di Lillo Colaleo 29 giugno 2015
La tragedia greca è al suo ultimo atto: Alexis Tsipras, sfiancato, ma non piegato, manda una lettera all’una di notte ai greci chiamandoli a dare una grande prova di dignità e democrazia. L’FMI e l’Unione Europea lo mollano lì dov’è, lo stringono, lo strangolano. L’opinione pubblica europea si divide, si prende le parti, di l’una o l’altra parte, per poi semplicemente voltare le spalle, non esporsi al rischio del contagio.
La vicenda greca, nella sua tristezza, è la conseguenza logica ed inevitabile di un processo di disgregazione del sistema di governance multi-livello dell’Unione Europea. Un’organizzazione internazionale che non è né il prodotto del Manifesto di Ventotene, affossato in mezzo secolo prima nel 1954 e dopo nel 2004, né è il prodotto del c.d. spirito di Messina, il cui processo di integrazione non ha raggiunto il proprio scopo, come d’altra parte era già stato osservato nel 2001 dal consiglio europeo di Laeken, quando già si paventava, con timore, la crisi del sistema di governance europea. L’Unione europea ha finito per tradire sé stessa e le sue stesse fondamenta scricchiolano, dimostrando la loro intrinseca debolezza, sotto i colpi incessanti della crisi.
La storia greca è la storia dell’Europa. I popoli, chiamati alle prove della sovranità, hanno mandato inequivocabili segnali di insofferenza e di disagio verso il grande Elefante d’argilla, che neppure lo storico compromesso tra le forze liberali e le forze socialiste riesce più a tenere in piedi. La grande ed immensa macchina di tutela del credito non riesce più a reggersi sui compromessi a ribasso che il socialismo europeo ha puntualmente garantito, spendendo, ed esaurendo, la propria credibilità verso la propria base popolare, a causa delle innumerevole riforme, o meglio dire rinunzie, che i popoli europei hanno stoicamente affrontato in decenni di trasformazioni sociali ed economiche in previsione della promessa di un più ampio e diffuso benessere europeo.
La scommessa, tuttavia, non ha retto. L’aver differenziato politiche economiche e politiche monetarie ha prodotto un disastro. L’aver permesso la sopravvivenza, politicamente e funzionalmente svuotata, degli Stati nazionali ha incrementato egoismi e differenze sociali ed economiche. L’aver limitato l’Unione ad una logica utilitarista e mercantile, privandola di importanti funzioni di indirizzo, l’ha resa impotente dinnanzi alla tecnocrazia ed al mito dell’ideologia neo-monetarista. La tutela del credito non ha garantito né la razionalità del sistema, né la sua operatività in funzione della crescita e dello sviluppo. E le stesse riforme economiche, la terza via, il presunto volto buono di questo contradditorio processo, non ha trovato nessuna “mano invisibile” per cui magicamente la tutela degli interessi individuali dovesse poi arrivare a garantire la trasformazione di questi in opportunità per più vasti interessi collettivi. L’avanzamento delle strutture economiche del capitale, ormai di dimensione globale, non hanno trovato dinnanzi nessun capacità di governo da parte di quelle sociali, ancorate a vetuste ed inadeguate strutture nazionali. Il fallimento è stato totale, assoluto, indiscusso. La Governance europea ha fallito: nella sua incapacità di governare il mondo, ha finito per farsi governare dagli eventi.
Il gesto di Alexis Tsipras è il finale non preventivato, ma prevedibile. Non è né un atto di follia, né un gesto di irresponsabilità, né un tatticismo, né ideologismo dogmatico. E’ la sfida tra Davide e Golia, l’eresia disperata di chi si richiama alla dignità della democrazia dinnanzi ai diktat delle forze economiche del mondo. Il machiavellismo becero delle analisi che si leggono in questi giorni vogliono vedere quello che non c’è, mentre la capacità del Capitalismo internazionale di provocare invidie ed odi tra poveri evidenziano quello che c’è, ma non si vede. La fase è di profonda transizione ed è enormemente critica, incapace di produrre adeguate analisi ed assolutamente divisa nella elaborazione di strategie di governo del problema, in un Mondo che, globalizzato, ma anche fortemente travagliato, pare essere rientrato nella Storia, dopo esserne apparentemente uscito, riproponendo le medesime problematiche di conflitto a livello sociale, culturale, politico, economico, religioso.
La battaglia è e resta tutta politica, anche da parte di chi si maschera dietro un presunto neutralismo garantito dalla logica utilitarista del mercato. In questa battaglia, dove il lungo fronte sembra essersi sembra essersi assestato in Europa, c’è un forte posizionamento delle parti sociali in gioco, una incredibile ridefinizione di potenti assetti di interesse, c’è l’affermazione dello strapotere della governance economica dei potentati del Capitale rispetto agli Stati ed alle democrazie nazionali, che sembrano fino ad ora essere assolutamente impotenti dinnanzi a tutti ciò. Tuttavia, la logica dei popoli rifugge ogni ragionevole calcolo: le elezioni in ogni singola nazione hanno evidenziato come la battaglia per l’Europa sia in corso, mettendo in moto la Storia, incapace di incastrarsi tra le righe di chi la vuole imprigionare, ma capace di proiettarsi verso orizzonti sconosciuti e disattesi. Il gesto quasi eretico di Tsipras sconosce questa dimensione. E’ e rimane una eresia, che ci darà la misura di quanto la giustezza della causa possa alfine corrispondere allo spirito del proprio tempo, la causa delle democrazie nazionali, quella degli Stati, quella della modernità, e ci dirà se queste avranno ancora posto nel Mondo che sta venendo su o se piuttosto dovranno cedere il passo a qualcosa che non abbiamo mai visto finora, costringendoci a prendere definitivamente ed inequivocabilmente atto della “morte dello Stato” e conseguenzialmente a munirci di strumenti culturali, politici e sociali di cui non pensavamo sarebbe mai venuto il momento di avere bisogno.