Sex and the city è l’habeas corpus delle bimbeminkia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Benedetta Piola Caselli

di Benedetta Piola Caselli – 15 maggio 2018

Ebbene, se siete nati fra il 1970 ed il 1990, vi faro’ un occhiolino, tipo, e quella faccetta con lo schiocco di labbra: facciamo finta che non lo sapete, che siete troppo intelligenti.

Sex and the city e’ l’habeas corpus delle bimbeminkia, l’essenza della loro liberta’ inviolabile: la possibilita’ che la frivolezza abbia una funzione sociale, e quindi non vada repressa a bastonate sotto i piedi.

E’ un complesso di puntate (e qualche film), in cui si narrano le vicende di quattro signore newyorkesi, single, decise a trovare l’amore della loro vita.
Per fare cio’, le signore si muovono a campione, nel senso che passano attraverso ogni creatura maschile (e, in qualche caso, femminile) da loro incontrata (ed in qualunque situazione incontrata), confidando nella legge dei grandi numeri e con la medesima domanda: sara’ l ‘uomo della mia vita?
Anche la risposta e’ sempre la medesima: no.

Le signore, che a 40 anni si auto definiscono “ragazze”, incarnano tre stereotipi e mezzo:

La prima, Miranda, e’ la donna che lavora tanto, ma tanto, ma tanto; tuttavia non lo fa ne’ per carriera ne’ per soddisfazione personale, ma piuttosto perche’ e’ tipo giapponese inside, oppure perche’ e’ masochista.
Mi fa simpatia, ovviamente: nonostante i soldi, e’ una sottoproletaria a sua insaputa, che compensa la disperazione del tempo prigioniero con il sesso casuale.

La seconda, Charlotte, credo debba essere il prototipo delle donne WASP, almeno nell’intenzione degli sceneggiatori.
E’ caruccia e stupida, ed ha maniere affettate.
Le interessano cose come: i divani bianchi e, piu’ che parlare, fa espressioni.

La terza, Samantha, e’ la donna porcona. L’unico argomento del personaggio e’ il sesso: quanto ne fa, come lo fa, con chi lo fa (tutti), etc… Non ricordo altri argomenti o spunti.

La quarta, Carrie, e’ la sintesi dei personaggi precedenti. Per qualche ragione viene proposta come una donna intelligente (forse perche’ scrive d’amore su un giornale), e si innamora di un miliardario che la maltratta.

Queste tre signore si muovono in un mondo che mi e’ ignoto, hanno azioni per me incoerenti, e si emozionano per cose a me non comprensibili.

Ad esempio, vanno in visibilio per le cabine-armadio.
Per le cabine-armadio saltano e squittiscono battendo le mani.
Una di loro lo chiedera’ come regalo di nozze.
La cabina armadio rappresenta, credo, il luogo delle cose – il posto dove tenere (e mostrare) i simboli che vanno compulsivamente cercando: scarpe, vestiti, etc.

Uno di questi oggetti cult sono le scarpe di Manolo Blankich, scarparo a me sconosciuto, ma che esiste. Queste scarpe sono ossessivamente citate, e pure mostrate: una vera schifezza, persino per i gusti americani: tipo blu con dei pennacchi, o pitonate con fiocchi rossi, etc.

D’altronde, io credo che Sex and the city sia una grande strategia commerciale per svuotare i magazzini dagli invenduti; ed in questa idea sono confortata dal tipo di oggetti proposti (es: borsette di Vuitton pitonate rosa e gialle) o indossati (Carrie sembra sempre uscire dalla lotteria dell’esercito della salvezza, con abiti molto ben stirati – certo – ma indossati random l’uno sull’altro).

La ridondanza degli oggetti rappresenta, nell’ immaginario proposto, il potere e – soprattutto e sorprendentemente – lo stile. In questa operazione c’e’ un elemento di fascino estremo, una lotta del nuovo contro il vecchio: riusciranno gli sceneggiatori a convincere il pubblico che Carrie ha stile, pure se veste come una pazza e, in occasioni altamente formali, urlicchia a bocca piena cose sessuali, ciondolando sul tavolo da pranzo?

In questo scenario i gay sono tutte checche isteriche, gli ebrei sono tutti scaltri, le donne’ di mezza eta’ tutte stronze o alcoliste, gli immigrati hanno tutti buonsenso, i cattolici sono tutti complessati, i ricchi sono tutti affascinanti.

Ma dicevo della funzione sociale.
Bene, per me c’e’ stata.
La banalizzazione del sesso, la sua svalutazione a cosa, la sua riduzione a merce di scambio socialmente accettata, ha impattato contro il conservatorismo della mia cultura cattolica e – se non ha influito sulle mie scelte – ha pero’ influito sulla tolleranza con cui guardo quelle delle altre.
Perche’ le altre potrebbero essere delle Carrie, Miranda, o Samantha, muoversi in un universo semantico a me estraneo, fare delle azioni per me incongrue; ed io ormai saprei accettarle cosi: riconoscendo il diritto alla loro alterita’, perche’ lo show mi ha comunque strappato qualche sorriso.

Credo che Sex and the city sia andato in onda per una decina d’anni, e non mi stupirei che qualcun’altra avesse fatto considerazioni analoghe.

Le avventure delle nostre signore avranno un parziale happy ending, a prova del sadismo degli sceneggiatori.

Miranda sposera’ un impiegato che la tradisce ma e’ tanto un bravo ragazzo, e finira’ per vivere un una casaccia di Brooklyn (a riprova che lavorava e lavorava, ma non guadagnava mica tanto).

Charlotte restera’ incinta dopo aver adottato una pupattola cinese, e dopo aver defecato nella sua propria biancheria.

Samantha mollera’ il bellone con cui conviveva realizzando che, all’alba dei cinquant’anni, il richiamo del corpo e’ ancora troppo forte.

Carrie sposera’ il miliardario, ed avra’ la sua cabina armadio da riempire di stiletti blu con i pennacchi e scarpe pitonate con fiocchi rossi, per un totale da PIL del Ghana.
La fine piu’ penosa di tutte.

(mo’ torno a lavora’)

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