Fonte: l’Antidiplomatico
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di Jacques Sapir 05 marzo 2015
Siamo entrati in una fase acuta della crisi dell’euro.
Le ultime dichiarazioni o articoli scritti nei giorni scorsi da diversi economisti e politici europei dimostrano che siamo entrati in una fase acuta della crisi dell’euro, scrive Jacque Sapir. In Grecia, la questione di un possibile ritorno alla dracma è discussa apertamente. In Italia è Stefano Fassina, un economista del Partito democratico, ex Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Letta, che ha deciso sulla questione Euro di attraversare il Rubicone.La “conversione” di Fassina a tesi critiche sull’euro dimostra che il dibattito si sta espandendo in Italia. Più di recente, è stato Wolfgang Streeck, sociologo ed economista, che in un anrticolo su Le Monde ha sostenuto che l’Europa dovrebbe abbandonare la moneta unica. Queste diverse posizioni, per non parlare di quelle di Podemos in Spagna, sono un buon indicatore che siamo ad un punto di rottura. Streeck dice senza mezzi termini che mantenere l’euro sta uccidendo l’Europa e causando un aumento dell’ antagonismo anti-tedesco.
Questo era prevedibile. Ma porta a posrsi una serie di domande. Infatti, se la consapevolezza degli effetti dannosi, deleteri, e francamente distruttivi dell’euro sta diventando sempre più condivisa, la sequenza di eventi che ci portano fuori da questa macchina infernale è lontana dall’ essere chiara.
Il primo punto da chiarire sono le condizioni di una rottura della zona euro. Riusciremo ad affrontare una dissoluzione derivante da conflitti (tra la Grecia e l’Eurogruppo, per esempio) o una serie di decisioni unilaterali (e possiamo pensare l’Italia) o questa dissoluzione sarà il risultato di una decisione comune dei paesi della zona euro? Chiaramente quest’ultima ipotesi è teoricamente la migliore. Se la zona euro fosse sciolta, o semplicemente “sospesa” (e sappiamo che a Bruxelles e nelle altre capitali adorano questi eufemismi) a tempo indeterminato, i paesi potrebbero gestire meglio il processo.
Un problema politico
L’esistenza dell’euro è ormai una questione politica. Ci sono diverse ragioni per questo. Per la Germania (e laMerkel) la sopravvivenza dell’euro è una parte importante della sua strategia economica. Con l’euro, la Germania previene (e impedisce) ad altri paesi di correggere gli scarti di produttività con la sua economia, scarti provenienti sia da pressioni inflazionistiche diversi che da diversi incrementi di produttività.
Mantenere l’euro è la garanzia per la Germania per la sostenibilità di questa situazione. Ma la Germania d’altra parte, non è disposta a pagare quello che ci vorrebbe per far funzionare l’euro come dovrebbe. Il denaro necessario è stato stimato tra l’8% e il 12% del PIL annuo per un periodo di 5 a 10 anni. Questo è chiaramente inaccettabile per l’economia tedesca. Questo è ciò che spiega l’intransigenza della Germania sulla esistenza dell’euro e la politica di austerità che ha un senso in quanto garantisce l’esistenza dell’euro al minor costo per la Germania. Tuttavia, vi è stato un altro motivo per la posizione tedesca. Quando la Merkel ha detto: “Se l’euro fallisce, fallisce l’Europa”, non difendeva solo la posizione della Germania. Esprimeva in realtà la paura delle élite tedesche di essere accusate, ancora una volta, di “rompere l’Europa”, come è avvenuto nel 1914 e nel 1939. In contrasto con gli “esperti” senza cervello che dimenticano la dimensione storica nelle posizioni politiche, dobbiamo riaffermare l’importanza della storia, e in particolare la sua importanza nella formazione degli atteggiamenti politici. Questa posizione paralizza la Germania, come ha dimostrato Wolfgang Streeck. L’ha ha portata ad assumere un atteggiamento assolutamente insostenibile.
Tuttavia, la colpa è condivisa. All’egoismo, venato di senso di colpa, della Germania risposnde la amncanza di realismo delle élite francesi che hanno abdicato ogni spirito critico, sia sulla costruzione europea che sull’Euro. Questo è ciò che ha portato i vari governi francesi ad allinearsi, volenti o nolenti, alle posizioni tedesche. Bisogna qui ricordare il mito dell’alleanza franco-tedesca”. Che i due paesi abbiano buoni rapporti è buono e prezioso. Ma questa “alleanza” non è mai esistita se non nella mente di giornalisti offuscato e politici parigini. Basta guardare dalla prospettiva tedesca per capire che questa “alleanza” non esiste. Ma il punto è che il risultato della politica francese nei confronti della Germania (o più precisamente la mancanza di politica) non può che rafforzare le posizioni tedesche.
Questi elementi rendono improbabile lo scenario “migliore” di un scioglimento ordinato. Dobbiamo quindi pensare piuttosto ad una dissoluzione conflittuale.
Quest’ultimo può essere attivato da diversi eventi: il fallimento dei negoziati attualmente in corso in Grecia, il cambiamento politico in Italia (che si potrebbe verificare dopo le elezioni regionali di questa primavera), o un ritiro di investitori “fuori area-euro” derivante da una forte preoccupazione per i paesi cosiddetti “periferici”, a seguito della vittoria possibile in Spagna di Podemos il prossimo dell’autunno. Si noti qui che questi vari scenari non si escludono l’un l’altro. Affronteremo una serie di crisi prima della dissoluzione dell’euro, passo dopo passo, provenienti da diversi paesi. Si pone la questione di quando il governo francese prenderà la decisione di uscire dall’euro. Economicamente, è chiaro che l’uscita della Spagna o dell’l’Italia obbligherà la Francia a lasciare la zona euro. Ma in realtà, questa decisione deve essere presa rapidamente se vogliamo che l’economia francese tragga il massimo beneficio. In una logica di scioglimento conflittuale della zona euro, la velocità della sequenza sarà un fattore importante per il successo di tale uscita.Nel caso di un processo conflittuale di dissoluzione della zona euro non sarà possibile consultare elettori. Bisognerà agirà in fretta, con decisione, e probabilmente per decreto. Le misure che saranno richieste saranno:
Controlli sui capitali (non un controllo sui cambi).
Riappropriazione della Banca di Francia, sotto la guida del ministero delle Finanze.
Una nessa sotto tutela provvisoria del sistema bancario per garantire i depositi e garantire la continuità dei pagamenti.
Misure di salvaguardia per le aziende che hanno preso in prestito all’estero e non hanno un flusso di reddito da lavoro all’estero.
Molti colleghi ora supportano l’idea di una trasformazione dell’euro da “moneta unica” a “moneta comune”, ogni paese ritroverebbe la sua moneta nazionale, ma l’euro sarebbe conservato per le transazioni fisiche e finanziarie con il “resto del mondo”. Questa idea è tanto interessante in teoria (ed economicamente) ma tanto difficile da implementare senza grandi discontinuità. Si tratta di quello scenario più “consensuale” che è stato descritto in precedenza come altamente improbabile. Questo non significa che non ci sarà alcun coordinamento tra i paesi europei a seguito di una dissoluzione, anche conflittuale, della zona euro.
Tale coordinamento riguarderà il controllo dei capitali e gli obiettivi della politica del tasso di cambio.
Una questione importante è se la Germania parteciperà a questo coordinamento. Sappiamo che gli economisti e i politici tedeschi sono ferocemente contrari all’idea di controlli sui capitali. Ma dovranno affrontare un massiccio afflusso di capitali verso la Germania (dal “resto del mondo”, perché gli altri paesi dell’ex zona euro, si, istituiranno controlli sui capitali). Il rischio è un aumento vertiginoso della moneta tedesca.. Questa è la ragione che suggerisce alla Germania, che piaccia o no, di applicare, come gli altri paesi, controlli sui capitali. Una volta presa questa decisione, sarà molto più facile per i tedeschi accettare l’idea di un coordinamento, anche in minima parte .
La questione politica importante sarà il quadro giuridico di coordinamento. Abbiamo subito capito che la dissoluzione dell’Euro modifica le condizioni di funzionamento dell’Unione europea. Ciò non significa smantellarla, perché un certo numero di paesi non fa parte della zona euro. Naturalmente, la linea ufficiale verrà profondamente modificata, ma questo non è essenziale. La chiave è quella di sapere come questo coordinamento monetario funzionerà: comprenderò solo i paesi della ex zona euro, alcuni di loro, oppure sarà esteso a tutti i paesi l’Unione europea? Inoltre, quali saranno i suoi strumenti e le procedure? Chiaramente ci saranno decisioni prese attraverso riunioni dei capi di governo o dei ministri delle finanze. Ma questo non significa lo scioglimento della Banca centrale europea. Quest’ ultima dovrà evolvere, naturalmente. Qui possiamo citare diverse tracce. Si potrebbe (e dovrebbe) trasformarla in un Fondo monetario europeo. Ma possiamo anche pensare che potrebbe sostenere un possibile “moneta comune” che si verrebbe a creare una volta che il sistema di coordinamento rsarà istituito e la parità delle monete europee stabilizzata.
L’idea di una “moneta comune” per le transazioni tra l’Europa e il resto del commercio mondiale e le transazioni finanziarie ha un senso. Questa valuta può esistere solo come un “paniere di valute” dei paesi che sarebbero parte di quel sistema. Questa “moneta comune” potrebbe servire come moneta di riserva per le banche centrali dei paesi europei, ma anche a livello internazionale. Da questo punto di vista, c’è una vera aspettativa nei cosiddetti paesi emergenti di una moneta che sia una vera alternativa al dollaro. L’Euro potrebbe solo imperfettamente svolgere questo ruolo, a causa di problemi con la sua stessa concezione. Non ha mai superato il 26% delle riserve delle banche centrali ed è ora al terzo posto, dopo il dollaro e lo yuan come valuta per le operazioni finanziarie. Da questo punto di vista, dobbiamo riconoscere il relativo fallimento dell’Euro nel campo dell’affermazione di una moneta internazionale. Una “moneta comune”, priva di problemi inerenti all’ Euro, potrebbe probabilmente essere più assertiva.