi la pensa allo stesso modo suo in Parlamento a sfiduciare il ministro oppure non rimane loro che sperare sia il ministro Orlando a proporre di intitolare l’attuale Castello San Giorgio a La Spezia a Giuseppe Stalin!
Ma ho il sospetto che non lo farà.
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