Fonte: Scienza in rete
Ho incontrato Anthony Fauci vent’anni fa a Durban, Sudafrica, durante la tredicesima Conferenza mondiale sull’AIDS. Già allora il cinquantanovenne Fauci era uno dei protagonisti della lotta all’AIDS, sia dal punto di vista scientifico, sia da quello della sanità pubblica.
Dopo una prima fase di buio totale, quando nel giugno del 1981 erano stati segnalati i primi malati di una atipica polmonite accompagnata da altre malattie opportunistiche fra cui il sarcoma di Kaposi, e il totale smarrimento della comunità scientifica, Fauci vinse le resistenze dei conservatori che non volevano neppure occuparsi di AIDS, considerata una malattia di nicchia.
La nicchia, come noto, era quella degli omosessuali.
Fauci fu fra i primi scienziati al mondo a dire che l’AIDS non avrebbe riguardato solo una ristretta porzione di persone. “Col passar dei mesi” ricorda lo scienziato in una intervista, “mi convinsi sempre di più che sarebbe stato un disastro per la società”.
Il suo primo articolo sull’AIDS, in cui prevedeva che la malattia non sarebbe rimasta confinata alle popolazioni dove si era manifestata per la prima volta, gli era stato rifiutato dal New England Journal of Medicine, ma pubblicato subito dopo dagli Annals of Internal Medicine nel 1982.
Fin dai primi anni Ottanta Anthony Fauci fu costretto a vestire i panni della Cassandra, inascoltata da viva, osannata a profezie avverate. Proprio quello che sta avvenendo oggi sotto la presidenza di Donald Trump, la cui mente adolescenziale fatica a sopportare le stime sull’epidemia di Covid del suo settantanovenne consigliere, da 36 anni a capo dei National Institutes of Allergy and Infectious Diseases (NIAID). E che giusto ieri sembrava volesse licenziarlo via Twitter, minaccia poi smentita dallo staff della Casa Bianca.
AIDS, moderna via crucis
A Fauci si deve una delle prime chiare illustrazioni delle caratteristiche dell’HIV: “Il virus è chiamato retrovirus, è un virus a RNA. Ciò significa che non può replicarsi a meno che non converta l’RNA in DNA. La maggior parte delle cellule che si replicano vanno dal DNA all’RNA. Questa cellula fa il contrario attraverso un enzima chiamato trascrittasi inversa. Questo è il motivo per cui il virus è chiamato retrovirus, perché procede in modo retrogrado. Si tratta di una novità, perché nell’uomo ci sono solo uno o due altri retrovirus riconosciuti”.
I primi anni nella storia dell’AIDS hanno visto un duro scontro fra attivisti che reclamavano le cure e una rigidissima Food and Drug Administration (FDA) che in tono paternalistico ripeteva la lezione dei tre step della sperimentazione che non consentivano scorciatoie. Anche Fauci si atteneva a quella linea, tanto da diventare a sua volta il bersaglio degli attivisti, in particolare da parte di Mark Harrington di Act’s Up, che accusò l’FDA e lo stesso Fauci di omicidio.
Dopo i primi scontri, Fauci capì che in tempi di guerra non si potevano adottare le regole del tempo di pace, e invitò una delegazione di attivisti a un confronto nella sede storica dei NIAID. E fu da quel primo incontro che la politica della sperimentazione dei farmaci in America iniziò a cambiare, riconoscendo ragioni e diritti dei malati.
Dopo la messa a punto del primo farmaco, purtroppo non risolutivo (AZT, 1987), Fauci si adoperò molto per far passare il protocollo Parallel Track, che consentiva ai malati che non potevano partecipare alle sperimentazioni di provare i medicinali ancora sottoposti a trial. Dieci anni dopo l’AZT vennero messi a punto i nuovi antiretrovirali inibitori della proteasi (l’enzima necessario alla formazione del rivestimento esterno del virus) e successivamente terapie combinate via via più efficaci.
Diritti, cancellazione dei debiti, empowerment: la Conferenza di Durban
La conferenza di Durban segnò il punto più alto dell’alleanza dialettica fra establishment medico-scientifico mondiale e attivismo dei pazienti: sessioni strettamente cliniche si alternavano (e direi si mescolavano in una elettrizzante confusione) con sessioni sui diritti dei malati, il prezzo dei farmaci, le discriminazioni nelle cure. Nasce a Durban l’empowerment dei pazienti, e Fauci ne è stato indubbiamente un protagonista discreto, non deflettendo mai dallo stile istituzionale del consigliere dei vari presidenti degli Stati Uniti, da Reagan in poi.
L’Africa era diventata l’epicentro dell’epidemia di AIDS, e si doveva indebitare per garantire cure ancora molto costose. Intervistato durante la Conferenza di Durban su farmaci e debito dei paesi africani, Fauci aveva così risposto: “Beh, ci sono diverse cose che si possono fare. Se si consentisse di alleggerire il loro debito in modo che possano usare le loro risorse invece di pagare i debiti che hanno accumulato nel corso degli anni, potrebbero metterle a disposizione delle infrastrutture sanitarie”.
Consigliere di sei presidenti
Per lo stupore di molti, George H. W. Bush, alla domanda su chi fosse un esempio di eroe moderno degli USA, aveva risposto: “Uno che ha fatto molto per il nostro paese e l’AIDS, uno che lavora sodo, Anthony Fauci”.
Nato a Brooklyn, New York, da una famiglia di farmacisti di origini italiane, Anthony si diede subito da fare come garzone e fattorino mentre studiava dai Gesuiti a Manhattan. In forse fino alla fine su quali studi intraprendere (era molto versato in greco e latino), si decise per medicina alla Cornell University, dove si laureò nel 1966. Per evitare di finire nell’esercito (erano gli anni del Vietnam), Fauci scelse di lavorare ai National Institutes of Health. Forse il ricordo ancora fresco della Polio lo aveva indotto a scegliere le malattie infettive e l’immunologia come suo campo di studi (qui un suo ritratto sul New Yorker).
Finita l’emergenza AIDS (si fa per dire, visto che i malati nel mondo sono oggi 38 milioni, di cui solo 25 milioni hanno accesso alla terapia antiretrovirale), Fauci si è speso su molti altri fronti delle malattie infettive, spendendo la sua autorità per la ricerca di un vaccino influenzale “universale” e un vaccino pandemico. Ha sempre tenuto la guardia alta sulle possibili pandemie, dopo l’aviaria del 2009 e Zika nel 2016. Tanto che il 10 gennaio 2017, all’inizio della nuova presidenza Trump, Fauci ha messo fra i compiti della nuova presidenza quella di tenere aggiornato il piano di preparazione alla prossima pandemia, data come inevitabile (Pandemic Preparedness for the Next Administration).
I rapporti con il quasi coetaneo Donald Trump (73 anni) non sono mai stati buoni. Eppure fino ad oggi Anthony Fauci è riuscito a non entrare in rotta di collisione con il volubile presidente, pur smentendolo quasi su tutto: dal fatto che una pandemia fosse del tutto inaspettata, alle portentose virtù curative della idrossiclorochina, forse utile ma certo non risolutiva.
Venerato ma anche odiato, specie da circoli conservatori antiscientifici che lo accusano di overreaction all’epidemia, Fauci continua imperterrito a lavorare 18 ore al giorno, anche se al momento soprattutto a distanza (l’amato Laboratory of Immunoregulation dei NIAID ora è chiuso). La sua principale caratteristica è che dice sempre la verità e non polemizza mai, e questo gli ha garantito una inusuale longevità politica.
Vedremo presto chi cadrà prima, se lui o il presidente.