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di Lucia Del Grosso – 11 ottobre 2014
Lo scrivo con rispetto per la minoranza PD. Sul serio. Capisco che votare contro la questione di fiducia posta da un governo guidato dal segretario del partito è una di quelle robe che neanche nei peggiori incubi. Specialmente da parte dell’ultimo VERO segretario di partito, nel senso che ha almeno provato a tenerlo unito, a farne un soggetto politico, non il caravanserraglio che è. E’ come fare reset di anni di lavoro paziente ed estenuante, a rincorrere tutti i personalismi, i protagonismi, le autoreferenzialità per ricondurli nel solco di un progetto comune.
E’ prendere atto che quel progetto non esiste più. Che la ditta è fallita, il nuovo titolare ha portato i libri in tribunale. Resiste il brand, vende pure bene (per ora), ma è una vuota immagine: può aderire al PSE e dire che licenziare è di sinistra, può spolverare il santino di Berlinguer e fare la guerra i sindacati.
Però pretende allineamento alle decisioni e minaccia espulsioni. Strana ditta, eh?
E nessuno chiede conto di questa stravaganza, si continua a rilasciare dichiarazioni come se ancora ci si potesse sedere intorno ad un tavolo e parlare, possibilmente nella stessa lingua.
E così Damiano chiede di non mettere la fiducia alla Camera sul Jobs Act in modo da poterlo migliorare, come se non avesse capito che Renzi la metterà proprio per lasciare lo stesso testo già approvato, altrimenti dovrebbe tornare al Senato e addio velocità. L’ha detto Fassino al Corriere: la postmodernità non si può permettere un Parlamento che discute, le leggi non possono andare avanti e indietro tra una camera e l’altra. Poco importa se poi quest’ansia da prestazione fa approvare precipitosamente norme che finiscono per incasinare il casino che già c’è. Perché ha un grave difetto, l’analisi di Fassino: la cifra della postmodernità è la complessità e quindi non c’è bisogno di norme raffazzonate approvate con il cronometro in mano, ma semmai mediante un percorso più attento e scrupoloso, se devono essere coerenti con una realtà sempre più articolata.
Non credo che Fassino non lo sappia, ma pare che o Renzi abbia imposto a tutti di parlare di velocità, o tutti se lo siano autoimposto.
E questo conformismo è una riprova del fatto che non ci sia più nessuna ditta da difendere: quella a cui pensava Bersani era un organismo dove ognuno era dirigente, perché diceva la sua disciplinatamente per arricchire il patrimonio di idee del partito.
Quindi credo proprio che gli appelli della sinistra PD non riceveranno nemmeno una risposta.
E a questo punto perché non votare contro? Perché si pensa di infrangere un tabù? Già fatto: abbiamo dimenticato che Letta è stato sfiduciato? E non mi si obietti che non gli si votò la sfiducia in Parlamento perché mi metto a ridere. Quindi votare contro la ditta si può: Letta era uno degli azionisti, non un fornitore.
E non aveva ragione di esistere nemmeno lo scrupolo di causare una crisi di governo non votando la fiducia al Senato: Renzi ha chiesto ed ottenuto il soccorso azzurro più per umiliare la minoranza PD che per mettere al sicuro il governo, gli serviva dimostrare che la maggioranza c’è e basta e avanza per neutralizzare qualche dissidenza presente e futura. Voti non dati sottobanco, ma smaccatamente, per intenderci.
Quindi che senso ha votare la fiducia alla Camera? Reggere la candela al patto Renzi-Berlusconi? Non fornire scuse a Giachetti, che si è riaffezionato alla cucina, di tuonare contro quelli che fanno esattamente come faceva lui, cioè disattendere le decisioni del partito?
Ma pensateci, dirigenti della sinistra PD, che quello che state difendendo non è una ditta, quella di Bersani, che arricchiva il suo patrimonio di idee giorno per giorno tramite il confronto, e nemmeno una casa: è una strada trafficata senza semafori, strisce pedonali, né segnaletica alcuna. Peggio, il vigile è Renzi.
Pensateci, che ogni volta che proporrete un contributo lui vi sbatterà in faccia la fiducia forte del sostegno di Berlusconi. Ma almeno comincerete a ritessere il legame con noi, i 400.000 che si sono autoepurati dal PD. Siamo il vostro esercito di riserva.