Alberto Genovese e le foto delle vittime: centinaia di scatti condivisi con gli “amici”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Monica Serra, Cesare Giuzzi e Giuseppe Guastella
Fonte: La Stampa - Corriere della Sera

Ho partecipato a una decina, forse una ventina di feste. Lui nei party era sempre molto fisico: si avvicinava a tutte le ragazze, ci ballava in modo provocante però tutti lo accettavano perché era lui che offriva. Aveva una specie di “Sindrome da sceicco”, non c’erano altri uomini se non alcuni amici e il suo braccio destro.

Una sera, in una villa di Ibiza, eravamo quattro ragazze (di cui tre modelle), un ragazzo e appunto Alberto Genovese. Una di loro, che veniva dalla Lituana, ha cominciato a provarci con lui. Dopo poche ore si sono chiusi in camera e non li abbiamo visti per tre giorni, l’abbiamo poi ritrovata in una camera, a letto, addormentata nuda fra i suoi escrementi. Non so cosa sia successo, posso supporre. L’hanno messa sotto la doccia, dov’è rimasta per un’ora. Non ha voluto un’ambulanza, forse perché aveva assunto droghe. Ha smesso di parlare, camminava a gambe divaricate, una scena che non posso dimenticare. Noi stupidamente pensavamo che fosse colpa sua, perché reduce dall’uso di sostanze stupefacenti. Oggi capisco che forse abbiamo sbagliato a giudicare“.  Cristina

1 – ALBERTO GENOVESE E LE FOTO DELLE VITTIME: CENTINAIA DI SCATTI INVIATI AGLI AMICI

Cesare Giuzzi e Giuseppe Guastella per il “Corriere della Sera”

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Centinaia di immagini di rapporti sessuali anche estremi con ragazze giovani e belle scambiate in chat con gli amici. Le «prede» che Alberto Genovese catturava in camera da letto durante le feste a «Terrazza sentimento» giravano come trofei da esibire, e dileggiare, sui telefonini della stretta cerchia di amici e inevitabilmente venivano rilanciate ad altri cellulari e da questi ad altri ancora in una catena infinita.

Corpi violati e ridotti a bottino che il 43enne imprenditore, in carcere da un mese per lo stupro di una modella 18enne e indagato per una violenza sessuale su una 23enne ad Ibiza, umiliava e condivideva con altri predatori sessuali. A raccontare questo traffico di immagini sono state le decine di testimoni ascoltati nelle scorse settimane dagli investigatori che stanno analizzando i 400 gigabyte di filmati, documenti e fotografie sui due telefonini e i due tablet sequestrati a «Terrazza sentimento».

Materiale che potrebbe nascondere altri casi di violenze sessuali. I video girati nella notte tra il 10 e l’11 ottobre dalle telecamere di sorveglianza del superattico con vista sul Duomo riprendono per intero le quasi 20 ore della violenza. Mostrano l’imprenditore mentre fotografa con il cellulare la 18enne nuda e priva di sensi sul letto della sua camera.

Altre due fotografie vengono scattate mentre abusa della ragazza, che non si muove perché è totalmente intontita dalla droga che lui le ha fatto prendere trasformandola in «una bambola di pezza» nelle sue mani, come si legge agli atti dell’inchiesta condotta dalla Squadra mobile coordinata dal pm Rosaria Stagnaro e dall’aggiunto Letizia Mannella.

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Non è chiaro se abbia o meno inviato agli amici anche queste immagini, perché l’analisi forense dei file è ancora in corso. Genovese, però, dopo la violenza non ha cancellato immagini dai due telefonini che usava, dei quali al momento dell’arresto ha fornito spontaneamente le password. Un terzo apparecchio di vecchia generazione è stato trovato nella cassaforte che si trova in camera da letto assieme a 40 mila euro in contanti e ad alcuni grammi di «coca rosa».

I tecnici non hanno ancora potuto accedere alla memoria. Anche nei due tablet sono stati trovati video e foto. Genovese conservava in modo maniacale, quasi come un collezionista, ogni immagine delle ragazze con le quali aveva rapporti sessuali. Materiale che gli inquirenti definiscono «sterminato» che risalirebbe anche a più di due anni fa.

ALBERTO GENOVESEALBERTO GENOVESE

Alcune delle giovani sentite dalla squadra Mobile hanno testimoniato che quasi ad ogni festa Genovese sceglieva una, due delle invitate e le portava con sé al piano di sotto, nella camera da letto con la porta chiusa e sorvegliata da un bodyguard, con la scusa di «tirare» droga migliore. Interrogato dai magistrati immediatamente dopo l’arresto, l’uomo ha raccontato che le ragazze che partecipavano alle sue feste esclusive lo «adulavano» in continuazione perché «quando mai gli sarebbe ricapitato di andare in vacanza a Ibiza con un jet privato?».

alberto genoveseALBERTO GENOVESE

Ha anche parlato degli ultimi anni della sua vita, quelli trascorsi dopo aver incassato oltre 100 milioni con la vendita delle società. «Fino all’agosto del 2014 ho lavorato tantissimo. Poi ad agosto 2015 ho cominciato a drogarmi mentre ero in vacanza nell’hote Tahiti a Formentera». La cocaina diventa una schiavitù: «Per un anno sono stato in grado di lavorare, poi ho incominciato a circondarmi di persone più forti di me per il percorso di studi e capacità, e io ero sempre più solo».

Di fatto ha «smesso di lavorare»: «L’ultima volta che ho aperto un computer per lavorare è stato nel 2016 o 2017. Non avevo nemmeno il badge per accedere alla sede della società». Davanti ai pm, Genovese parla anche del tentativo non riuscito di far «piallare» (cancellare) da un tecnico le immagini delle videocamere della casa nelle ore successive alla violenza: «Quando ho chiesto di cancellare tutto» è perché «avevo paura che la ragazza fosse minorenne» e perché «c’era la polizia sotto casa mia, c’era droga d’appertutto e poi c’era la notte trascorsa con la 18enne» che, sostiene, «poteva essere presa, se fuori contesto, come violenza sessuale».

2 – SULL’IPAD DI GENOVESE FOTO INTIME DI RAGAZZE “CONDIVISE CON AMICI”

Monica Serra per “la Stampa”

alberto genoveseALBERTO GENOVESE

Era un “collezionista” di foto e video Alberto Maria Genovese: delle serate, dei festini fino al mattino a Terrazza sentimento o nei locali milanesi. Anche, e soprattutto, delle ragazze con cui era solito intrattenersi nella camera padronale del suo superattico con vista Duomo.

Scatti a volte rubati, come nel caso della 18enne che è accusato di aver sequestrato e stuprato per 24 ore tra il 10 e l’11 ottobre scorsi. Foto intime che poi – raccontano i suoi amici sentiti come testimoni – Genovese mandava in giro per «vantarsi» delle sue performance. Una «spacconata» che ora complica la posizione del mago delle startup, in una cella di San Vittore dal 6 novembre scorso. E che dà nuovi spunti investigativi alle pm Letizia Mannella e Rosaria Stagnaro, titolari dell’inchiesta.

Migliaia di foto e video sono stati raccolti dai telefonini sequestrati a Genovese alla presenza dei consulenti di accusa, difesa e della vittima, ora assistita dall’avvocato Luigi Liguori. L’intera memoria di due tablet e due cellulari è stata scaricata: l’imprenditore ha accettato di fornire alla procura il pin, uguale per tutti i dispositivi.

alberto genoveseALBERTO GENOVESE

Manca però il codice per aprire un terzo cellulare, che la Squadra mobile ha trovato nella cassaforte del superattico, con 40 mila euro, e i resti di cocaina e 2cb, la pregiatissima “coca rosa”, servite sui piatti all’ultimo esclusivo party. La mole di materiale è enorme. Si aggiunge ai video delle diciannove telecamere di sorveglianza dell’appartamento, ai contenuti pubblicati sui social e a quelli acquisiti nei cellulari di molti ospiti più o meno abituali a Terrazza sentimento: in tutto una sessantina sono già stati convocati in Questura.

AUDIO DELLA RAGAZZA VIOLENTATA DA ALBERTO GENOVESE INVIATO A DANIELE LEALIAUDIO DELLA RAGAZZA VIOLENTATA DA ALBERTO GENOVESE INVIATO A DANIELE LEALI

Tutti i piccoli segmenti del girato delle telecamere, da maggio a ottobre, vanno contestualizzati, collegati a party, fatti e persone. Anche a caccia di altri casi di violenza sessuale che Genovese potrebbe aver commesso. Al netto, chiaramente, del materiale che l’imprenditore ha nel tempo chiesto al suo tecnico di «piallare» quando si rendeva conto di aver «esagerato». Ci ha provato anche il 12 ottobre, mentre gli investigatori stavano per perquisire il suo appartamento. «Perché avevo paura», ha spiegato ai pm durante l’interrogatorio del 19 novembre.

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«C’era la polizia sotto casa, la droga, la notte con la ragazza. Che, fuori contesto, poteva essere presa come una violenza sessuale». Genovese ha parlato pure del lavoro, distinguendo la sua esistenza in «due fasi»: «Fino all’agosto 2014 ho lavorato moltissimo. Ma ad agosto 2015 ho iniziato a drogarmi all’hotel Taiti di Formentera», ha messo a verbale. «Sono riuscito a lavorare per un altro anno, poi ho iniziato a circondarmi di persone più forti di me, più preparate, e io ero sempre più solo».

ALBERTO GENOVESEALBERTO GENOVESE

Così il re delle startup dice di aver «smesso di lavorare». L’ultima volta che ha usato un computer per lavoro risalirebbe al «2016, forse 2017. Non avevo neanche il badge per entrare nella società». I magistrati hanno provato a chiedergli del secondo caso di violenza che ora gli contestano, su una ventitreenne a luglio. Lui ha cercato di «minizzare». Del resto a quella ragazza – si è chiesto spavaldo – «quando capiterà più di andare in vacanza a Ibiza con un jet privato?».

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