Astensione e democrazia. Il problema dei problemi.
di Alfredo Morganti
Era ovvio che i più colpiti dall’astensione (in primis la destra) impugnassero la bandiera del non voto per rivoltarla contro i vincitori: i sindaci sono stati eletti da una minoranza!, così hanno detto. Trascurano il particolare che l’astensione è anche figlia di una propaganda antidemocratica (che arriva all’estremo dell’assalto alla CGIL), di una svalutazione della democrazia rappresentativa, di una critica sistematica ai partiti (sino alla loro dissoluzione), di una battaglia “anti-casta”, in cui la destra stessa, per prima, si è profusa, a partire dai protopicconatori della prima fase finiana e cossighiana. La destra e l’antipolitica seminano vento per raccogliere, come d’uopo, tempesta. Non se ne lamentino quindi.
Ciò detto, il fenomeno dell’astensione è comunque ragguardevole, ben oltre i limiti di soglia. È probabile che alle politiche in parte venga riassorbito. Pur tuttavia deve essere chiaro che, se le dimensioni sono queste, la democrazia paga prezzo. Viene erosa alla base, con esiti immaginabili. Oggi come oggi, c’è una élite democratica, costituita da ceto medio intellettuale, che costituisce la nostra base elettorale inossidabile – ma c’è poi una forza popolare, che non dispone di strumenti critici affilati e che subisce l’effetto dei media, che invece si allontana dalla urne. Certo, sospinta in questo dalla propaganda antidemocratica – ma comunque prossima alla disaffezione completa, come tipica massa di manovra. Penso al mio Municipio, il VI di Roma, che è un caso nazionale per il risultato in controtendenza che ha prodotto. Qui i ceti popolari sono la stragrande maggioranza
Ecco, chi fa politica in questo territorio ultraperiferico forse dovrebbe assumersi delle responsabilità per l’esito delle urne, forse dovrebbe trarne qualche conclusione, e magari dedicarsi ad altro. Che so, al giardinaggio. Ma, detto questo, c’è un dato oggettivo: laddove i ceti popolari a Roma sono in maggioranza nella composizione sociale, il risultato a favore del centrosinistra è meno scontato, anzi. Non tanto e non solo perché “la sinistra si è dimenticata del popolo”, come si dice con troppa fretta, ma anche e soprattutto perché i meccanismi di costruzione dell’egemonia sono tali da proporre proprio questo esito finale. Chi non dispone di strumenti critici subisce il messaggio, assorbe i flussi mediali, è succube dei social, soffre il passaparola, è vittima di una propaganda antipartitica e antiparlamentare martellante. L’astensione è solo un possibile esito, perché poi ci sono anche le violenze di piazza, gli scontri, gli assalti fascisti, la rivolta contro le istituzioni, il risentimento serpeggiante.
Per evitare che la democrazia divenga un fatto esclusivo di élite intellettuali, che i ceti popolari si posizionino fuori dal cerchio della rappresentanza e delle istituzioni, che il monolite democratico sia eroso alla base in modo incontrovertibile, allora è necessario, tra l’altro: 1) non credere di aver stravinto, 2) porsi seriamente il problema dell’astensione, 3) lavorare alla rinascita del sistema dei partiti, 4) uscire dallo stato d’eccezione attuale, che ci toglie autonomia politica, 5) puntellare le istituzioni, 6) fare una “battaglia ideale”, o di egemonia, come si diceva una volta, cioè contrastare apertamente la propaganda antipolitica e antipartitica, 7) mettere in campo la nostra intelligenza per rafforzare un dibattito pubblico che langue e che spinge, con ciò, verso la morte della politica.
Insomma, salutiamo i sindaci del centrosinistra dicendo buon lavoro e avanti tutta, ma la vittoria vera è più avanti, e deve essere una vittoria democratica, per una nuova coesione politica e sociale, in difesa della rappresentanza e della partecipazione. Tutte cose che, senza un sistema dei partiti e una democrazia solida, sono del tutto inimmaginabili.