Addio

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 25 settembre 2014

‘Disegnino’ lo dici a un altro

Claudio Cerasa, oggi, forse per controbilanciare il j’accuse di De Bortoli verso Renzi, ha scritto sul Foglio un pezzaccio contro Bersani. La colpa di Bersani? Dire una cosa semplice, persino banale, questa in sintesi: con il 25% raccolto nel 2013 dal PD di cui ero segretario, Matteo Renzi oggi ci governa, sperando addirittura di poter arrivare al 2017. Quel che non è stato concesso a me, perché indisposto a Patti segreti di ogni tipo, è stato concesso invece a lui, più malleabile, che peraltro le primarie da candidato premier le aveva persino perse (paradosso dei paradossi) e che, invece, ora si ritrova a governare grazie al classico ‪#‎enricostaisereno‬. Cerasa, dinanzi a questa verità brutalmente obiettiva, quasi una mera constatazione, arriva invece a sostenere che bisognerebbe fare un ‘disegnino’ a Bersani per fargli capire che lui ha perso, che quella è stata la più grande sconfitta e il punto più basso della storia politica dei partiti di sinistra, e che Bersani adesso deve solo votare il Jobs Act e zitto, anche perché lo esige Giuliano Ferrara (il quale vede, nella vicenda una possibile occasione di revanche politica del suo uomo, Berlusconi).

Per chi si fosse perso il film di questi mesi, diciamo che Matteo Renzi non ha affatto i titoli ‘plebiscitari’ che gli si riconoscono per governare con tale prosopopea (se escludiamo le elezioni europee, alle quali si astennero la metà degli aventi diritto, ‘dopate’ per di più dagli ‘inutili’ 80 euro distribuiti al popolo vociante). Matteo Renzi, con la più grande sconfitta della sinistra italiana, da otto mesi sta a Palazzo Chigi, ci inonda di hashtag, fa annunci e sbandiera diktat, senza portare a casa nemmeno una fusaia. Matteo Renzi, molto probabilmente, è lì per la sua grande ambizione ma soprattutto perché soddisfa un fine ultimo, un sogno indecente della borghesia italiana, ossia fare fuori i riformisti, quelli che si schierano con gli ‘ultimi’, i presunti ‘comunisti’, la sinistra insomma. Che in Italia è figlia di un dio minore, e può accedere al governo solo allineata e coperta da altri. Mai da sola. E, se possibile, mai e basta (a meno che non cancelli tutele e faccia harakiri)

Dico allora a Cerasa che la sconfitta della sinistra non è stata quella delle elezioni del 2013, dove, secondo i detrattori, Bersani avrebbe dovuto portarsi la vittoria da casa e prendere il 51% da solo, cosi che ogni altro risultato sarebbe stato perdente. No. La vera sconfitta della sinistra è stata un’altra. Tra quarant’anni gli storici si chiederanno come potesse essere accaduto, nel 2013-14, che un grande elettorato, un grande popolo della sinistra, che veniva da decenni di battaglie, lotte, sacrifici, faticose traversate nel deserto, potesse essersi consegnato mani, piedi e cervello a un qualunque ragazzo toscano, mettendogli in mano le chiavi del Paese senza nulla a rendere. Affidandogli il compito di ‘smontare’ pezzo a pezzo un meccanismo da rinnovare, certo, ma non da distruggere masochisticamente. Eccola la ‘sconfitta’, il suicidio di un’intera parte politica. Aver subito l’egemonia degli avversari, aver accettato un paradigma culturale che non era il nostro, aver immaginato che togliere tutele volesse dire aggiungere davvero diritti, avere ritenuto che uno sviluppo equo potesse ‘crescere’ sulla compressione dei salari e sulla svalorizzazione del lavoro. Tutta qui, in sintesi, la reale débâcle, profonda, ignominiosa, quella che noi riconosciamo effettivamente come tale, e che pagheremo ancora per decenni. Altro che due spicci di risultato elettorale col quale, ripeto, Renzi invece governa con l’ausilio di molte quaglie saltatrici. Con Bersani sarebbe stata tutta un’altra storia, diciamolo, che però non sarebbe affatto piaciuta né a Marchionne, né a Berlusconi, né alla destra, né ai grillini, né a Ferrara, né buon ultimo a Cerasa. È che il superpartito cui molti agognano con Renzi si farà, vedrete (sono allo studio le forme più adeguate), ma con Bersani no, ed è qui la difficoltà di fondo. Il macigno da rimuovere. La sconfitta, appunto, che stiamo già pagando. Altro che chiacchiere e disegnini.

———–

Cerasa/2. Il disegnatore

Prima mi ero dimenticato di dire questa cosa. E invece varrebbe la pena di insistere. Dice il Claudio Cerasa che vorrebbe fare i disegnini a Bersani,che sussistono ancora (immagino tra i comunisti) “vecchie e arrugginite categorie del passato – quelle di chi per molto tempo ha pensato che per la sinistra la parola “lavoro” dovesse coincidere necessariamente con la parola “sindacato”. Cito questa perla solo per dirvi dove dovrebbe andare a parare la ‘nuova’ destra-sinistra a cui i ‘padroni’ (parola desueta ma ancora efficace) puntano con decisione: svincolare il concetto di lavoro da quello di sindacato. E magari pensare a un lavoro che non sia sindacato, che non goda di tutele sindacali, che svincoli il suo destino da quello di chi nasce per tutelare i lavoratori. Immaginate che bello se questo accadesse davvero! Basta con le sciocche trattative, mediazioni, intermediazioni, pallosissime riunioni. Basta con le perdite di tempo, le tutele, i contratti collettivi. Basta, soprattutto, con l’idea, col progetto di estendere tutela e rappresentanza ai lavoratori precari, agli esodati, a chi è sottoposto a ricatto continuo, ai contrattisti, ai futuri demansionati, a chi è pagato in nero, a chi muore sul cantiere e nessuno ne parla, a chi firma il contratto in bianco, a chi si licenzia ma non avrebbe voluto, a chi sarà licenziato senza motivo, ma solo perché servono meno operai che io non ho tutti questi soldi da dargli (a meno che non mi lavorano a nero o si facciano contratti di solidarietà). Basta con queste cose jurassiche e via con il moderno: i padroni e i lavoratori, l’impresa e gli addetti, i CEO e gli operai, gli uni di fronte agli altri, e non se ne parla più. Ecco, non se ne parla proprio più. E a Bersani glielo spieghiamo col disegnino, dice Cerasa. Il disegnatore della nuova ‘sinistra-destra’.

Colgo l’occasione per segnalare l’articolo di oggi sul mercato del lavoro (Repubblica, Roberto Mania). Leggo in sintesi:
1) L’Ocse si era sbagliata per molti anni, perché concepiva il TFR come una sorta di indennizzo, di penalità che l’azienda avrebbe dovuto pagare per poter licenziare un lavoratore. Ora, corretto finalmente questo dato, scopriamo che l’indice di protezione (che misura la rigidità del mercato del lavoro e concerne, in particolare, le tutele di fronte al licenziamento) accordato a un lavoratore con contratto a tempo indeterminato per l’Italia è 2,51 (prima della legge Fornero era 2,76). Per la Germania (!) è 2,87, per l’Olanda è 2,82, per la Svezia 2,61. In altri termini, In Germania c’è più rigidità che in Italia.
2) Le tabelle Ocse ci presentano anche gli indici di flessibilità. L’Italia è poco sopra la media: 2 contro 1,75 (il dato è persino precedente alla riforma Poletti). Ma la Francia è a 3,63 (più rigida dell’Italia), la Norvegia è a 3 come la Spagna. Si pensi che, prima del pacchetto Treu, l’Italia era al 4,75.
3) I tempi di durata dei processi per cause di lavoro, altro dato Ocse, per l’Italia è di circa 24 mesi, 12 in più di Francia e Svezia, mentre il dato tedesco è di 4 mesi. In Germania si va in appello per meno del 5% dei casi, in Italia per oltre il 60%. E vuoi vedere, allora, che il problema è qui, non nella rigidità del mercato del lavoro?

Chiedo a Cerasa: quali sono dunque le “categorie vecchie e arrugginite”, le tue o le nostre? Chi ha ragione? Tu che dici che non serve il sindacato, e che il lavoro, per equità verso i precari, deve presentarsi nudo al cospetto dell’impresa? O noi che diciamo che il problema non è l’articolo 18, né la flessibilità, né la rigidità del mercato del lavoro (come certifica l’Ocse), ma forse la giustizia, i tempi lunghi dei processi, e soprattutto l’ideologia messa in campo dai veri conservatori e smentita dai dati Ocse? E che magari i problemi nascono invece dalle enormi, inconcepibili, smisurate disuguaglianze tra i superricchi e il resto della scala sociale (ceto medio compreso)? Ma vuoi vedere che se funzionasse la vera redistribuzione (non gli 80 euro ‘pubblici’ ma un ‘ricircolo’ di risorse dal vertice lontanissimo della piramide, giù giù fino alla base sempre più impoverita), magari ripartirebbero pure la domanda interna e, quindi, gli investimenti? Ma sai chi aveva sollevato questo tema appena domenica sul Sole 24 Ore? Proprio il vecchio Bersani: “Va introdotto un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro”. Così aveva risposto a Fabrizio Forquet. Ecco il vero riequilibrio, la reale redistribuzione che andrebbe attuata, non 80 euro di soldi pubblici dati alla cieca, in modo del tutto iniquo. Non l’abolizione di una tutela. Senza tutele, senza sindacato, senza equità i diritti concessi a lavoratori che possono essere licenziati 24 hours non funzionano. Sono solo bandiere. Che poi, Cerasa, se il concetto non ti fosse chiaro, chiediamo a Bersani di farti un disegnino. Non ti allarmare. È tutto molto semplice. Tranquillo.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.