Fonte: Il Manifesto
Un governo di necessità e di opportunità
Appelli e governi. Preso atto che al di là di certi confini e di certe forze, per ora, non si può andare, il discorso politico comincia qui. Ed è una parte del discorso tutt’altro che irrilevante.
Ho letto con grave ritardo, per motivi strettamente personali, l’appello orientato al sostegno (critico, ma sostegno) al governo Conte, firmato ormai, oltre che da molte autorevoli personalità, da diverse migliaia di persone. Mi sembra troppo tardi per formulare un giudizio su tale appello. Vorrei tuttavia esprimere un’opinione sulla situazione politica italiana attuale.
Io penso che questo governo – il governo Conte 2 – non abbia alternative. Non abbia alternative in seno al governo (allargamenti, rimpasti, di presidenza, apertura ad altre forze che ora non ci sono, ecc.). Non ce n’è una, di quelle ipotizzabili, che non sia prospetticamente peggiore di quella presente (chi non la pensa così, avrebbe il dovere di dire quale). L’unica alternativa possibile – del resto è già stato detto infinite volte – è il ricorso alle urne: che fra tutte sarebbe ora l’alternativa peggiore, addirittura catastrofica (come avvedutamente pensa il Presidente Mattarella).
Se le cose stanno così, si dovrebbe poter rispondere anche alla domanda: fino a quando senza alternative? Anche in questo caso io penso che non esistano alternative fino alla fine della legislatura: quando con le nuove elezioni sarà sanzionata (ma sarà da vedere come, allora) quella che io chiamo la fine di un ciclo.
In questo residuo percorso, abbastanza lungo, sarà da affrontare fra l’altro quello che per me è uno dei motivi fondamentali per cui questo governo e questa maggioranza non hanno alternative: e cioè l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Una questione di questa portata si può ragionevolmente pensare e decidere al di fuori dell’arco di forze che attualmente costituiscono la maggioranza parlamentare in questo paese?
Fino a questo punto, come forse il lettore avrà notato, non ho pronunciato nessun giudizio di valore: buono, cattivo, progressista, conservatore, di sinistra, di centro-sinistra, di centro-destra, di destra…
E cioè: la situazione in cui ci troviamo è una classica situazione di necessità, della quale non si può innanzitutto non prendere atto, se poi si vuole – come certo non si può rinunciare a fare! – criticare, polemizzare, correggere, migliorare.
Il movimento operaio ha avuto a che fare innumerevoli volte con situazioni del genere: per esempio, durante il fascismo e nell’immediato dopo-Resistenza (la diversità della statura degli uomini e dei movimenti di allora rispetto a oggi non deve impressionare e indurre a cambiare il discorso: è una diversità, una differenza di peso e di statura che passa fra tutto ciò che allora c’era e tutto ciò che c’è oggi, compresi noi che qui ragioniamo e discutiamo).
Quindi, il discorso stricto sensu politico comincia qui, una volta che si sia preso atto che al di là di certi confini e di certe forze per ora non si può andare. E questa parte del discorso, certo, è tutt’altro che irrilevante, perché sono le attitudini, le inclinazioni, le identità delle diverse forze politiche presenti nell’attuale scelta di governo (necessaria, appunto, ma non ideale), che cominciano a intravedersi le scelte di domani.
In una situazione di necessità ci sono sempre un aspetto di convenienza e uno di opportunità: il secondo, ovviamente, un po’ più considerabile e apprezzabile del primo. In numerose occasioni, nel corso delle vicende del governo Conte 2, ha prevalso invece il primo: per esempio, in tutti i casi e momenti in cui alcune delle forze componenti la coalizione, – soprattutto, direi, i 5Stelle e Italia Viva (seguendo una consolidata tradizione in particolare del suo leader Matteo Renzi), – hanno approfittato dello stato di necessità per sostenere e promuovere i loro interessi (o fate come vi si dice oppure lo stato di necessità, nonostante tutto, va gambe all’aria), cosa che nei governi uniti da motivi più di fondo (chiare prospettive strategiche, una visione delle opportunità più definita e profonda) si verifica di meno o non si verifica mai.
Allo stato attuale delle cose possiamo almeno dire che il Presidente del Consiglio Conte si è visibilmente sforzato di tenere in equilibrio, nella situazione di necessità, l’aspetto di opportunità con quello di convenienza.
Registrando con qualche malessere le eccessive concessioni all’aspetto di convenienza, bisogna riconoscere che Conte tutto sommato ha mantenuto l’equilibrio, cosa che nei passaggi fondamentali che in questi mesi abbiamo vissuto e registrato, non era detto che riuscisse a qualcuno.
Se nei governi di necessità nessuno dei loro componenti può fare a meno di tener conto dei motivi di convenienza che li tengono insieme, è evidente che anche nei governi di necessità sono i motivi di opportunità che li qualificano sul piano storico, e in prospettiva tendono a definirli e apprezzarli (anche in questo caso si pensi al dopo-Resistenza).
Siccome “noi” stiamo da questa parte, e non da un’altra, è evidente che tali motivi non possono non prendere atto, e misurarsi, con le occasioni di mutamento e di rinnovamento, cui anche un governo di necessità può – e da un certo momento in poi – dar luogo. Da questo punto di vista non si può dire che il bilancio a tutt’oggi sia soddisfacente.
Le spiegazioni addotte a discarico potrebbero esser molte (per esempio, il ruolo incredibilmente soffocante e paralizzante del meccanismo istituzionale). Ma c’è n’è una che spicca sopra le altre e ci riguarda da vicino.
Ripeto, per esser chiaro: in un governo di necessità non si può mai non tener conto dei limiti imposti dalla situazione. Tuttavia, pur tenendo conto di questi limiti, una posizione, prima che politica, programmatica (ripeto: programmatica) deve emergere.
E’ accaduto questo nei mesi che ci separano dalla nascita del governo Conte 2? No, indubitabilmente questo non è accaduto, oppure è accaduto in maniera insufficiente e poco visibile, poco registrabile al livello della grande opinione pubblica, e persino, direi, di quel che resta della militanza tradizionale.
Non è accaduto da parte di Leu, quasi scomparsa da questo punto di vista; non è accaduto da parte del Pd di Zingaretti, anch’esso impegnato soprattutto a mantenere in piedi l’assetto dettato dalla necessità; non è accaduto da parte di quelle frazioni di 5Stelle, che pure ci sono, le quali, almeno a parole (ma già questo non è poco nella situazione attuale) si dichiarano non assoggettate al comando puro e semplice della sopravvivenza.
E cioè: non ho dubbi che del governo di necessità si curi la sopravvivenza. Ma l’elaborazione e l’enunciazione delle linee programmatiche di breve e lunga scadenza vanno curate fin d’ora senza un momento d’interruzione e di pausa (si potrebbe dire, del resto, che anch’esse fanno parte di una dimensione di convenienza e di sopravvivenza, se non ci fossero, prima o poi tutto andrebbe gambe all’aria): analisi circostanziata e giudizio sull’attuale fase capitalistica, rinnovata difesa e valorizzazione del lavoro, primazia indiscutibile della questione ambientale, problematiche, tutte da ripensare, della cultura, della ricerca e della scuola.
Certo, facendo emergere questa identità della prospettiva e della storia, qualche rischio per il governo di necessità, di cui si diceva un momento fa che non può esser messa in dubbio la sopravvivenza, potrebbe manifestarsi . Ma in cosa consiste l’abilità del politico se non nella capacità di tenere insieme necessità e opportunità?