di Alfredo Morganti
Ancora sul MOSE, o meglio su quel che resta della politica e della polis
Non lo dico con risentimento verso i veneti, la Lega, i vecchi socialisti, non sfogo frustrazioni personali di alcun genere. Io amo Venezia, la prima volta che da giovane sono stato in città con Gianna rimasi stupefatto. Per di più il mio intellettuale di riferimento si chiamava Massimo Cacciari, così che il suo attivismo verso la Serenissima me la rendeva ancora più cara. Però mi limito a constatare che il MOSE, presentato ad Amburgo nel 1985 (!) e promosso dal governo Craxi l’anno dopo, festeggia quest’anno il suo 34 anno di età virtuale senza che nessuno lo abbia mai visto all’opera. Eppure ci avevano detto che le paratie sarebbero partite a moduli, che l’opera sarebbe stata completata in progress e consegnata sin dal 1995. Tutti questi anni di attesa hanno prodotto nell’immaginario collettivo l’idea che il MOSE esistesse davvero, e non fosse invece l’ennesima incompiuta schubertiana nel panorama dei nostri lavori pubblici.
Nessuno di noi poteva immaginare che un’opera di cui si parla da 34 anni non fosse ancora completata, nemmeno in termini parziali. A forza di dare annunci, a forza di ritenere che l’essenza comunicativa sia di per sé esistenza fattiva, alla fine il MOSE (la cui essenza si aggira, appunto, come uno spettro da decine di anni nel Paese) lo abbiamo dato almeno presente e vigile, non dico efficace. Io per primo credevo che almeno un pezzo fosse già stato collaudato positivamente e virtualmente attivo. E invece no. Sapevo di una sorta di collaudo frettolosamente effettuato qualche settimana fa, proprio in vista delle acque alte future, ma non immaginavo che l’esito fosse stato assolutamente disastroso. Non sapevo nemmeno che spendiamo 80 milioni di euro all’anno per manutenere le cerniere, nonostante tutto sia fermo. Troppe cose non si sanno, nascoste dietro la cortina dei lustrini politici. Questo è.
Il cantiere fu aperto nel 2003 (18 anni dopo l’annuncio europeo) e pare che l’opera verrà consegnata nel 2022. Quasi venti anni di lavori (se va bene). 5 miliardi e mezzo di costi, più quasi tre miliardi di opere di contorno. Alla regione veneta dal 1995 c’è la Lega: la storia del MOSE è tutta roba loro, dalla A alla Zeta. Nella legge obiettivo del 2001 (governo Berlusconi) il MOSE fu inserito in pompa magna. Eppure oggi Zaia si chiede perché, nonostante quei 5 (anzi 8) miliardi di euro impegnati, il MOSE non sia ancora in funzione. Capite? Ma non è solo questo il punto, ossia le responsabilità politiche della Lega, che i veneti per primi dovrebbero conoscere a fondo. Ma un altro: ossia che il pulpito da cui viene la predica (sulle opere pubbliche incompiute e le spese inaudite) è peggiore dell’uditorio a cui si rivolge. E anche di molto. Rifaccio l’esempio della metro C romana, ritenuta quasi un simbolo di incompiutezza e di denaro pubblico sperperato.
Bene, questa metro aprì i cantieri del tratto interrato nel 2007 (quello di superficie mi pare fosse già stato completato con un diverso profilo di lavori), nel 2014 fu inaugurato il primo segmento sino a Centocelle, nel 2015 quello sino a Lodi, nel 2018 fu aperta la stazione di San Giovanni e dunque l’immissione in rete della nuova linea di metropolitana. Dal 2013 sono in corso i lavori sino a Fori Imperiali (con tutta la difficoltà e la sfida insite nello scavare in aree archeologiche a Roma, città storica come Venezia). Parliamo, per ora, di 22 stazioni e 18,4 km di tracciato: in mezz’ora si giunge in centro dagli estremi confini del comune più grande d’Italia anche per territorio, che da solo contiene quello delle nove più grandi città italiane, Milano compresa! Dunque? Non nego errori, difficoltà, incapacità, inadeguatezze, ritardi, sprechi. Ma i fatti sono questi.
Ripeto, perché giova e perché il tema del mio post è principalmente questo: i veneti non cerchino i colpevoli negli altri (i terroni, i negri, i romani, i napoletani, i meridionali, l’Altro). Non scarichino, loro sì, frustrazioni e risentimento verso il diverso, come il leghismo predica. Sappiano che il pulpito è peggio dell’uditorio. Il problema, loro, ce l’hanno in casa, nella loro stessa classe dirigente, quella che eleggono da 25 anni consecutivi alla guida della Regione. È nel loro interesse aprire gli occhi. Ma ciò vale come lezione per tutto il Paese.