di Antonio Gaeta 12 novembre 2018
Come ho premesso (1), sebbene i canti citati del Ciclo di Inanna, nel loro candore poetico e narrativo, esprimono in tutta evidenza testimonianze storiche e psichiche, che caratterizzavano l’epoca mesopotamica nel corso del IV millennio a.C., cionondimeno penso sia utile spendere qualche considerazione su di esse.
La 1′ é: i rozzi e guerreschi pastori indoeuropei, provenienti dagli altopiani anatolici, furono attratti dalle ricchezze, che le civiltà mesopotamiche autoctone avevano generato nel corso dei precedenti millenni. Il riferimento al “rigoglioso giardino” di Inanna sta ad evidenziare il contrasto con la precedente natura selvaggia delle pianure intorno al Tigri e all’Eufrate (2).
Questo “giardino” é il contesto in cui si sviluppano le vicende umane, che si riconoscono nei canti dedicati alla loro dea/regina. Può sembrare strano che io indichi con queste doppia definizione un personaggio religioso, che riassume in sé una duplice valenza: sia divina sia terrena. Tuttavia, il Ciclo di Inanna testimonia anche un passaggio cruciale nell’evoluzione culturale iniziata in era paleolitica.
Questa é la 2′ considerazione che sento di fare, giacché la divinità paleolitica é stata sempre raffigurata nei dipinti rupestri come immanente la natura stessa di tutte le cose esistenti: viventi e non (3). Tale caratteristica, con lo sviluppo dell’agricoltura iniziata in era neolitica, si trasforma. La divinità, infatti, assume sempre più una dimensione sovrannaturale: dimensione che offrirà anche alle culture più rozze e meno creative dell’età del bronzo e del ferro l’opportunità di cambiarne connotati e significati. Sebbene lo “status” di tipo ultraterreno sia comunque concepito come parte dell’esistente (4), la sua caratteristica trasmigratoria tra ultraterreno e terreno (e viceversa), é ciò che colpisce più di ogni altra commutazione.
Questa caratteristica commutativa permette a Inanna di assumere funzioni altamente creative, che giustificano agi occhi e le menti umane soprattutto lo sviluppo dell’agricoltura, e la sua intrinseca capacità di generare veri e propri Eden (giardino sacro). Il collegamento tra il mondo di sopra (della dea), quello di mezzo (degli uomini) e quello di sotto (dei morti) é rappresentato dall’albero di huluppu (5).
Le suddette antiche ideazioni hanno costituito antefatti, che hanno condizionato anche le mitologie delle culture indoeuropee, da noi conosciute come più progredite: quella greca, acquisita interamente da quella romana, e quella germanica (5). Entrambe tennero testa alla penetrazione delle religioni monoteiste per molti secoli.
Cionondimeno il culto di Inanna non ebbe caratteristiche politeiste, giacché Ereshkigal costituisce uno dei volti della dea. L’altro é quello della vergine Inanna non ancora sposa e, quindi, non ancora regina (Inanna trasformata). I tre volti della Dea in genere sono rappresentati con nomi diversi in tutte le culture matrilineari antecedenti alle invasioni indoeuropee, a voler significare la trinità femminile nel complesso percorso della vita, di cui fa parte anche la morte. Ciò contrariamente alla cultura patriarcale, che nella morte vede solo l’opportunità di trasmettere o beneficiare di eredità.
Questa considerazione (la 3^) fa capire come la creazione della figura del “Re” traesse origine e legittimità dal culto della Dea. Essa poteva diventare anche Regina di un popolo, grazie allo ieros gamos: ovvero il matrimonio sacro (6). Questo veniva celebrato ogni anno con l’elezione e il sacrificio di un “re sacro”, che sapeva di dover morire ma anche di poter rinascere. Tutto il percorso era generato e legittimato dal rito matrimoniale, mediante accoppiamento con la sacerdotessa, che soprattutto in quell’occasione rappresentava la Dea. Quindi, la figura del Re legittimato da Dio in tutta la sua discendenza (carattere ereditario della funzione regale), in realtà fu introdotto dai popoli invasori di stampo indoeuropeo. La legittimazione iniziale, durata anche in costanza di dominio patriarcale, fu della Dea, nella sua veste di Regina indossata e assolta dalla sacerdotessa a capo del clan più prestigioso (7).
Circa la 4^ considerazione, abbiamo visto nel 2′ canto come Nergal abbia ottenuto il trono, che per millenni era stato di Ereshkigal/Inanna e prima ancora di Arinna (8). Abbiamo seguito Inanna nell’Irkalla, dove ha incontrato la sorella detronizzata. Ciò che colpisce in questo canto é la condizione psichica della dea rispetto all’arroganza e la ferocia del dio guerriero e usurpatore del trono. Essa sembra completamente assorbita dalla logica della violenza del potere, al punto da imporre a Inanna di varcare le 7 porte, che conducono prima alla privazione di tutte le sue doti e poi alla trasformazione in Regina, capace di farsi rispettare e valere, non solo dal dio della guerra, ma anche da tutti i suoi demoni (uomini) guerrieri.
Quest’ultimi, infatti, dopo lo “sguardo d’odio” e la “pronunzia dell’ira” da parte di Inanna, eseguono i suoi ordini di “prendere Damuzi” e portarlo nel mondo di sotto (Irkalla).
NOTE:
- – Vedi: https://www.nuovatlantide.org/i-canti-del-ciclo-di-inanna-i/
- – L’agricoltura nata nell’ VIII millennio a.C. si é sempre sviluppata grazie all’abbattimento di boschi alluvionali e relativi sottoboschi, spontaneamente germogliati e sviluppati in prossimità di corsi d’acqua, caratterizzanti le aree circostanti.
- – Le scienze contemporanee ci dimostrano che la componente conosciuta come “inorganica” di ciò che definiamo “materia” non é rigidamente separata dalla cosiddetta “materia organica” (o vivente)!
- – Basti pensare all’Olimpo greco, concepito come residenza montana di Zeus e tutti i suoi dei o al Walhalla germanico, sospeso sopra le nuvole !
- -Si pensi alla discesa negli Inferi di Odisseo, di Enea e persino di Dante. Nella mitologia germanica la stessa funzione dell’huluppu l’assume il “frassino”!
- – Per lo ieros gamos vedi: https://www.nuovatlantide.org/luomo-una-ricerca-in-corso-dopera-iii-yerosgamos/
- – Su questo vedi “Società Matriarcali” di Heidi Goetner-Abendroth
- -Per Arinna vedi “Oscure Madri Splendenti” di Luciana Percovich (Venexia)