Bolognina: il crollo del muro di Berlino si abbatte sul PCI

per Gabriella
Autore originale del testo: Celeste Ingrao e Cristian Pardossi

di Celeste Ingrao – 12 novembre 2018

Me la ricordo benissimo quella domenica. Mi ricordo prima lo sconcerto e poi il senso di irrimediabilità. Il senso che ormai tutto era già successo e che non sarebbe stato possibile tornare indietro.
Ma soprattutto mi ricordo i mesi e gli anni che sono venuti dopo. Due congressi, quando la parola congresso aveva un senso alto e non si riduceva alla spasmodica ricerca di un leader. Infinite assemblee. E oltre alle assemblee gli incontri informali. Le liti furibonde e le nuove solidarietà. Le amicizie che si rompevono e quelle che nascevano. Perché quello su cui stavamo discutendo non era qualcosa di astratto. Eravamo noi, le nostre passioni, il nostro passato e la nostra idea del futuro.
Come dice giustamente Cristian Pardossi: “ciò che si scatena a partire da quel 12 novembre è forse il più grande esercizio di democrazia, discussione e confronto che la cd “prima Repubblica” conoscerà,”
Sono passati quasi trent’anni. Tanti dei protagonisti di allora non ci sono più. Noi ci siamo fatti vecchi. E quelli venuti dopo non sanno proprio di cosa stiamo parlando e probabilmente non riescono nemmeno a immaginarlo.
Ho un cruccio – fra i tanti – che di quella esperienza si perda anche la memoria. Penso che toccherebbe a chi quegli anni ha vissuto – a tutte e tutti noi – raccontarli e portarne testimonianza. Inventare una nuova sinistra spetterà alle nuove generazioni. Darle un passato e una storia è compito nostro.

-.-.-.-.-.

di Cristian Pardossi – 12 novembre 2018

Era domenica, quel 12 novembre di 28 anni fa. Tre giorni prima le immagini dell’apertura e del crollo del Muro di Berlino erano rimbalzate da un paese all’altro, su tv, radio e giornali.
Già da un paio di anni il PCI discuteva del suo futuro. Dal congresso del 1988 era uscita la conferma del nome, unita alla volontà di rilanciare e rinnovare il partito, marcandone ancora di più l’esperienza e la specificità nazionale rispetto al contesto del comunismo mondiale. Ma il crollo del Muro si “abbatte” anche sul PCI: Occhetto, che in quei giorni era in vacanza con la moglie, si presenta a sorpresa alla commemorazione della battaglia della Bolognina e davanti ad una platea di partigiani e iscritti dice che bisogna cambiare, perfino il nome del partito.
È un annuncio choc, che avviene saltando qualsiasi prassi consolidata (il segretario non si era consultato con nessuno) e che getta scompiglio nello stesso gruppo dirigente, inaugurando quella che è passata alla storia come la “svolta della Bolognina”. Da lì a pochi giorni si svolgerà un comitato centrale “drammatico” (celebri le immagini dei militanti fuori dalla sede che protestano), da cui uscirà l’indicazione di un percorso congressuale lungo due anni, durante il quale il partito e tutto il suo popolo verranno coinvolti in una discussione intensa, animata, a tratti lacerante e non priva di elementi di emotività, al termine della quale il PCI cesserà di esistere e darà vita al PDS (e per scissione al PRC).
A quasi trent’anni da quell’evento, la Svolta continua a far discutere (“quali effetti ha prodotto?”, “Andava fatta?”, “in quel modo?”, “è rimasta incompiuta?”, ecc) anche se il mondo appare cambiato al punto da non essere più interpretabile con molte delle categorie analitiche di allora.
Indipendentemente dal giudizio sulle conclusioni e sugli effetti di quella svolta, ciò che si scatena a partire da quel 12 novembre è forse il più grande esercizio di democrazia, discussione e confronto che la “prima Repubblica” abbia conosciuto, e non teme confronti con altre successive esperienze della seconda repubblica che hanno coinvolto forse più persone ma senza farle discutere.

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