Bersani ospite dei bersaniani

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Antonio Napoletano
Fonte: facebook

Antonio Napoletano –  16 novembre 2014

SATURNO NON ABITA PIU’ QUI.

Seguo l’assemblea dei bersaniani in videoregistrazione. In realtà non ha nulla di assembleare, ma molto di un rigido ordine formale, che snocciola, uno dopo l’altro, interventi tutti rigorosamente affidati alla neonata e piccola nomenclatura di corrente.
La platea è silente fa, appunto, la platea e assiste. A giudicare dalle poche panoramiche, sembra a me, una platea non affollata e di molte teste bianche.
Il dato prevalente di questo incontro è la rivendicazione, che però non suscita entusiasmi, del proprio ruolo critico, ma proponente.
Autonomia e Responsabilità, dice il peso leggero e ministro Maurizio Martina.
L’atmosfera è, complessivamente dimessa. Il tono degli interventi è moderatamente accalorato, ma conciliante nella sostanza, e tutto rivolto nei confronti della maggioranza, anzi di Matteo. (Anche qui ormai non si usano più i cognomi e il solo Cesare Damiano azzarda un “care compagne e cari compagni”, suscitando l’unico vero applauso convinto, insieme a quelli riservati a Bersani). Maggioranza, sulla quale, peraltro, nessuno dà veri e propri giudizi politici, se non quello implicito alla stessa valorizzazione della propria e rivendicata capacità correttiva. Senza la quale, ripetono tutti, l’attività di governo risulterebbe ancora più scadente e pericolosamente spostata a destra.
Quello che capisco è che, al di là di questa funzione ‘emendatrice’, l’area o corrente in formazione non ha propri e radicali convincimenti.
Certo, tutti deplorano la rozzezza renziana dimostrata nell’aggressione ai “corpi intermedi”, allo svuotamento leaderidistico del partito. E questo non per rivendicarne un’altra forma, un’altra politica. Quanto piuttosto per adeguarne (emendarne) il lato oscuro. Quello che ha rischiato e rischia ancora di far precipitare la spinta propulsiva renziana nell’irrilevanza, troppo esposta com’è, a causa della sua eccezionale capacità comunicativa, in una solitudine incapace di vero ‘ascolto’ delle ‘sofferenze’ del Paese e pericolosamente propensa a semplificazioni azzardate della necessaria complessità del tessuto democratico e del quadro istituzionale.
I rischi incombenti di conflagrazione di questo tessuto sotto i colpi della crisi esaltano quel “tenere assieme” nel quale si condensa il compito essenziale di questa area e, quindi, la imprescindibile vocazione alla trattativa, al più uno. Ed è un “tenere assieme” non molto sofisticato nelle analisi e nella tassonomia possibile sia degli interessi sia delle parti sociali in gioco. Sembra quasi più rispondere al far fronte reclamato da quelle figure essenziali nello schema politico di questa componente individuata negli amministratori locali. E attorno a questi che, in fondo, più o meno apertamente i vari interventi hanno reclamato una ripresa del partito. Ed è guardando ancora volta a essi che si è affrontato il terreno renziano delle riforme. Mettendo in valore più i punti di convergenza che quelli di possibile differenziazione e/o rottura. Non a caso c’è chi ha fatto risalire al programma dell’Ulivo gran parte dei contenuti riproposti da Renzi. In subordine e quasi di passata la questione delle risorse necessarie al “tenere assieme”, facendole dipendere quasi esclusivamente da decisioni europee. Infine, nessun serio approfondimento alla questione del tempo e di come questo agisca, non solo sulla polarizzazione delle disuguaglianze, ma anche per una accentuata scomposizione della loro sostenibilità in ragione delle condizioni sociali.
Insomma, una posizione, illustrata dai vari interventi, correttiva. Tutta tesa a dimostrare la propria organicità al disegno originario del PD. Disegno dentro il quale però c’è pure la variante Renzi, la cui capacità attrattiva di pezzi di elettorato in libera uscita dal centrodestra costituisce la risorsa in più per tutto il PD. Anche se – e qui sta la motivazione fondante dell’area – a detta ‘risorsa’ è necessario mitigare irruenza, semplificazioni, il sincretismo culturale e politico.
Sin qui, l’interesse di questa passerella oratoria è stato assai modesto.
Il colpo di teatro lo dà invece proprio l’ordine d’intervento dei vari esponenti.
Ed è sorprendente vedere il trattamento riservato a Bersani.

L’ex segretario, infatti, interviene giusto a metà della passerella, quasi fosse un invitato di rispetto e non più il capo dell’area riformista.
Ed è proprio così.
La cosa si chiarirà con la chiusura dei lavori affidata all’astro nascente, il diversamente renziano, Roberto Speranza, il capogruppo dei deputati PD.
Il suo intervento, suona subito come il vero controcanto a quanto è andato dicendo alla sua maniera Bersani. Non a caso due affermazioni decisive fanno da refrain a queste sorprendenti conclusioni: l’aperta rivendicazione del PD come Partito della Nazione in costruzione e la continua sottolineatura dell’ininterrotto dialogo tra Speranza e Renzi.
Non ci sono tentennamenti, né conti in sospeso per questo loquace, giovane politico meridionale, saldamente e familisticamente insediato nel suo territorio di provenienza, ma la sicumera del politicante che maneggia con scaltra strumentalità concetti e categorie ben conoscendo l’arte dello scambio.
Con spregiudicata sicurezza fa l’apologia del partito pigliatutto. E’ dentro questo – come dimostra il risultato rivendicato col Jobs Act e la nuova versione dell’Italicum – che incardina la riserva indiana di una sinistra dedita a trattative ed emendamenti. E lo fa rivendicando a sé e alla propria visione il più coerente adeguamento di questo suo PD all’esperienza storica della SPD, dentro la quale, dice, convivono un elettorato di centro (destra) e quello di ‘sinistra’. Anche se questo significa perderne per strada la suggestione originaria dell’incontro delle culture riformiste. Sulla quale cosa Bersani aveva appena finito di richiamare e polemizzare con Renzi e i renziani.
Dunque, per dirla in breve, stavolta sono i figli che hanno mangiato l’improbabile Bersani saturnino e questo capovolgimento del mitico racconto, formalizzato a Milano, avviene sotto i miei occhi come una rituale e scadente giubilazione del padre, senza dramma, né vere motivazioni, ma come piccola manovra trasformista.

P. S.
Risentire Bersani, mi convince ancora una volta della grande occasione perduta con la sua mancata elezione a capo del governo, Un uomo onesto, un onesto riformista che avrebbe fatto bene a questo Paese in via d’impazzimento.
E maledico la coppia Grillo&Casaleggio per quello che ha permesso e le complicità con le quali tutto è stato reso loro più facile e confuso.

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