ANCHE LO SMARTPHONE PUO’ FARCI RIFLETTERE

per Filoteo Nicolini

ANCHE LO SMARTPHONE PUO’ FARCI RIFLETTERE

 

Da quella finestra singolare aperta sul mondo, quando accendo il cellulare questa mattina, mi arriva una paginetta affidata all’etere elettromagnetico. Come è abitudine oggi quella di inoltrare ad amici e conoscenti quanto ci passi fra le mani. La paginetta contiene interessanti pensieri sotto forma di leggi aforistiche, messi insieme per chi vuole dilettarsi con interrogativi esistenziali. Per esempio, leggo: un problema messo per iscritto è un problema dimezzato. Per me è verissimo, e lo pratico da tempo soprattutto per ricordare le idee importanti, una volta eliminati gli scarti e le consuete divagazioni. Naturalmente, il tutto richiede un rallentamento delle attività e lo vedo poco praticabile su scala sociale! Ma a rifletterci bene, rivela il nostro pensare difettoso e confuso che ha bisogno della stampella per sostenersi, allo stesso modo in cui i concetti della geometria si passano in rassegna con l’ausilio della carta e della matita, quando potremmo vederne la validità universale con gli occhi dell’anima.

Non puoi cambiare nulla finché non lo accetti. Questo aforisma verissimo mi ricorda la penetrante poesia di E. Dickinson sulla imperiosa necessità di circoscrivere ciò che ci affligge con un contorno ideale, per vederlo nella sua reale dimensione ed accettarlo. Incomprensibile ai più, eppure è la chiave maestra per comprendere quel vento contrario che ci sferza. È il destino, mentre ci ricorda che qualcosa va cambiato nelle nostre vite.

Non vedi le cose per come sono, le vedi per come sei. Giusto. Dovremmo far parlare le cose partendo dall’intimo del nostro spirito, se vogliamo conoscerne l’essenza. Solo dal nostro proprio intimo possiamo giudicare il mondo. Non appena si voglia andare oltre la mera osservazione di un processo, si deve trasferire su di esso l’esperienza che il nostro proprio corpo ne ha.

La nostra capacità di pensare è il risultato evolutivo della nostra esperienza previamente acquisita dell’ordine dinamico del mondo. Quest’ordine dinamico lo sperimentiamo ancora vivamente nella più tenera età. Poi esso rimane nel fondo mentre comincia ad emergere imperiosa la nostra capacità intellettuale. Crescendo, perdiamo contatto e memoria con quelle esperienze dinamiche con la forza realizzate da piccoli nel dominio della volontà, mentre acquistiamo capacità intellettuale e visione geometrica della realtà. Con ciò ci separiamo dalla vitalità del mondo esterno e non vediamo più la saggezza operante nella Natura, ma siamo limitati ai fenomeni sensoriali.

Il segreto della felicità non è far sempre quello che vuoi, ma voler sempre ciò che fai. Qui si entra in un terreno misterioso, quello del volere cosciente. Però il volere cosciente è una contraddizione. Qualcosa accade in noi di cui non abbiamo affatto coscienza, qualcosa che dobbiamo ritenere parte di noi, ma che ignoriamo del tutto. Eppure, la volontà esce fuori di noi, agisce nel mondo, opera sulla materia e la trasforma. È il tramite che ci fa agire sul mondo oggettivo, materiale. Da un pensiero soggettivo, per cammini sconosciuti alla nostra coscienza agiamo sul mondo. Fuori di noi c’è il mondo che percepiamo con i sensi, c’è la realtà materiale. Quando muoviamo la mano obbedendo alla volontà, la stessa realtà materiale dovrebbe affiorare nella coscienza direttamente, eppure non lo fa. Solo attraverso il pensiero sappiamo del movimento, e possiamo seguirlo in dettaglio con la precisione che i sensi permettono.  Ma quell’agire, quella volizione sfuggono nella loro essenza, ne abbiamo una coscienza ottusa, addormentata. Solo il pensiero cosciente può guidare la volontà.

Se non riesci a spiegare una cosa in modo semplice, allora non l’hai davvero compresa. Sarà pure vero in un ambito ristretto, ma mi lascia perplesso la validità generale di questo aforisma. Farò ricorso a Goethe, che non voleva spiegare ciò che è complesso per mezzo di ciò che è semplice, ma invece desiderava con un solo colpo d’occhio avere una visione d’insieme di ciò che è complesso come totalità, e poi spiegare ciò che è semplice e imperfetto come sviluppo unilaterale e locale di quello che è complesso e perfetto. Lo scienziato naturalista fa esattamente il contrario generalmente: considera ciò che è perfetto come la somma meccanica totale di processi semplici, ovvero parte da ciò che è semplice e pretende derivare quello che è complesso. Ma né la Creazione né la vita si lasciano ridurre a particelle elementari.

FILOTEO NICOLINI

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