“All’armi! All’armi siam fascisti!… All’armi! All’armi son fascisti!…” (ma, alla fine, lo sono tutti?)

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Franco Cardini
Fonte: Minima Cardiniana

di Franco Cardini 25 marzo 2019

C’è stato un ragazzo fiorentino tra i caduti combattendo in difesa della causa dei curdi contro l’ISIS. Ora che Baghuz – a quanto sembra “l’ultima roccaforte” dei jihadisti del “califfo” al-Baghdadi – è caduta, tutti esultano: e i media, concordi o quasi, attribuiscono senza discutere il successo dello smantellamento dello “stato islamico” alla coalizione guidata dagli statunitensi e magna pars della quale sono stati i curdi. A dire il vero, chi ha seguito l’evoluzione delle vicende della tormentata area siro-irakena degli ultimi anni sa perfettamente che la “coalizione” è rimasta largamente e lungamente semi-inoperosa, e che l’onere di combattere i jihadisti accanto ai curdi è spettato allo scarno esercito lealista siriano (quello “democratico”, tanto lodato da Bernard-Henry Lévi, non si è quasi visto) appoggiato da alcuni pasdaran iraniani. Ma dell’ISIS ormai non si parlava più da molto tempo: è stato, come al solito, abbastanza facile ai media cambiare le carte in tavola.

Con l’occasione della presa di Baghuz, i genitori del ragazzo fiorentino hanno fatto sentire la loro voce per dichiarare che il loro figlio è morto combattendo “i fascisti dell’ISIS”. Una notizia interessante: che lascia intravedere una sorta di guerra civile tra fascisti nel Vicino e Medio Oriente dal momento che, com’è noto, “fascisti” sarebbero anche i siriani assadisti e i pasdaran iraniani, per non parlare dei loro amici hezbollah libanesi. Evidentemente il fascismo, o quantomeno il neofascismo, dilaga: e l’editore La Nave di Teseo non si è lasciata perdere l’occasione per ripubblicare un piccolo saggio di Umberto Eco dedicato al Fascismo eterno. Che non è francamente il lavoro più brillante del mio caro, indimenticabile Umberto. E’ evidente che definendo panstoricamente e transtoricamente (quindi, in ultima analisi astoricamente) “fascismo” tutto quel che in qualunque modo – e al di là dei contesti concreti e delle funzioni specifiche – ha l’aspetto del dogmatismo, del dispotismo, della violenza, dell’intolleranza si finisce per far precipitare l’intera storia del mondo in una cupa notte nella quale tutti i gatti sono neri. Ma siccome moltissimi tratti dell’echiano “fascismo eterno” sono riscontrabili anche in eventi e movimenti che al fascismo non è possibile ascrivere, se ne deve dedurre che anch’essi sono fascismi comunque déguisés? Ma una volta stabilito che da Assurbanipal a Pol Pot tutto il male è stato “fascista”, perché, dunque, a pagarne il conto dovrebb’essere il solo fascismo storico e magari il suo ambiguo e un po’ ridicolo succedaneo, il neofascismo? Si vuole usare, ad esempio, il fascismo come capro espiatorio per dimenticare e/o nascondere tutte le infamie della storia, a cominciare da quelle commesse dal colonialismo liberista e dal comunismo sovietico?  

La domanda non è oziosa, dal momento che, da un po’ di tempo, una non so quanto ben orchestrata ma certo rumorosa propaganda mediatica sembra averci condotto di nuovo verso l’instaurazione di un clima molto simile a quello degli “anni di piombo”. A ciò stanno dando man forte i gruppuscoli di estrema destra, i quali sanno bene che dalla “strategia della tensione” e da una criminalizzazione che facesse far loro la parte delle “vittime del sistema” e per quella via aumentare i loro consensi, hanno, nei tempi brevi, tutto da guadagnare. E’ quanto è stato dimostrato dai circa 150 militanti o simpatizzanti di “Forza Nuova” che sabato 23 marzo scorso hanno sfidato la città di Prato (forti anche delle incertezze prefettizie) per una manifestazione formalmente convocata in appoggio alla politica dei “porti chiusi” ma a proposito della quale – incautamente, direi – si chiamava in causa anche una sorta di criptocelebrazione del centenario del “convegno di San Sepolcro” del 23 marzo 1919, data di nascita dei Fasci di Combattimento. Il composito ma vasto fronte antifascista ha risposto con una tempestiva ed evidentemente ben organizzata contromanifestazione: erano pare 5000, un numero che non s’improvvisa né si mette insieme “spontaneamente”.

Ora, se questo fosse un paese serio e se neofascisti e neoantifascisti avessero un minimo di seria responsabilità politica, si potrebbe  anche chieder loro un minimo d’informazione coerente. Il programma “di San Sepolcro” era ben noto: e non era certo un precedente plausibile dell’ideologia dei “porti chiusi”, come fu dimostrato da quello stupefacente documento che è la Lettera ai fratelli in camicia nera redatto nel 1936 da Palmiro Togliatti e firmato da un forte drappello di comunisti. Se solo si fosse meditato un minimo su ciò, a celebrare il 23 marzo avrebbe paradossalmente dovuto essere l’ANPI anziché Forza Nuova.

E’, tuttavia, ovvio che il progressivo riaccendersi della polemica antifascista rappresenti la scelta strategica sulle quali attualmente le sinistre contano per scompaginare l’attuale governo e far infine saltare l’alleanza Lega-M5S: lo prova la tempestiva uscita del n. 13 de “L’Espresso” proprio il 23 scorso (venduto insieme con “La Repubblica”) con l’annunzio in copertina di una frase-bomba risultato in una intervista a un giovanissimo: “Ho diciotto anni, sono  fascista e voto Salvini”.

L’inchiesta de “L’Espresso” è il clou di un lungo momento di ridefinizione del rapporto tra forze neofasciste e forze neoantifasciste, nel comune intento di guadagnare più nuovi adepti possibile. Le sinistre, nelle loro espressioni tanto politiche quanto culturali, sono state si può dire all’avanguardia nel proporre – non diversamente da quel che altre volte avevano sperimentato durante la “prima repubblica” – l’appello antifascista come strumento per condizionare l’intera opinione pubblica. Si spiega in tal modo anche l’impegno di molti editori in tal senso, talora con prodotti e con toni propagandistici al limite intimidatori. Diamo qui di seguito un breve elenco di opere nel loro complesso eterogenee per toni e per valore, ma che costituiscono – per quel che il “partito egemone” ha potuto – la prova della sua volontà egemonica. Insieme con l’amico David Nieri mi sono provato a  raccogliere i frutti di una ricerca nel continente americano. Ho selezionato 10 libri, di quelli che circolano più densamente nelle librerie. Ecco i risultati:

  1. Francesco Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringhieri

Dalla quarta di copertina

Dopo oltre settant’anni dalla caduta del fascismo, mai come ora l’idra risolleva la testa, soprattutto su Internet, ma non solo. Frasi ripetute a mo’ di barzelletta per anni, che parevano innocue e risibili fino a non molto tempo fa, si stanno sempre più facendo largo in Italia con tutt’altro obiettivo. E fanno presa. La storiografia ha indagato il fascismo e la figura di Mussolini in tutti i suoi dettagli e continua a farlo. Il quadro che è stato tracciato dalla grande maggioranza degli studiosi è quello di un regime dispotico, violento, miope e perlopiù incapace. L’accordo tra gli studiosi, che conoscono bene la storia, è piuttosto solido e i dati non mancano. Ma chi la storia non la conosce bene – e magari ha un’agenda politica precisa in mente – ha buon gioco a riprendere quelle antiche storielle e spacciarle per verità. È il meccanismo delle fake news, di cui tanto si parla in relazione a Internet; ma è anche il metodo propagandistico che fu tanto caro proprio ai fascisti di allora: «Dite il falso, ditelo molte volte e diventerà una verità comune». Per reagire a questo nuovo attacco non resta che la forza dello studio. Non resta che rispondere punto su punto, per mostrare la realtà storica che si cela dietro alle «sparate» della Rete. Perché una cosa è certa: Mussolini fu un pessimo amministratore, un modestissimo stratega, tutt’altro che un uomo di specchiata onestà, un economista inetto e uno spietato dittatore. Il risultato del suo regime ventennale fu un generale impoverimento della popolazione italiana, un aumento vertiginoso delle ingiustizie, la provincializzazione del paese e infine, come si sa, una guerra disastrosa. Basta un’ora per leggere questo volume, e sarà un’ora ben spesa, che darà a chiunque gli strumenti per difendersi dal rigurgito nostalgico che sta montando dentro e fuori il chiacchiericcio sguaiato dei social. Prefazione di Carlo Greppi.

L’autore

Francesco Filippi (1981), storico della mentalità e formatore, è presidente dell’Associazione di Promozione Sociale Deina, che organizza viaggi di memoria e percorsi formativi in collaborazione con scuole, istituti storici e università in tutta Italia. Ha collaborato alla stesura di manuali e percorsi educativi sui temi del rapporto tra memoria e presente. Tra le sue ultime pubblicazioni Appunti di Antimafia. Breve storia delle azioni della ‘Ndrangheta e di coloro che l’hanno contrastata (con Dominella Trunfio, 2017) e Il Litorale Austriaco tra Otto e Novecento. Quanti e quali confini?, in Piacenza, Trieste, Sarajevo, un viaggio della Memoria (a cura di Carla Antonini, 2018).

  1. Ferruccio Parri, Come farla finita con il fascismo, a cura di D. Bidussa e C. Greppi, Laterza

Dalla quarta di copertina

Ferruccio Parri, uno dei maggiori esponenti dell’antifascismo italiano e della Resistenza, è una vera e propria guida. I suoi scritti e i suoi discorsi ci conducono, ancora oggi, attraverso una ragnatela di parole chiave necessarie per contrastare il ritorno di retoriche e pratiche violente e identitarie. Che se fasciste non sono, al fascismo assomigliano molto. «Non vogliamo che su questa pagina della vita italiana, su questa carica morale si possa stendere un comodo lenzuolo di oblio. Questo no, compagni giovani. Ora tocca a voi».

  1. Mauro Canali e Clemente Volpini, Mussolini e i ladri di regime. Gli arricchimenti illeciti del fascismo,Mondadori

Dalla quarta di copertina

Il 5 agosto 1943, a pochi giorni dall’arresto di Mussolini, i giornali pubblicano una notizia sensazionale: il governo Badoglio ha istituito una commissione con il compito d’indagare sulle fortune accumulate dai gerarchi nel corso del ventennio, i cosiddetti illeciti arricchimenti del fascismo. Il duce e i capi del regime, un tempo intoccabili, finiscono in prima pagina, dati in pasto a un’opinione pubblica che fino al giorno prima li aveva temuti, odiati, riveriti, spesso invidiati. Chi sono e quanto hanno «rubato»? E lo Stato è voluto veramente andare fino in fondo o ha chiuso un occhio, consentendo ai più di farla franca? Infine, quanto è tornato nelle tasche degli italiani? Quello che l’inchiesta scoperchia è un autentico verminaio. Una storia di corruzione e concussione, di tangenti e appalti, di capitali che trovano riparo all’estero, di raccomandazioni; un intreccio perverso tra politica e affari alla faccia del rigore e dell’onestà tanto proclamati dalla propaganda fascista. È una storia anche grottesca, fatta di fughe rocambolesche, di rotoli di banconote nascosti nell’acqua degli sciacquoni, di tesori sotterrati in giardino; e verbali di sequestro così scrupolosi da non crederci: favolosi patrimoni in ville e palazzi, pellicce, arazzi, gioielli, fino al numero di posate in argento, all’ultima pantofola, calza e mutanda del gerarca inquisito. Alla ribalta salgono nomi eccellenti: si scopre per esempio che Alessandro Pavolini, ministro del Minculpop, gran signore del cinema di regime, è pronto a tutto, anche a cambiare le leggi, pur di far felice l’amante, l’attrice e icona sexy Doris Duranti; che l’integerrimo Roberto Farinacci, l’ideologo della purezza fascista, ha accumulato un patrimonio di centinaia di milioni, niente male per un ex ferroviere diventato avvocato copiando la tesi di laurea; o, ancora, che Edmondo Rossoni, ex leader sindacale – «la migliore forchetta del regime» e non solo perché usa pasteggiare con posate d’oro – si è costruito nel Ferrarese un vero e proprio impero immobiliare. C’è poi Mussolini e i suoi «affari di famiglia», con gli intrallazzi di Galeazzo ed Edda Ciano, l’avidità di donna Rachele e la rapacità del clan Petacci. Mauro Canali e Clemente Volpini forniscono con documenti una radiografia del malaffare in camicia nera, facendo i «conti in tasca» ai vertici della nomenclatura fascista.

  1. Daniele Aristarco, Lettere a una dodicenne sul fascismo di ieri e di oggi, Einaudi Ragazzi.

Dalla quarta di copertina

La Storia si può ripetere? Attraverso una narrazione chiara e avvincente, una serie di lettere inviate a una giovane studentessa, Aristarco narra la storia del fascismo, ne rievoca alcuni rilevanti aspetti quotidiani, (l’istruzione, il ruolo della donna, le leggi razziali, la soppressione dei diritti) e indaga l’enigma del consenso. Nell’ultima parte del libro, infine, l’autore analizza alcuni episodi recenti. Uno strumento di dialogo con le nuove generazioni per comprendere il presente, un messaggio di fiducia nel futuro.

  1. Madeleine Albright, Un avvertimento, Chiarelettere

Dalla quarta di copertina

Il fascista, osserva Madeleine Albright, «è qualcuno che pretende di parlare per un’intera nazione o un intero gruppo, si disinteressa dei diritti altrui e usa la violenza o qualsiasi altro mezzo per raggiungere i propri scopi». Il Ventesimo secolo è stato segnato dallo scontro tra democrazia e fascismo, una lotta che ha minato la sopravvivenza della libertà e causato milioni di vittime innocenti. Sarebbe ovvio pensare che dopo quegli orrori il mondo sia pronto a respingere ogni erede di Hitler e Mussolini. Ma così non è, dimostra Madeleine Albright attingendo alle sue esperienze di bambina cresciuta in un’Europa straziata dalla guerra e di insigne diplomatica. Il fascismo non solo è sopravvissuto alla fine del Ventesimo secolo, ma oggi espone la pace e la giustizia planetarie a una minaccia mai tanto grave dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il vento democratico che scosse il mondo con la caduta del Muro di Berlino ha invertito la rotta. Gli Stati Uniti, da sempre difensori della libertà, sono governati da un presidente che esaspera le divisioni sociali e disprezza le istituzioni democratiche. In molti paesi, fattori economici, tecnologici e culturali stanno rafforzando gli estremismi di destra e di sinistra. Leader come Vladimir Putin e Kim Jong-un stanno riportando in auge molte delle tattiche impiegate dai fascisti negli anni Venti e Trenta del Ventesimo secolo. “Fascismo. Un avvertimento” è un libro per i giorni nostri ma valido per tutte le epoche. Scritto con la sapienza di chi non solo padroneggia la storia, ma ha anche contribuito a forgiarla, è un monito a trarre gli insegnamenti utili e a porsi le domande giuste per non ripetere gli stessi tragici errori del passato.

  1. Alberto Toscano, Gino Bartali. Una bici contro il fascismo, Baldini & Castoldi

Dalla quarta di copertina

Alberto Toscano analizza la figura del leggendario ciclista Gino Bartali, vincitore di tre Giri d’Italia e due Tour de France, a partire da tutti gli aspetti del suo essere: l’uomo, lo sportivo, il credente, il marito fedele «di due mogli» (la sua bicicletta da corsa e quella in carne e ossa, Adriana), l’antifascista, l’anima controversa e schiva lacerata dalla morte prematura del fratello Giulio. Un uomo giusto, che preferiva inimicarsi il potere piuttosto che concludere una gara col saluto romano. La sua religiosità ha giocato un ruolo importante nell’avversione verso le leggi razziali, nel rifiuto dei simboli della dittatura, oltre che nello straordinario dinamismo della rete clandestina nata nel 1943 per nascondere e salvare moltissimi ebrei. Per questo motivo oggi leggiamo il suo nome sul Muro dei Giusti al Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme. «Ginettaccio» non amava parlare dei suoi meriti extra sportivi e tantomeno dei suoi «chilometri per la vita», percorsi fra la Toscana e l’Umbria per salvare gli ebrei perseguitati, procurando loro i documenti falsi, che nascondeva nell’intelaiatura metallica e nella sella della sua bicicletta. Non lo considerava un gesto fuori dal comune, ma la reazione che ogni persona dovrebbe avere di fronte alla vita minacciata degli altri. Un esempio di umanità per ricordarci la nostra. Un esempio importante soprattutto nei momenti difficili della nostra storia passata, presente e futura. Prefazione di Gianni Mura. Postfazione di Marek Halter.

  1. Jason Stanley, Noi contro loro. Come funziona il fascismo,Solferino

Dalla quarta di copertina

Ebreo americano, figlio di rifugiati europei scampati alla Seconda guerra mondiale, Jason Stanley parte da uno spunto autobiografico per porsi una domanda cruciale: perché la logica del «Noi contro Loro», alla base di tutti gli autoritarismi, è diventata non soltanto il segno distintivo della politica dei fascismi europei degli anni Trenta, ma anche un concetto così seducente nelle democrazie liberali in ogni parte del mondo? Pensare agli Stati Uniti di Donald Trump è immediato, ma non è l’unico caso. Stanley, conscio del rischio delle generalizzazioni, ma convinto che il tempo in cui viviamo le renda necessarie, sceglie l’etichetta «fascismo» per identificare le diverse forme di ultranazionalismo, incarnate in un leader autoritario, diffuse in varie parti del pianeta, e ne identifica i tratti distintivi, ricorrenti, dalla strumentalizzazione di un passato mitico all’uso spregiudicato della propaganda, dalla criminalizzazione delle minoranze al culto del patriarcato e della virilità. Se la prospettiva del suo lavoro è storica, analitica, l’intenzione è militante: un alert sull’America di Donald Trump (e non solo), tanto più appassionato quanto più radicato nella biografia di un intellettuale che ha sperimentato sulla propria pelle le insidie, i pericoli e gli esiti tragici che ogni forma di fascismo porta con sé. Riconoscerne i segnali, le strategie, le trappole mentali, dice Stanley, è un primo fondamentale passo per arginarne gli effetti più disastrosi.

  1. Alberto De Bernardi, Fascismo e antifascismo: Storia, memoria e culture politiche, Donzelli

Dalla quarta di copertina

“Vi è oggi un uso semplificato e banalizzato, ma fortemente evocativo della storia, come chiave per capire i processi politici in corso, facendo perno sulla categoria di fascismo/antifascismo, dotata di una sua prepotente ricorsività e di una forza simbolica ineguagliabile; anzi di una costante attualità, perché in quella coppia di opposti si riassume tutta la lotta politica dell’Italia novecentesca fino ad oggi. Dietro questa forza però si nascondono molte debolezze: se ogni avversario di oggi non è altro che la reincarnazione di quello del passato, quale strategia si mette in campo per sconfiggerlo?”

La vittoria elettorale della destra populista il 4 marzo 2018 ha sortito, tra gli altri, l’effetto di reintrodurre prepotentemente nel dibattito pubblico la parola «fascismo», attribuendole una nuova attualità come esito possibile della crisi politica italiana e facendo riemergere, soprattutto nella sinistra, la chiamata alle armi sotto la bandiera dell’antifascismo. La contrapposizione fascismo/antifascismo, come non accadeva dagli anni di Tangentopoli, ha riassunto i caratteri di una chiave di lettura per il tempo presente, capace di proiettarsi anche in una dimensione europea. La forza di questo paradigma si traduce in una sovraesposizione dell’uso pubblico della storia, con costanti riferimenti alla Resistenza, alla crisi del 1920-1922, al duce, al razzismo, al neofascismo. La storia torna a essere – come in altre fasi critiche della vicenda repubblicana – uno strumento di lotta politica, con tutto il carico che questo comporta in termini di semplificazioni, strumentalizzazioni, rimozioni e a volte mistificazioni, che rischiano di inficiare la comprensione della realtà. Scopo di questo libro è fare chiarezza cercando di diradare la nebulosa di incrostazioni ideologiche e di false concettualizzazioni che innervano l’uso della storia nel dibattito pubblico e nella lotta politica. Tornano essenziali, a questo fine, i risultati più maturi della ricerca storica, che in questi ultimi anni ha elaborato nuove conoscenze e griglie interpretative del fascismo e dell’antifascismo, in grado di contrastare i forti rischi insiti in quel paradigma. Alberto De Bernardi ricostruisce l’itinerario storico nel quale questa coppia di opposti ha dominato la vita politica e civile dell’Italia, assumendo di volta in volta connotazioni e significati assai diversi. Si parte dalle origini, tra il 1920 e il 1924, in cui le due parole entrano nel lessico della politica italiana ed europea; si prosegue con gli anni trenta, l’epoca dell’egemonia del fascismo in Europa e della sconfitta dell’antifascismo; si passa poi agli anni tra il 1943 e il 1948 con il collasso del fascismo e la nascita della Repubblica fondata sulla Resistenza e sulla Costituzione antifascista; si ricostruisce lo scontro tra fascismo e antifascismo negli anni del terrorismo e dell’«attacco al cuore dello Stato»; per arrivare infine alla crisi della prima Repubblica, da cui prende le mosse una lunga fase dominata dal «post», tra cui anche il post-fascismo e il post-antifascismo, alla ricerca irrisolta di una nuova identità repubblicana. Alla fine del percorso, il lettore avrà acquisito una preziosa «cassetta degli attrezzi», utilissima per leggere il presente fuori dagli stereotipi, dai riflessi condizionati, dalle retoriche.

  1. Claudio Vercelli, Neofascismi,Edizioni del Capricorno

Dalla quarta di copertina

Il fascismo non si è esaurito con la fine del ventennio mussoliniano: da settant’anni, la storia dell’estrema destra si accompagna a quella della Repubblica italiana «nata dalla Resistenza». Per più aspetti, anzi, ne è una sorta di reciproco inverso, che nega nella maniera più violenta la legittimità politica delle istituzioni democratiche, denunciate come una perversione dell’ordine naturale delle cose. Questo libro è dunque un viaggio: dalla RSI a CasaPound. I presupposti ideologici, i riferimenti culturali, gli autori e i rappresentanti politici, i protagonisti dell’eversione, i movimenti, la nebulosa di sigle e riviste: per la prima volta, l’analisi puntuale, spietata e informata di un’area di pensiero e d’azione sfaccettata e complessa. Un’ombra nera che ha attraversato tutto il dopoguerra. Fino alla destra radicale di oggi. Fino alla sua aggressiva ambizione di rappresentare il territorio sociale dell’esclusione, indicandogli cause di disagio immediatamente condivisibili: immigrazione, «poteri forti», furto del lavoro, complotti. Perché è necessario capire che la forza del radicalismo di destra è direttamente proporzionale alla crisi della democrazia sociale. Più indietreggia la seconda, maggiori sono gli spazi per il primo. Così è stato in passato, così sarà per i tempi a venire. Un libro per approfondire, analizzare, comprendere. Uno strumento per trovare le risposte alla tragica complessità del nostro presente.

  1. Michela Murgia, Istruzioni per diventare fascisti,

Dalla quarta di copertina

«Essere democratici è una fatica immane. Significa fare i conti con la complessità, fornire al maggior numero di persone possibile gli strumenti per decodificare e interpretare il presente, garantire spazi e modalità di partecipazione a chiunque voglia servirsene per migliorare lo stare insieme. Inoltre non a tutti interessa essere democratici. A dire il vero, se guardiamo all’Italia di oggi, sembra che non interessi più a nessuno, tanto meno alla politica. Allora perché continuiamo a perdere tempo con la democrazia quando possiamo prendere una scorciatoia più rapida e sicura? Il fascismo non è un sistema collaudato che garantisce una migliore gestione dello Stato, meno costosa, più veloce ed efficiente?». Michela Murgia usa sapientemente la provocazione, il paradosso e l’ironia per invitarci ad alzare la guardia contro i pesanti relitti del passato che inquinano il presente. E ci mette davanti a uno specchio, costringendoci a guardare negli occhi la parte più nera che alberga in ciascuno di noi.

  *   *   *

Si tratta di opere differenti per qualità e per caratteri, che, tuttavia – a parte alcuni modelli ormai classici, come lo scritto di Ferruccio Parri –, sembrano aver avuto come ispiratrici la fretta e l’animosità. Il tempo stringe, si è alla vigilia della competizione elettorale di maggio e si cerca (è un’antica illusione di certe parti politiche) di chiamare a raccolta le forze attorno a un obiettivo stimato di alta e profonda intensità (il vecchio Montanelli lo avrebbe detto “viscerale”) e usato sovente con obiettivo minatorio: ciò traspare anche dal testo di alcune “quarte di copertina”, spesso – come nel caso di quella di Filippi – davvero troppo perentorio e violento per giovare alla credibilità del volume (giudizi storici dati come certi, unanimi e incontrovertibili tali non sono affatto); quando non ci si risolve a temi e a espedienti un po’ frusti, come la riesumazione dei vecchi e ben noti (nonché spesso contestati) esiti della commissione per gli “illeciti profitti di regime”, sovente abbastanza patetici (pur calcolando il peso del tempo trascorso) rispetto a ben più massicci e sistematici profitti di regime della prima e della seconda repubblica. Non mancano le indicazioni della pericolosità di una lettura “attualizzante” del conflitto fascismo/antifascismo, che esageri e canonizzi continuità e analogie: ed è quanto appunto rileva De Bernardi; mentre l’appiattimento del fascismo sulla tassonomia schmittiana amicus-hostis e quasi la soluzione di quello in questa privilegiato da Stanley, per la verità, stupisce non poco; mentre il semplicismo deterministico e vagamente freudiano assunto difeso dalla Murgia, al di là delle sue buone intenzioni, appare un po’ ridicolo.

Irrecevibile  e incommentabile, poi, il confuso e affrettato pamphlet della sinistra Madaleine Albright, la segretaria di Stato di Clinton a proposito della quale – e a specchiato commento dei suoi nobili sentimenti antifascisti – basti citare un episodio: il 22 Maggio 1996,  le fu chiesto, nel corso di un pubblico dibattito trasmesso dalla catena CBS e condotto da Leslie Stahl, se fosse valsa sul serio la pena (ed era una domanda, riconosciamolo, alquanto “minimalista”) di far morire migliaia di bambini, com’era accaduto appunto a causa dell’embargo contro l’Iraq al quale la politica clintoniana era stata indotta dalla pressione congiunta dei neoconservative quali Richard Perle e d’Israele. Si parlava allora di mezzo milione di bambini: a cose fatte, si constatò che il numero era ancora più alto. Alla domanda: “Is the price worth it?” – è il caso di dirlo manzonianamente –; la sciagurata rispose: “I think this is a very hard choice, but the price, we think the price is worth it”. Ebbene, è da questo pulpito erodiano che discende solenne la condanna del fascista come «qualcuno che pretende di parlare per un’intera nazione o un intero gruppo, si disinteressa dei diritti altrui e usa la violenza o qualsiasi altro mezzo per raggiungere i propri scopi»: una definizione che dipinge perfettamente il comportamento di legioni di politici democratici, liberali e antifascisti. Non parlerò del libro di Aristarco: mi limiterò a paragonarlo semplicemente con altri due scritti formalmente analoghi, Il comunismo spiegato ai bambini capitalisti (e a tutti quelli che lo vogliono conoscere) di Gérard Thomas (edizioni Clichy), che fa davvero venir la voglia di diventar comunisti, e soprattutto a quella cannonata che è lo splendido Le capitalisme expliqué à ma petite-fille (en ésperant qu’elle en verra la fin) (Seuil).

Insomma, ci troviamo dinanzi a un desolante panorama di scritti strumentalmente volti nella loro maggioranza – e con le dovute eccezioni – alla mal impostata lotta contro la xenofobia dei giorni nostri e il ridicolo paludamento neofascista che qualche sconsiderato imbecille vuole indurla a indossare attraverso l’evocazione del Mostro, del Nemico Metafisico che in realtà ci si dimostra perfino incapaci di definire con chiarezza. Una reductio omnium malorum ad lictorium che ha tutti i caratteri dell’esorcismo e della confutazione inquisitoriale.

Ma fortunatamente non tutti i mali vengono per nuocere; e sovente dalla malattia nasce anche l’antidoto. La febbre d’iperproduzione di paccottiglia antifascista disonestamente strumentale ha prodotto un piccolo gioiello, una perla rara, una rosa nel deserto: una raccolta di scritti di Pier Paolo Pasolini redatti fra ’62 e ’75 e intitolata Il fascismo degli antifascisti. Solo che, anche qui, ci sarebbe da ribattere. Per Pasolini, la forma di “nuovo fascismo” più insidiosa degli anni nei quali egli scriveva era il sistema dei consumi che aveva imposto l’omologazione culturale del paese e “la normalità, come codificazione del fondo brutalmente egoista di una società”. La morte precoce ha impedito a Pasolini di assistere al degrado ulteriore di quanto giustamente egli denunziava. Ma perché ascrivere al fascismo (e rieccolo, il “fascismo eterno”: che è, appunto, quello degli antifascisti…) qualcosa di proprio viceversa essenzialmente dei poteri che del fascismo furono a suo tempo acerrimi nemici?

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