Fonte: Rimini Sparita
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racconti a puntate di Grazia Nardi rubati su facebook
Negli anni 50 la corrente elettrica era arrivata da poco nelle case, illuminate, fino ad allora, con il lume a petrolio o l’acetilene, tanto che, per ogni evenienza, non mancava mai un paio di candele.
L’oggetto più “elettrico” era la lampadina che veniva alimentata con la “125”. Non a caso nessuno si sarebbe espresso con un “ho l’energia elettrica” ma per tutti era “ho la luce!”.
L’arrivo degli elettrodomestici richiederà la corrente a 220 volt, “la luce industriale” per cui era necessario avere due prese con diverso voltaggio.
E quale sarà il primo, il più ambito tra gli elettrodomestici?
Non il frigorifero, frigo o frigider nelle variabili dialettali, che ancora di roba da metterci dentro ce n’era poca.
E nei primi, quelli di un bianco grigiastro, panciuti… i tanti scomparti, mensoline.. facevano ancora meraviglia… c’erano famiglie, la mia tra quelle, che non hanno mai usato la “scatola” dei formaggi che si vedeva solo a piccole fette (i pzulein), le uova si acquistavano sfuse in un numero ridotto, così la carne contingentata non solo per il costo ma perché, la roba “a stè te frigo, la perd”, tantomeno la frutta e verdura che si acquistava giornalmente così come il latte, rare le bibite, più frequente l’acqua di “Vichy” che nulla aveva a che fare con la cittadina termale francese ma veniva preparata con una polvere in bustine che rendeva l’acqua frizzante.
Unica, invece, la soddisfazione dei bambini per i primi ghiaccioli “fatti in casa” negli stampini di alluminio, anche perché per diversi anni il frigorifero fu considerato un apparecchio d’uso prevalentemente estivo. D’inverno il davanzale della finestra svolgeva ancora la sua funzione e del resto la temperatura ancora rigida degli ambienti faceva “stringere” ovvero rapprendere sughi e brodi, dopo la cottura. C’era quindi chi, in inverno, staccava la spina.
Questa concezione cambierà solo quando lo stile di vita ed i ritmi imporrano gli acquisti settimanali e le confezioni a lunga conservazione.
E non sarà la lavatrice ad imporsi per prima, ancorchè fosse particolarmente faticoso il bucato nel mastello, con l’assa di legno, quella con la “tasca” portasapone, che obbligava nella posizione curva per ore, con acqua calda che veniva scaldata nelle pentole sulla stufa, il risciacquo con acqua fredda… e quel detersivo, la “saponina” venduta sfusa che corrodeva le mani…
Peraltro nelle “pensioni” e negli alberghi si continuerà per lungo tempo ad assoldare la lavandaia che lavorava piegata sulle vasche di ghisa.
C’era una sorta di diffidenza verso quella macchina ingombrante dato che “tvo met i lenzol laved a meni sla zendra?” eppoi gli spazi erano ancora limitati, nel bagno era stato da poco installato il boiler per scaldare l’acqua, di quelli a terra, alimentati con la legna, altro non ci stava.
Tantomeno nella cucina dove accanto ai fornelli a gas, quando non la stufa, si poteva trovare ancora la “rola”, un fornelletto montato su una colonnina che funzionava con la carbonella. Oggi si direbbe barbecue. Ricordo ancora la “fumera” al momento dell’accensione stimolata con la sventarola di piume o, in mancanza, con il coperchio della scatola delle scarpe.
Ma sotto sotto serpeggiava un altro motivo, quello che tutte le incombenze, le “faccende” domestiche che potevano essere sbrigate dalle donne di casa, non andavano distolte e l’elettrodomestico veniva preso in considerazione se portava una gratificazione generale, a partire da quella maschile visto che la spesa toccava al capo famiglia.
Ed allora quale elettrodomestico? Ve lo dico domani