APPELLO DI PADRE ZANOTELLI AI GIORNALISTI ITALIANI
STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA
Circola da ieri in rete l’appello di Padre A. Zanotelli “Rompiamo il silenzio sull’Africa” rivolto ai giornalisti italiani affinché abbiano il coraggio di far sentire la loro voce, considerata la superficialità e l’integrazione nel mercato globale e l’asservimento a gruppi economici e finanziari dei mezzi di comunicazione. La denuncia parla del rischio fame, dei cambiamenti climatici che rendono inabitabili vasti territori, della vendita di armi, del traffico dei minerali preziosi. L’Italia ha esportato l’anno scorso armi per 14 miliardi nel silenzio generale e chissà quanti altri ancora questo 2023. Si tenta da parte dell’Europa di bloccare i migranti nel Continente africano con contratti fatti con i rispettivi governi per rendere invisibile la catastrofe umanitaria.
L’invisibilità di tali fatti rende incomprensibile l’esodo delle popolazioni africane agli occhi dei cittadini italiani e facile bersaglio di propaganda contraria all’accoglienza. Per secoli queste popolazioni e queste terre sono stati saccheggiate e continuano ad esserlo nell’indifferenza generale. Sotto i nostri occhi, conclude P. Zanotelli, si sta svolgendo un’altra Shoah e bisognerebbe spingere i media a parlarne.
Personalmente, sostengo la buona intenzione, ho letto l’appello, l’ho fatto circolare, ma nutro qualche dubbio perché l’addomesticamento delle coscienze da parte dei media non sarà facile da battere sui tempi corti. La battaglia è come sempre culturale. Le manifestazioni delle giovani generazioni sulla crisi climatica sono state derise, ridicolizzate, criminalizzate, e parlo dei giovani perché più vicini alla scuola e alla formazione culturale delle coscienze critiche. La coscienza critica si forma negli anni giovanili a contatto con i problemi e tenendo conto di tutti gli attori e i fattori in gioco che intervengono nella realtà sociale. Mi chiedo quanto si parli nei licei delle politiche economiche, delle banche, dell’ENI e Finmeccanica, della produzione di alimenti con tecniche sostenibili e via discorrendo.
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Per una singolare coincidenza, ieri sfogliavo la Storia Universale dell’infamia di J. L. Borges. Non so come spiegare, ma l’appello di P. Zanotelli l’ho associato a quanto ieri leggevo. Anche quello che accoratamente ci viene detto nell’appello è un triste e vasto capitolo della storia dell’infamia moderna, mi sono detto. Mi sono chiesto allora quanto si può apprendere da quei racconti brevi e perché essi mi sembrano edificanti. Perché hanno presa sull’anima di chi legge?
Gli esercizi di prosa narrativa, così li definì J. L. Borges nel 1935, che costituiscono i brevi racconti hanno come protagonisti esseri spietati, canaglie e fuorilegge, sullo sfondo di pirati, patiboli ed orribili crimini.
Fatti reali accaduti, lontani nel tempo e nello spazio, sono presi come soggetto e pretesto per tessere un telaio di narrazione, un intervento creativo che arricchisce quegli scarsi elementi di cronaca. Borges prende quelle tracce, le trasfigura magistralmente, fino a darci una narrazione che rimane impressa nella coscienza. Un lavoro fatto ad arte deliberatamente per restituirci una realtà arricchita proprio per l’alterazione che vi è introdotta. Il fatto iniziale, a noi sconosciuto, o sbiadito e povero, ci viene restituito accresciuto, verosimile, dal forte impatto. Quello che realizza Borges non è l’articolo comune del giornale, né un bollettino di sofferenze, ma il tentativo di presentare il mondo concreto e reale sotto una veste culturalmente più comprensibile e capace di penetrare nel profondo.
Ho sempre più l’impressione che la notizia nuda e cruda se non è elaborata culturalmente lasci lo spettatore nello stesso stato di coscienza narcotizzata da tante altre simili. Di fronte al dramma che si svolge davanti agli occhi si rimane nello stato di spettatore distratto, infastidito, attratto magari solo da un selfie. Faccio allora un esempio. Una visita ai campi di concentramento in Polonia certamente lascia una profonda impressione indelebile, la lettura delle opere di Primo Levi può edificare la coscienza se siamo preparati culturalmente ad accoglierne le immagini. Dico questo perché Levi non si è fermato alle cose così come sono andate, ma ha scoperto quale era il suo cammino di narratore tra ricordi, fatti e creazioni necessarie. Così ha dato senso e veridicità alle sue immagini.
“La parola infamia del titolo stordisce, ma sotto il tumulto non c’è nulla. Non è altro che apparenza, una superficie di immagini; per questo può addirittura piacere. L’uomo che lo realizzò era assai sfortunato, ma passò il tempo di forma gradevole scrivendolo. Chissà se qualche riflesso di quel piacere raggiunga il lettore”.
Come interpretare questa frase di Borges scritta nell’introduzione del 1954? Credo che ci parli della gioia della conquista intellettuale, dunque dell’anima, di quanto viene raccontato, che può lasciare una traccia durevole in chi legge e prepararlo a tenere gli occhi aperti sul mondo. Altrimenti, tutti i grandi problemi non ci toccheranno e nemmeno ci sfioreranno, ci lasceranno immutabili. La stampa e i media sembrano interessati ai temi contemporanei ma appena si vogliono affrontare in modo radicale si rifiutano.
FILOTEO NICOLINI
Immagine: Arte Africana