Autore originale del testo: Fausto Anderlini
C’eravamo tanto amati
Faccio un giro in Santo Stefano dove è riunito a congresso il circolo del centro storico, giusto per annusare l’aria che tira ed esercitare con disciplina, ma fuori linea (of course), il diritto conferitomi da Art. 1 in quanto suo iscritto. Lì incontro vecchi amici e compagni. In generale musi lunghi, tutt’altro che empatici. Fra questi una vecchia amica e compagna di area ‘migliorista’ Pds rimasta bersaniana. La quale mi confida che voterà Bonaccini. Con modi eccitati e sopra le righe mi rammenta tutte le malefatte renziane della Schlein. Un florilegio colmo d’astio. Irredimibile.
Non ha tutti i torti, La Schlein le appare come un ente ‘estraneo’, parafrasando Clausewicz, un renzismo con gli stessi mezzi, tanto quanto Bonaccini è rivendicato come l’ultimo rappresentate di una tradizione sociale ‘solida’. L’eterogenesi dei fini in atto è spettacolare, effetti perversi a tutto azimut. La sinistra interna (ed esterna), critica radicale del renzismo e delle premesse liquide del veltronismo, che si accoda a un’operazione ‘nuovista’ che di quello stile vituperato fa il verso come più non si potrebbe. Bonaccini, già renziano sfegatato e ubiquo, che invece vorrebbe incarnare un ‘riformismo’ pragmatico e robusto, sulla base di un partito ‘strutturato’. Nel duello che oppose Pier Luigi Bersani a Renzi, in effetti, è lui quello che in qualche modo più si avvicina a colui che a suo tempo sostenne, seppure con entusiasmo più contenuto. Quando vedo le foto di Bersani ed Errani con la Schlein mi domando davvero che c’azzeccano.
Bersani fu battuto dal levarsi di un fortissimo vento ‘nuovista’ contro la vetustà della ‘ditta’. Lo stesso che con ogni probabibilità giocherà a favore della Schlein e che alle primarie la farà vincere. Vista la smobilitazione generale basterà non un tornado ma un piccolo refolo di quel vento. Del resto il vantaggio che Bonaccini registra nella votazione interna è troppo esiguo per reggere il confronto con la ‘novità’ della Schlein innanzi ai ‘passanti’ delle primarie.
Il Pd deve la sua esistenza in vita a due elementi: il nuovismo sans phrase, onde il ‘vecchio’ è sempre battuto ma conservato come capro espiatorio. E l’odio intestino. Un odio profondo e recriminatorio. Altro che la comunità user friendly. Bensì l’inimicizia come legame. Come noto non c’è nulla che leghi più dell’odio. Come è ben noto in certe perverse unioni coniugali e nelle indoli duellanti. L’odio per i nemici accomuna ma è l’odio intestino che vincola più di ogni altra cosa. Il rancore, la recriminazione per i torti subiti, l’estroflessione della colpa sul vicino, come infetto, inadeguato, traditore è tipico delle comunità diasporiche, le quali sono avvolte in una querelle permanente e possedute da una indomabile recriminazione. La sinistra plurale, appunto, unita nell’avversione. Come insegna la profilassi cattolica l’odio vincola e appesantisce tanto quanto l’amore rende liberi e volatili.
Nel Pd si è realizzata la nemesi del rancore. Partito nato per cancellare la memoria nel ‘nuovismo’ è finito preda di una memoria recriminatoria che non da pace. Proprio perchè diviso il Pd continuerà. Corpo diasporico e dissipativo. Almeno fino a che l’energia dell’inimicizia non sarà interamente smaltita.
Lo dico da osservatore partecipante sostanzialmente spassionato che si dispiace a constatare tanta rogna e che raramente è animato dall’astio politico, specie se esistenziale. Solo Gianni Cuperlo, anche a prescindere da ogni concreta indicazione di linea politica, aveva le chiavi di una pacificazione ristoratrice. Col suo proporsi come segretario full time, dedito null’altro che alla cura del partito. Tessitore comunitario, buon pedagogo, curatore d’anime, dispensatore di gentilezza e pensiero, senza nevrosi identitaria, narratore ecumenico. Ma anche questa volta è stato tenuto al palo, come sempre. Perenne Incompreso. Disperso ed errante come un esule inascoltato fra gli spiriti animali e belluini che popolano il bar Pd.