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BELLA CIAO – di CARLO PESTELLI – ed. ADD
“Bella Ciao” La canzone della libertà
Prefazione di Moni Ovadia
Se Bella ciao fosse qualcuno, donna o uomo non importa, questi sarebbe nato in una città bilingue, da genitori apolidi, figli a loro volta di altre lingue e che in casa parlavano un dialetto a noi oggi poco noto…
Bella ciao! La canzone della libertà. Non c’è canzone al mondo capace di scatenare un’euforia collettiva come Bella ciao, ma allo stesso tempo non c’è canzone in Italia altrettanto capace di dividere gli animi. Sempre, però, nelle manifestazioni pubbliche e in molte ricorrenze istituzionali, le note di Bella ciao sono una bandiera di libertà perché quelle parole che tutti sanno a memoria rilasciano un’energia speciale. Ma quando e in quali circostanze nasce questo canto così famoso? Dov’è che testo e melodia si sono intrecciati per dare vita alla canzone della libertà? Perché un canto popolare tutto sommato recente si è diffuso in decine di versioni e traduzioni in tutto il mondo?
La storia di Bella ciao ha un percorso spazio-temporale non privo di lati oscuri e se l’asse portante è l’appennino padano nel rovinoso epilogo dell’ultima guerra mondiale, echi della melodia circolavano già da molto prima: tra antiche romanze cantate nelle aie, motivi yiddish sfrigolati dai violini di migranti e canti delle mondine nostrane. L’approdo più noto è quello della Resistenza partigiana, ma la storia passa anche per le trincee della Prima guerra mondiale e la Parigi di Montand, in un’incessante cavalcata che risuona, oggi, anche nelle piazze di Hong Kong, Istanbul e New York.
Carlo Pestelli, cantautore e appassionato di storia, ricostruisce l’ipotetico percorso della canzone, ne racconta i luoghi e le esecuzioni più e meno celebri. Un viaggio fatto di musicisti di strada e combattenti, parolieri di frontiera e reduci, donne coraggiose, chansonnier, traduttori, osterie e funerali affollati. Un viaggio che continua a rivivere ogni volta che nelle piazze, le prime, inconfondibili parole si accendono: “Una mattina, mi son svegliato, oh bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao”.
Carlo Pestelli è dottore di ricerca in Storia della lingua. Insegna linguistica generale alla Scuola universitaria per traduttori e interpreti di Torino. Musicista e cantautore, ha all’attivo tre dischi e due produzioni teatrali.
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Molti autori si sono occupati della storia di Bella ciao, tra questi Cesare Bermani con il saggio La “vera” storia di “Bella ciao”, contenuto nel suo libro “Guerra guerra ai palazzi e alle chiese…”. Saggi sul canto sociale, Odradek, Roma 2003, pp. 223-263.
(di Marco Toscano, storiamestre.it)
Nel 1962 i due ricercatori Gianni Bosio e Carlo Leydi registrarono dalla voce della cantante popolare Giovanna Daffini una versione di risaia della canzone partigiana Bella ciao, già allora ben conosciuta. Lo spettacolo omonimo presentato al Festival dei due mondi a Spoleto nel 1964 (denunciato alla magistratura per aver proposto la canzone antimilitarista O Gorizia – “…qui si muore gridando assassini…”) si aprì con la versione di risaia e si chiuse con la versione partigiana. I dischi che ne seguirono fecero conoscere la canzone nelle due versioni. Si ipotizzò che la versione partigiana derivasse da una precedente canzone di risaia, presumibilmente cantata da mondine del nord Italia negli anni Trenta.
Tale ipotesi venne smentita da un compaesano di Giovanna Daffini di nome Vasco Scansani (erano entrambi di Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia), il quale dimostrò di essere lui l’autore della versione di risaia: l’aveva composta lui, ma nel 1951 (in realtà si scoprì essere il 1952), per una gara canora tra squadre di mondine. Scansani, che era stato partigiano, raccontò di aver cantato Bella ciao nei giorni della Liberazione a Reggio Emilia, dove, così disse, la canzone in quel periodo era molto popolare. Era dunque Bella ciao partigiana all’origine della canzone di risaia, e non viceversa, come si era fin lì creduto? Cominciò la ricerca sull’origine e sulla fortuna della canzone.
Tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta si appurò che Bella ciao partigiana era cantata nella primavera e nell’estate del 1944 nella zona di Montefiorino, nel Modenese, nel Reggiano, nell’alto Bolognese e sui monti Apuani. Si accertò inoltre che la canzone era accompagnata già allora dal battito delle mani. Le testimonianze raccolte negli anni successivi avrebbero confermato questo dato: Bella ciao partigiana era cantata cioè tra il 1944 e il 1945 nel centro Italia, di sicuro in Lazio, Abruzzo (era l’inno della Brigata Maiella) ed Emilia.
La questione si riaprì nel 1974, quando Rinaldo Salvadori, di Cortona (Arezzo) dichiarò di aver composto alla metà degli anni Trenta una versione di risaia di Bella ciao, dimostrando che tale versione era entrata fin da quegli anni nel repertorio delle mondine.
Difficile, per Bella ciao come per tutte le canzoni popolari, stabilire nettamente le origini. Secondo un’ipotesi iniziale, tuttora seguita, la canzone partigiana discende come testo dalla canzone narrativa Fior di tomba. Per la musica, l’ascendenza sarebbe invece la canzone narrativa La bevanda sonnifera. Si sa che quest’ultima canzone veniva insegnata negli anni Trenta dai bambini con il battito di mani, per apprendere il coordinamento dei movimenti.
Altri indizi però non furono seguiti. Nel 1966 fu registrato per esempio un frammento di canto di protesta cantato subito dopo la rotta di Caporetto, nella prima guerra mondiale, che diceva: “Una mattina mi son svegliato / o bella ciao, ciao, ciao o bella ciao, ciao, ciao / una mattina mi son svegliato / e sono andato disertor”.
Altri elementi che avrebbero bisogno di ulteriori ricerche: la melodia di Bella ciao era diffusa nel 1944 in Germania; c’è una canzone yiddish con una melodia che presenta notevoli somiglianze; una canzone simile era diffusa nella Resistenza francese (si spiegherebbe così la presenza del termine “l’invasor”, che nella canzone francese sono gli italiani che invadono la Francia nel 1940), e pare anche tra i franchisti durante la guerra di Spagna.
La canzone partigiana, ben nota fin dagli anni Cinquanta, fu divulgata negli anni Sessanta, come si è detto, dallo spettacolo Bella ciao e dai dischi del Sole. Era la canzone adatta a confermare in quegli anni di Centro-sinistra l’ideologia della “Repubblica nata dalla resistenza”, dei “valori nazionali della Resistenza” e della “guerra di liberazione nazionale”. Nel 1965 i partigiani sfilarono a Milano per la prima volta non con i fazzoletti che portavano nella Resistenza (e cioè rossi, verdi e azzurri, a seconda delle formazioni), ma con quelli tricolori. La resistenza veniva celebrata in altre parole come unità di partiti e di forze che avevano dato vita alla repubblica e alla costituzione.
Fischia il vento, la canzone più diffusa al nord durante la Resistenza, fu abbandonata: perché parlava della “rossa primavera” e del “sol dell’avvenir”, e perché utilizzava la melodia del canto russo Katiuscia.
Nel giro di pochi anni Bella ciao, anche grazie al battito delle mani, divenne la canzone per antonomasia della resistenza e di tutti i partigiani.