Fonte: Scienza in rete
La moltiplicazione virale
Il tempo di incubazione del nuovo coronavirus, una volta entrati in contatto con esso, va da 2 a 14 giorni, ma con una media di 4 giorni: la stragrande maggioranza dei casi si sviluppa in una settimana. Durante questa settimana, il virus, se non è eliminato dai linfociti presenti nell’apparato ghiandolare boccale, si moltiplica velocemente nelle cellule epiteliali della gola: ogni volta che il singolo virus entra in una cellula epiteliale si moltiplica enormemente al suo interno utilizzando i materiali della cellula, fino a farla esplodere emettendo una nube di virus che vanno a colonizzare altre cellule. Dopo qualche giorno la gola è piena di cellule infette e di nubi di virus.
La trasmissione
Con il respiro noi inaliamo ed emettiamo molti litri di aria al minuto: in quest’aria, oltre ai normali gas, vi sono anche buone quantità di vapore acqueo, che altro non è che una sospensione di microgoccioline d’acqua. Respirando, emettiamo quindi anche una buona quantità di queste goccioline e, inevitabilmente, in alcune di queste gocce d’acqua vi sono anche un po’ di cellule epiteliali vive o morte con tutto il loro contenuto.
Se siamo infetti da un virus respiratorio come il coronavirus, l’infiammazione della gola aumenta il numero di cellule presenti nelle gocce che emettiamo: alcune di queste cellule possono contenere virus attivi. La densità di questi virus dipende dalla loro fase di moltiplicazione, per il coronavirus da due giorni prima dei sintomi ai 4-5 dopo l’inizio della malattia.
Nel respiro normale l’emissione di vapor aqueo raggiunge il metro, ma con la tosse possiamo lanciare cellule infette anche oltre i due metri. Se un soggetto suscettibile si trova nel raggio giusto può inalare un po’ di questo vapore compreso di cellule e virus e quindi contagiarsi.
È questo il meccanismo molto efficiente delle infezioni respiratorie, tanto da renderle fra le malattie infettive più contagiose. La contagiosità viene misurata con un fattore K che indica il numero di persone che viene contagiato da un caso infetto: per l’influenza è circa 1,3, per il coronavirus forse un po’ più grande.
La dose infettante
Un virus che entra nella nostra gola trova grande ostilità: la saliva e il complesso ghiandolare della gola lo riconoscono subito come estraneo e si attivano per eliminarlo. Infatti l’efficacia di trasmissione da infetto a suscettibile è relativamente bassa (1 a 2) , escludendo rari casi di forti trasmettitori in grado di infettare molte persone. L’efficienza del contagio dipende dall’esistenza di recettori specifici per quel virus (e, purtroppo, sappiamo che quasi tutti abbiamo recettori per questi coronavirus, che spesso sono causa dei nostri raffreddori) e dalla dose infettante. Ci vuole un corposo esercito di virus perché l’infezione vinca le difese dell’organismo e attecchisca con successo. Inoltre, alte dosi infettanti di virus possono superare la gola e arrivare fino ai polmoni, provocando una temibile polmonite virale primaria.
Le mani come vettore
Inesorabilmente le mani sono un buon recettore di cellule contenute nel vapor acqueo: hanno una buona temperatura, sono umide e hanno uno strato di grasso (sempre) che le rende letto agevole per materiali biologici: davanti a un soggetto che emette virus, le mani di una persona suscettibile possono raccogliere un po’ del vapor acqueo emesso dall’infetto.
Una mano contaminata da queste cellule portata alla bocca non ha significative conseguenze: l’infezione non è trasmessa per via orale e la saliva e le ghiandole della bocca sono potenti difese contro cellule estranee. Tuttavia, le mani possono generare aerosol che viene inalato. Ma anche toccare gli occhi con le mani è un’ottima porta di ingresso di virus.
Le mascherine
Una semplice mascherina di carta o garza filtra il vapor acqueo emesso col respiro, con relative cellule epiteliali. Ma dopo pochi minuti d’impiego, il vapor acqueo crea tra le maglie della mascherina un film acquoso che ne inibisce il funzionamento, con il risultato che l’emissione di vapore continua come se non ci fosse la mascherina.
Diverso il funzionamento di maschere con appositi filtri in grado di bloccare per tempi relativamente lunghi una consistente proporzione di materiali biologici contenuti nel respiro emesso. Le corrette norme di uso di queste maschere ne determina l’efficacia.
Una persona infetta, quindi, con un’adeguata mascherina e un comportamento corretto può ridurre consistentemente la carica virale emessa. Il personale sanitario, a continuo contatto con persone ammalate o comunque a rischio, può ridurre consistentemente il proprio rischio di infettarsi usando in modo adeguato le maschere efficaci.
La probabilità che persone sane possano significativamente ridurre il proprio rischio di infettarsi vestendo in modo adeguato e continuo maschere efficaci è talmente bassa che se ne sconsiglia l’uso.
Superfici, oggetti, bicchieri, posate, etc.
La contagiosità delle goccioline d’acqua contenenti cellule infette dal virus dipende da molti fattori: una superfice assorbente come carta o terra o altro rapidamente assorbono l’acqua privando le cellule di elemento vitale, le superfici lisce possono far sopravvivere le cellule fino a quando non si asciughino completamente.
In situazioni sperimentali è stata dimostrata una lunga sopravvivenza di coronavirus (fino a 9 giorni), ma nella vita reale appare logico definire la sopravvivenza di cellule infette in goccioline d’acqua limitata dalla presenza del supporto acquoso, che si riduce quindi a poche ore. Inoltre, se pure qualche cellula sopravvive oltre, appare assai improbabile che ci sia una carica infettante sufficiente a contagiare.
Perché il contagio avvenga, quindi, l’individuo suscettibile deve raccogliere le cellule infette vitali dalle superfici in tempi brevi e inalarle o contaminare gli occhi. Quindi questa modalità di trasmissione non si può escludere, ma è talmente improbabile da non renderla nemmeno paragonabile all’efficacia del contatto respiratorio tra infetto e suscettibile.
Quindi la sistematica disinfezione di superfici, ambienti e oggetti appartiene a quelle regole generiche di igiene generale che non necessitano di verifiche sperimentali di efficacia, ma che hanno comunque una loro logica e una forte carica educazionale.
Al contrario, il lavaggio delle mani con sapone scioglie una parte del grasso che abbiamo sulle mani e con esso eventuali cellule infette. Anche se non le elimina tutte, ne riduce la dose infettante. L’aggiunta di disinfettante non migliora l’azione del sapone.
Difficile eliminare miti e credenze giustificate in lontani tempi, quando le malattie infettive erano la prima causa di morte. D’altra parte, le misure generali di igiene possono essere utili per altre contaminazioni e appartengono ormai al nostro consolidato bagaglio culturale.
Confronto tra virus influenzali e il SARS-CoV2
Le due infezioni sono difficilmente confrontabili per tre motivi:
1. L’influenza è ogni anno epidemica ed è una delle malattie infettive più studiate, il SARS-CoV2 è un virus nuovo, seppure appartenente a una famiglia di virus nota da oltre cinquant’anni. L’epidemia in atto è un’assoluta novità ed è troppo presto per trarre certezze sul suo comportamento epidemiologico.
2. Mentre tutta la popolazione mondiale ha una qualche memoria immunitaria verso i virus influenzali (sia pure con memoria labile che ci costringe a vaccinarsi contro le loro annuali mutazioni), la popolazione mondiale non ha memoria verso un virus che ha un patrimonio genetico del tutto nuovo. Inoltre, la risposta immunitaria storica verso i coronavirus comuni agenti del raffreddore non è di lunga durata come dimostra la nostra capacità di contrarre ripetutamente il raffreddore da coronavirus.
3. La definizione dei numeratori è diversa tra i due virus: per l’influenza, in tutto il mondo si usa la stima delle ILI (Influenza-Like Illness), cioè la segnalazione settimanale da parte di una rete di medici di famiglia di sindromi simil-influenzali, senza alcun accertamento eziologico di laboratorio. Quindi certamente si includono casi di influenza insieme ad altri casi simili provocati da altri agenti infettivi, mentre si perdono casi certi di influenza in persone che non si recano dal medico di famiglia.
Per il SARS-CoV2, il caso è un soggetto positivo al test PCR: un test di certezza diagnostica. Anche in questo caso si perdono i casi che non si recano ai presidi sanitari o coloro che, pur avendo i sintomi, non vengono sottoposti al test. Inoltre, la popolazione di positivi è stata costruita inseguendo il cluster epidemico: dal caso ai suoi contatti e contatti dei contatti. Questo metodo costituisce una selezione della popolazione generale.
Lo stesso problema si pone nel calcolo di tassi di incidenza, mortalità, contagiosità (K), complicazioni: per l’influenza, l’incidenza e la mortalità sono stimate sull’intera popolazione di un intero Paese, mentre per il SARS-CoV2 il denominatore è costituito dai positivi al test PCR. Ad esempio, in Cina la mortalità è pari attualmente a 3.015 individui, il 3,7% dei circa 80.565 casi confermati (WHO Situation Report 45, 5 marzo 2020), ma se si riferisse al miliardo e mezzo di cinesi, come si fa per l’influenza, sarebbe lo 0,001 per cento.
Influenza | SARS-CoV-2 | |
---|---|---|
Nome | Molti Virus influenzali patogeni | Solo il SARS-CoV-2 |
Famiglia | Orthomyxoviridiae | Orthocoronaviridiae |
Acido nucleico | RNA singolo filamento | RNA singolo filamento |
Capacità di mutazione | Elevata | Elevata |
Origine | Mondo animale | Mondo animale |
Incidenza | 8% popolazione generale | Presumibilmente molto più bassa |
Casi annuali nel mondo | Un miliardo | Circa 95.000 al 5 marzo 2020 |
Letalità sulla popolazione | 0,10% | 3,4% sui casi confermati |
Morti stimate annuali | 500.000 | 3.015 al 5 marzo 2020 |
Definizione di caso | ILI sindromi simil influenzali segnalati da medici di famiglia | Soggetto positivo al test PCR sintomatico o no |
Denominatori | Popolazione generale | Numero dei testati PCR |
Complicanze | 8% dei malati | 15% dei positivi al test |
Classe di massima incidenza | Bambini | Adulti |
Incidenza tra sessi | Uguale | Più maschi |
Tempo di incubazione | Da 1 a 4 giorni, in media 2 | Da 2 a 14 giorni, in media 3 o 4 giorni |
Serbatoio | Umano | Umano |
Modo di trasmissione | Goccioline di vapor acqueo respiratorio | Goccioline di vapor acqueo respiratorio |
Comunicabilità | Dal giorno prima a 3 giorni dopo l’inizio sintomi | Dall’inizio dei sintomi clinici evidenti |
Numero di infetti da un caso (K) | 1,2 | 2,2 |
Sintomi clinici | Febbre, tosse, dolori, astenia | Febbre, tosse, dolori, astenia |