di Domenico Argondizzo 2 dicembre 2015
Vorrei provare a condividere alcune suggestioni stimolate da una recente riunione di redazione della rivista Mondoperaio e dalla assemblea del 28 novembre 2015 a Roma, fondativa di Risorgimento Socialista. Inizio dalla prima.
1) Europa ed ONU, sono risorse per affrontare le questioni internazionali. Non per essere terzomondista, o filopalestinese (beninteso non nemico di Israele!), ma rivivendo ed attualizzando una delle caratteristiche del socialismo, cioè l’internazionalismo, si potrebbe/dovrebbe confidare maggiormente negli organismi internazionali, o meglio finalizzare uno sforzo culturale a che vengano potenziate le competenze di tali organismi. E dato che noi siamo in Europa, prima dell’ONU, c’è da pensare a fare la Federazione europea, dando poteri pieni al Parlamento, secondo un modello di governo connotato dalla separazione dei poteri tra Parlamento e Commissione, e marginalizzando le prerogative del Consiglio dell’Unione e soprattutto del Consiglio europeo (che non a caso era organo extra ordinem nell’originario quadro normativo comunitario…). Ciò anche per rispondere a chi (leggasi Nencini) vede la perdurante affermazione degli USA nei contrasti internazionali, come la più probabile per il fatto che essi mantengono un indiscutibile primato della innovazione tecnologica. Ben venga una tale perdurante affermazione, perché qui non si tratta di essere anti imperialisti, ma facciamo uno sforzo per muovere il sistema dei rapporti internazionali enfatizzando maggiormente UE, e non i singoli stati membri, ed ONU, e non i singoli stati membri. Questa è a ben vedere anche la prospettiva che attenua le conseguenze negative di futuri tracolli del colosso americano (che vi saranno, seppure tra secoli), ovvero di nuovi bipolarismi o multipolarismi (Cina versus USA, ovvero Cina versus India, ovvero Cina-India-Asia versus Usa-Russia-Europa, ovvero USA-America versus Cina-India-Asia, con l’Europa egemonizzata dalla Russia e fuori dei rapporti di forza prevalenti insieme ad Africa e Medioriente, ecc.).
Se il primo punto voleva essere asettico e più sul piano dei meri rapporti internazionali-diplomatici, nel prossimo punto vorrei sollevare alcune questioni di merito che secondo me condizionano e costringono le dinamiche dei rapporti internazionali e della sicurezza mondiale.
2) E sono i temi delle fonti di produzione di energia (e connesso ambiente), dell’industria degli armamenti (e connesso PIL), del sistema di produzione alimentare (agricoltura ed allevamento in primis) e connesso uso dell’acqua, ed in generale dei sistemi di produzione economica mondiale. E’ indiscutibile che le tensioni internazionali e le guerre seguono i pozzi di petrolio, e gli oleodotti che consentono lo stoccaggio del greggio in posti più sicuri. Incuranti dei cambiamenti climatici indotti, sempre più accelerati e devastanti. Analogamente, è indiscutibile che l’industria delle armi ha le sue esigenze e le fa pesare. E’ indiscutibile che con una agricoltura estensiva si debbono usare quantitativi di acqua (sempre meno disponibile) e sostanze chimiche che incidono pesantemente sull’ambiente e sulla salute dei viventi (si vedano i pesticidi in Argentina…). E’ indiscutibile che un sistema economico mondiale in cui pesano in maniera predominante le esigenze del mercato finanziario ed oligopolistico (e non quelle dell’equilibrio economico concorrenziale e regolato dagli operatori pubblici-politici), debba puntellarsi sulle esigenze di produzione dei diversi gruppi economici esponenziali vuoi della raccolta-raffinazione del petrolio, vuoi della vendita delle armi, vuoi della filiera della produzione agricola ed animale estensiva. Se si provasse anche solo a sbrogliare uno di questi nodi, e primo fra tutti quello del petrolio, le dinamiche internazionali seguirebbero altri percorsi.
E questi sono solo maldestri ed inadeguati accenni.
Poi un terzo ed ultimo appunto.
3) Non necessariamente per volere dare una seconda giovinezza a temi cari al costituzionalismo, ma si potrebbe tornare, almeno in via tangenziale, su alcuni alcuni di essi. Prima di tutto l’articolo 49 Cost., sulla democrazia interna ai partiti, di cui si parla sempre, e di cui si propongo spesso applicazioni non sincere e piene, solo per usare un titolo ad una legge (o progetto di legge). Poi il tema della organizzazione dei poteri, e di quali poteri si potrebbe ancora parlare (e su quali materie) in un paese come il nostro che dovrebbe diventare parte di una Federazione europea. Sotteso alla organizzazione di poteri pubblici, vi è sempre, ovviamente, quello dei poteri privati, che secondo il pensiero socialista, andrebbero regolati al fine di consentire dinamiche economiche sempre più favorevoli alle fasce di popolazione ai margini o fuori del benessere, consentendo loro una graduale emancipazione culturale e politica.
Passando alla Assemblea del 28 novembre scorso, vorrei ora provare ad esprimere alcune opinioni dissonanti rispetto alle osservazioni espresse da taluno degli oratori.
4) È stato detto da Nino Galloni che un gravissimo rischio sarebbero gli Stati uniti d’Europa, e che invece sarebbe assai assai provvido tornare ad una moneta nazionale. Rispondo a lui, per il secondo argomento, che stia sereno perché, con dieci anni di renzismo al governo italiano, dall’area monetaria unica ci sbattono fuori i popoli europei seri e con un alto livello di eguaglianza sociale. Il primo argomento, egualmente irrazionale, merita una risposta lievemente più articolata e sviluppata per affermazioni retoriche. Secondo l’economista Galloni, quindi:
A. la nostra economia non è minata dalla costosissima presenza antistatuale delle mafie nei due terzi del territorio nazionale;
B. la nostra economia non è minata dal fatto che essa per una sua buona maggior parte è in nero, cioè non è ufficialmente conosciuta all’Erario, all’ISTAT, e quindi agli osservatori internazionali;
C. la nostra economia non è minata dal fatto che, accanto alle mafie, ed in sinergia con esse, esistono reti di relazioni e d’affari, corruttive-conniventi, che segnano e connotano – come una trama intessuta d’acciaio – l’intera comunità sociale.
Una ultima osservazione che risponde alle due irrazionalità di Galloni: egli sottace e vuole ignorare che il problema dell’introduzione dell’euro è stato portato solamente e semplicemente dal fatto che commercio, imprese e professioni italiane hanno taroccato il cambio interno (a 1000 lire per 1 euro, invece che il cambio ufficiale 1936,27 lire per 1 euro), raddoppiando con ciò nella notte di capodanno 2002 tutti i prezzi di beni e servizi nel nostro mercato interno, e rispettando il cambio ufficiale europeo solo per i salari, che sono stati così dimezzati nel nostro mercato interno nella stessa notte. Tutta la crisi economica italiana, crisi di dimanda interna, deriva dalle caratteristiche accennate della nostra economia, e dal “colpaccio” di commercio, imprese e professioni italiane di capodanno 2002. Chi le disconosce, non rende un buon servizio al paese, fa opera di copertura culturale antipopolare (si ripete la favoletta che gli allegri mutui edilizi americani abbiano dimezzato lo stipendio del lavoratore dipendente italiano…), ed in conclusione non agisce da socialista.
5) Nell’intervento di uno dei graditi ospiti, Antonio Ingroia, sono state fatte due osservazioni che meritano di essere discusse se non confutate. La prima è quella che un primo campo propizio di lavoro comune sarebbero i referendum abrogativi dell’“italiko” e/o “oppositivi” alla “deforma-Costituzione” (uso le locuzioni coniate da Felice Besostri). Per quanto pure abbia, all’inizio del suo intervento, elogiato l’avvocato socialista Felice Besostri per la Sua azione, tale elogio si rivela essere di maniera, quando poi non è conseguente e non dichiara che il primo, e per ora unico, campo di lavoro immediato comune, per le forze politiche si oppongono al golpe renziano, è e deve essere il sostegno alle azioni giudiziarie in tutta Italia contro l’italiko intraprese e guidate da Felice Besostri (ed alle altre eventuali azioni giudiziarie che dovessere intraprendersi nei prossimi mesi anche contro la deforma-Costituzione). Una seconda osservazione, ripetuta come un ritornello, di Ingroia è stata quella secondo cui si dovrebbe essere “alternativi” al Movimento Cinque stelle. A questa seconda affermazione, evidentemente mossa da invidia elettorale, supponenza culturale, insipienza politica, merita che gli si risponda: bene, allora Lei si allei pure con renzie.
Concludo confessando senza pudore di sognare una rete politica connotata dalla cultura socialista (e dal popolarismo e liberalismo) che possa conseguire i suffragi che il Partito socialista italiano ottenne nel 1919, 1921, 1946. Tre occasioni in cui si presentò “alternativo” sì (per rispondere ancora ad Ingroia) ma ai comunisti, cioè ad una forza politica che connotava la sua azione secondo una concezione autocratica del potere e della organizzazione politica della società (non dissimile in ciò dal partito fascista e dall’odierno partito democratico).