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Recensione a:
Antonia Pozzi. Mia vita cara. Cento poesie d’amore s silenzio; a cura di Elisa Ruotolo (Interno Poesia, Latiano 2019)
“Antonia non fu in pace. (…) La vedo scalare le montagne, infilare le dita tra le rocce col bisogno di guadagnarsi una tregua”. Così Elisa Ruotolo, curatrice del libro di liriche di Antonia Pozzi “Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio”, edito da Interno Poesia.
Antonia Pozzi, voce poetica degli anni Trenta del Novecento (1912-1938 e per scelta), meglio, intensa voce poetica femminile “in anticipo sui tempi” – come l’ha ben definita la sua biografa Graziella Bernabò -, era una ragazza taciturna. Ma il silenzio esteriore faceva da argine ai marosi del “di dentro”. Ipersensibile, “anima palpitante, ridente, nostalgica, appassionata”, come lei stessa si definì, non poteva che vivere di tumulti interiori. Per questo, sì, le montagne e la natura in generale erano uno spazio dove trovare la quiete: della bellezza, del raccoglimento, del silenzio come verità. “Il suo era un desiderio di altezza, di infinito: la straziante volontà di accogliere amore, libertà” scrive Ruotolo nella sua prefazione.
Già, l’amore. Per Antonia cardine esistenziale e artistico: amore per le “cose sorelle”, per gli umili e i bisognosi, il mondo e le sue creature. Per la semplicità che significa guardare la vita nel suo midollo. Per la poesia e la fotografia. Per tre uomini: il suo professore di liceo, Antonio Maria Cervi, e due allievi universitari come lei, alla Statale di Milano, del filosofo Antonio Banfi: Remo Cantoni e Dino Formaggio. Tre amori – rispettivamente la “luce”, il “secondo amore” e il “compagno” – che l’hanno accesa ma non della reciprocità sperata.
Ruotolo rileva nella Pozzi “una precarietà non fragile” perché desiderante. E questo desiderio brucia non solo nell’anima ma anche nel corpo, vuole “brace” e “carezze”. Risponde a “un bisogno di vita vissuta secondo la propria natura” e non a convenzionalità, a maschere imposte.
La poesia allora rappresenta “una nudità emotiva” scrive Ruotolo. Ma, aggiungiamo, frutto di una fatica creativa che lavora il silenzio origine della parola per atto d’amore. Una lirica pozziana paradigmatica del legame tra silenzio e amore è “Lieve offerta”: la stessa poesia si fa quête di un ritorno a un luogo già conosciuto o intuito (un luogo di silenzio), e vorrebbe farsi “ponte, / sottile e saldo, / bianco – / sulle oscure voragini / della terra”. Inizio e fine come inizio vengono a coincidere in uno spazio metaforico e originario che è silenzio come infinito e come spazio del cuore. Dono.
Tiziana Altea,
studiosa pozziana, autrice del libro “Antonia Pozzi. La polifonia del silenzio” (presentazione di Gabriele Scaramuzza, introduzione di Graziella Bernabò, Cuem, Milano 2010); curatrice del sito www.antoniapozzi.it
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