Anno bisesto, non per forza funesto

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
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Il calendario solare non funziona. Anzi non può funzionare, perché il sole per fare il giro completo della terra impiega esattamente 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Adesso non fate i pignoli, lo so anch’io che è la terra che gira intorno al sole, ma il risultato non cambia, ci sono sempre 5 ore, 48 minuti e 46 secondi che mancano. Però i maschi volevano che fosse il sole a regolare il corso del tempo, per sottrarre questo potere alle donne e al loro calendario lunare. E quindi a quell’errore bisognava trovare un rimedio.
C’è ad Alessandria questo matematico geniale, Sosigene, che è uno dei consiglieri più influenti della regina Cleopatra. Cinque ore e un po’ possono sembrare poca cosa, ma anno dopo anno quella differenza diventa sempre più evidente. E imbarazzante per il potere dei maschi. Sosigene, grazie ai suoi studi, ha trovato un modo per risolvere il problema, ma non può fare nulla da una remota provincia dell’impero. Per fortuna la sua padrona è così intelligente e affascinante che ha fatto perdere la testa a uno degli uomini più potenti di Roma e allora quell’oscuro astronomo egiziano riesce a spiegare a Caio Giulio Cesare la propria idea: se ogni quattro anni si aggiunge un giorno, l’anno solare sarebbe durato 365 giorni e 6 ore. Continua a esserci un errore, questa volta in eccesso, ma di soli 11 minuti e 14 secondi.

Cesare capisce subito che si tratta di una grande idea e siccome tra le sue molte cariche c’è anche quella di pontefice massimo, nel 46 a.C. ha l’opportunità di promulgare un nuovo calendario, che prevede appunto che ogni quattro anni venga aggiunto un giorno dopo il sesto prima delle calende del mese dedicato a Marte. Quel giorno in più si sarebbe chiamato anch’esso sesto, anzi bi-sesto. Per omaggiare Cleopatra, Cesare introduce anche l’uso egiziano di far cominciare l’anno il primo gennaio e non il primo marzo, come hanno sempre fatto i romani. Cosa non si fa per portarsi a letto una donna.
Per sistemare gli errori accumulati nel passato e riportare l’equinozio di primavera al 25 marzo, vengono aggiunti due mesi “straordinari”, fra novembre e dicembre, uno di 33 giorni e l’altro di 34. Il 46 a.C. è durato così 445 giorni e per questo si è meritato l’epiteto di annus confusionis, ossia l’anno della confusione. Sono anche altre le cause della confusione, ma gli uomini preferiscono sempre dare la colpa ai calendari. Il 45 a.C., ossia l’anno in cui il calendario giuliano è ufficialmente entrato in vigore, è stato il primo anno bisestile della storia. L’anno successivo Cesare viene ucciso, ma non certo per aver imposto questo nuovo calendario.
Negli anni successivi alla morte di Cesare calcolare esattamente quali debbano essere gli anni bisestili non è una priorità, e la confusione continua, ma Ottaviano, sconfitta Cleopatra e diventato Augusto, impone la pace e l’ordine, e il calendario giuliano, con quel giorno in più una volta ogni quattro anni, diventa il calendario di tutto il mondo. L’8 a.C. è il primo anno bisestile dell’era augustea. Certo i grandi imperi che sorgono a oriente hanno il loro modo per calcolare il tempo, e anche all’interno dell’impero sopravvivono alcuni vecchi calendari – come quello a cui sono ostinatamente fedeli gli ebrei – addirittura in America – ma ai tempi di Augusto nessuno sa che ci siano queste terre misteriose a occidente – ci sono popoli che usano ancora il calendario lunare. Però sono tempi semplici: se l’imperatore decide che quello è il calendario, tutti si devono adeguare.

Il calendario giuliano accumula un giorno di ritardo ogni 128 anni rispetto al trascorrere delle stagioni: alla fine del Cinquecento l’equinozio di primavera è ormai anticipato all’11 marzo. Anche in quel tempo l’errore comincia a essere evidente. E imbarazzante, tanto più che rende sempre più difficile calcolare esattamente il giorno in cui festeggiare la Pasqua, una festa a cui i “nuovi” pontefici di Roma sono particolarmente legati. Uno di loro, Gregorio XIII, il bolognese Ugo Boncompagni, decide quindi di porre rimedio a questa cosa e costituisce una commissione di esperti, presieduta da Cristoforo Clavio, un gesuita tedesco professore al Collegio Romano, e composta dal calabrese Luigi Lilio, dal siciliano Giuseppe Scala e dal perugino Ignazio Danti, sono tutti esperti di matematica e di astronomia.
Giovedì 4 ottobre 1582 Gregorio XIII – la cui statua domina il voltone d’ingresso di Palazzo d’Accursio a Bologna – firma la bolla papale Inter gravissimas, che introduce il nuovo calendario. Il giorno successivo è venerdì 15 ottobre e in questo modo sono recuperati i giorni “perduti” e viene riallineato il calendario al sole. Per ovviare al problema negli anni successivi, la commissione decide che quel giorno in più non sarebbe stato aggiunto automaticamente ogni quattro anni, come diceva Sosigene. Sono bisestili infatti gli anni non secolari il cui numero è divisibile per quattro – ad esempio il 2020 – e quelli secolari il cui numero è divisibile per quattrocento. Per questo il 1700, il 1800 e il 1900 non sono stati bisestili. Eliminando tre anni bisestili ogni quattrocento, una differenza tra l’anno solare e il calendario rimane, ma è di soli 26 secondi in eccesso, ossia di un giorno ogni 3.323 anni. Il problema ce lo porremo nel 4905, anno in cui presumibilmente non solo noi saremo morti, ma la razza umana si sarà estinta.
L’introduzione del nuovo calendario è un po’ più complicata rispetto a quella del giuliano, perché l’autorità del papa non è certo quella di Augusto. I paesi cattolici naturalmente adottano molto presto il gregoriano, ma gli altri resistono. I paesi protestanti lo faranno all’inizio del Settecento, il Regno Unito nel 1752, ma alla lunga tutti si devono adeguare, il mondo “globale” ha bisogno di un unico calendario. Il Giappone lo introduce nel 1873, la Cina nel 1912, la Turchia nel 1924. La chiesa ortodossa non ne vuole sapere di usare il calendario di Roma – e ancora oggi usa quello giuliano – e così sarà il “rivoluzionario” Lenin a introdurre il calendario gregoriano in Russia. E per questo la Rivoluzione d’ottobre si chiama così, anche se è iniziata il 7 novembre.
E oggi solo Iran, Afghanistan, Etiopia e Nepal non adottano ufficialmente il calendario gregoriano.
Il calendario di papa Gregorio XIII è destinato a resistere al tempo. Anche la sua bella statua bronzea, opera di Alessandro Menganti, che si trova a Bologna, dimostra una certa capacità di resistere ai tempi. Quando alla fine del Settecento stanno per entrare le truppe napoleoniche in città, l’Assunteria dei Magistrati, temendo che il generale ne ordini la rimozione per farne cannoni, decide di trasformarla in quella del santo Petronio: basta togliere la tiara e sostituirla con una mitra, aggiungere un pastorale e un’iscrizione in latino Divo Petronio Civitatis Patrono. Come si dice “scherza con i fanti, ma lascia stare i santi” e i francesi non possono certo togliere alla città l’immagine venerata del patrono. Nel 1895, quando ormai il pericolo è passato da tempo, si decide di rimettere le cose a posto e Gregorio torna a benedire chi cammina per piazza Maggiore.
Ci sono curiosi paradossi in queste storie di calendari. Quello giuliano non sarebbe nato se non ci fosse stata Cleopatra, una donna la cui memoria è stata demonizzata dai maschi che l’hanno usata e poi sconfitta. Mentre quello gregoriano è basato essenzialmente sui precisissimi calcoli elaborati da Nicolò Copernico e pubblicati nel De revolutionibus orbium coelestium, un testo messo all’Indice dalla chiesa cattolica. Clavio era un convinto sostenitore della teoria geocentrica e considerava un’eresia la tesi copernicana secondo cui è la terra a girare intorno al sole. I nostri calendari sono figli di una puttana e di un eretico.
Credo meriti di essere ricordato che c’è stato un calendario solare ancora più preciso di quello gregoriano: la differenza rispetto al trascorrere delle stagioni è soltanto di due secondi in eccesso. Purtroppo questo calendario non ha avuto fortuna, è stato adottato in un solo paese e per soli undici anni.
Il 1° ottobre 1929 l’Unione sovietica di Stalin introduce il calendario rivoluzionario sovietico. Tutti i mesi sono composti da trenta giorni. Poi vengono inseriti cinque giorni di festa, che non appartengono a nessun mese: il giorno della festa di Lenin, dopo il 30 gennaio, i due giorni della festa del lavoro, dopo il 30 aprile, e infine i due giorni della festa dell’industria, dopo il 7 novembre. È festa anche il giorno bisestile, che viene inserito dopo il 30 febbraio. Nel calendario rivoluzionario sono bisestili gli anni non secolari il cui numero è divisibile per quattro e gli anni secolari solo se, divisi per nove, danno come resto due o sei: in questo modo ci sono 218 anni bisestili ogni 900 anni.
Quel calendario però impone anche la settimana di cinque giorni. Una pacchia direte voi: un giorno di festa ogni cinque invece che ogni sette. Eppure il popolo non è contento, perché per non fermare la produzione si decide che quel giorno di festa non sia lo stesso per tutti, ma si divide la popolazione in cinque grandi classi, distinte ognuna con un colore, e ogni colore deve far festa in un giorno diverso. E così può succedere che il marito del gruppo rosa faccia festa un giorno diverso dalla moglie del gruppo verde. Diventa praticamente impossibile organizzare i grandi pranzi di famiglia. Eppure, nonostante questo innegabile vantaggio, i russi non amano questo calendario e poi non dà neppure quei risultati sperati in termini di produttività. E così Stalin nel 1940 decide che è meglio tornare alla settimana di sette giorni – e tutti a casa la domenica – e naturalmente al calendario gregoriano. Un altro curioso paradosso: puoi anche essere Stalin, ma alla fine è il popolo che sceglie il calendario.

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