Addio, Maciò

per Gabriella
Autore originale del testo: Franco Cardini
Fonte: Minima Cardiniana

di Franco Cardini   22 marzo 2019

Addio, Maciò

Scrivo per un gruppo di ragazzi che avevano più o meno vent’anni alla fine degli Anni Cinquanta e che abitavano nel più bel quartiere della bella Firenze, il “Triangolo Magico” tra Porta Romana, Piazza Pitti e Piazza del Carmine. Giulia Grazi abitava in una bella casa antica, tra Via Santa Maria, Borgo Tegolaio e Piazza Santo Spirito. Eravamo in tanti a frequentare la sua casa e le sue feste; in estate, spesso ci trasferivamo da lei nelle due belle ville di famiglia, una a Sinalunga e l’altra a Monteboro presso Empoli. Ricordo tante belle cene d’estate all’aperto o d’inverno al fuoco del caminetto. Ricordo un’indimenticabile vendemmia a Monteboro.

Eravamo un bel gruppo: c’era Umberto Tiberio, poi divenuto illustre matematico; Marco Romoli, figlio del grande pittore Mario e oggi pittore e artista egli stesso; Orso Maria Guerrini, più tardi attore televisivo di successo (è stato per anni “l’uomo coi baffi” per la pubblicità televisiva della Birra Moretti); e tanti altri.

Giulia, che chissà perché tutti chiamavano “Maciò”, era la più bella ragazza di Firenze: ci facevano impazzire i suoi grandi occhi azzurri, i suoi lunghi capelli biondi, il suo sorriso che illuminava il mondo; ed, ebbene sì, le sue gambe straordinarie. Era allegra, colta, originale senza sforzo, anticonformista per indole signorile, in apparenza spensierata; e ne eravamo tutti un po’ innamorati. Ma solo a qualcuno di noi, rarissimamente e per breve tempo, essa dedicò qualche attenzione al di là dell’amicizia. Non era affatto – intendiamoci – un’Ape Regina: il fatto è che non potevamo avvicinarci a lei se non animati da pensieri platonicamente elevati. Era la Donna Angelicata, ma era anche la nostra Sovrana. Era la Zarina, la Basilissa, la Maharani; e noi i suoi Cavalieri della Tavola Rotonda.

Col tempo, questi sentimenti si trasformarono. Restò sempre la nostra sorella amatissima, l’amica cui si poteva confidare tutto, la bella saggia signora che aveva sempre la parola giusta per qualunque cosa.

A conferma della sua straordinaria personalità, negli Anni Sessanta era una delle poche studentesse fiorentine d’ingegneria; ma l’Ingegner Grazi col tempo lasciò perdere qualifiche e competenze professionali. Stava a Monteboro nella sua vecchia casa in cui nel Cinquecento aveva abitato il viaggiatore e geografo Andrea Corsali e curava i suoi vecchi libri, i suoi vecchi quadri, i suoi innumerevoli animali (compresa una capra e molte oche). Ci vedevamo di rado; ma erano sempre momenti pieni, caldi, come allora.

Se n’è andata in silenzio, inaspettatamente, qualche giorno fa. Mi ha lasciato col rimorso di non averle potuto dare un ultimo addio. Andrò a trovarla appena mi sarà possibile, spero insieme con suo figlio Simone, nel suo piccolo cimitero vicino a Empoli.

E’ così che passa la vita.

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