Documento conclusivo del Comitato Direttivo Nazionale CGIL

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Comitato Direttivo Nazional CGIL
Fonte: www.cgil.it
27 settembre 2014

Il Paese ha bisogno di lavoro: solo attraverso investimenti pubblici e privati che lo creino si può
praticare quella svolta essenziale per una politica economica espansiva.
È inutile e sbagliato cercare di nascondere la situazione dell’Italia – ancora in recessione ed in
presenza della deflazione – come si vuole fare affermando che l’unica priorità è cambiare, per
l’ennesima volta, le regole del mercato del lavoro.
Alla vigilia della legge di stabilità significa avere scelto di dare continuità alle politiche di austerità,
causa – non conseguenza – della stagnazione recessiva del Paese.
Politiche che ripropongono i tagli lineari, la riduzione del welfare, l’impoverimento delle pensioni
medio basse e delle famiglie. Così come è improvvisata e inadeguata la riforma della PA. Politiche
che contraddicono la stessa impostazione di cambiamento con cui si era presentato il governo.
Non sarà con lo “scalpo” dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici che l’Italia determinerà un
cambio delle politiche europee, anzi le avvalorerà.
Negando quel ruolo di cambiamento ampiamente rivendicato dal voto europeo del 25 maggio.
Bisogna “cambiare verso” alla politica economica italiana per poter cambiare il Paese.
La disoccupazione nelle sue drammatiche dimensioni, la disperazione sociale che determina nel
Paese, ed ancor più nel mezzogiorno, l’assenza di speranza che costringe tanti giovani
all’emigrazione non scelta, al lavoro nero o precario, e’ la ragione che impone di attuare un piano
straordinario per l’occupazione da finanziarsi con una patrimoniale sulle grandi ricchezze.
Così come la lotta all’evasione ed alla corruzione sono la via per abbassare la fiscalità su lavoro e
imprese ed finanziare uno strumento universale, monetario e di servizi, di contrasto alla povertà.
Il superamento del patto di stabilità interno, selezionando innanzitutto le opere volte al risanamento
del territorio, e’ un’altra scelta necessaria per favorire occupazione.
Il lavoro al centro di una nuova politica economica si deve tradurre anche in strumenti concreti di
distribuzione del lavoro: dai contratti di solidarietà difensivi ed espansivi, alla eliminazione della
decontribuzione delle ore di straordinario,finalizzandola, invece, all’incentivazione di riduzioni di
orario, alla flessibilità senza penalizzazioni dell’uscita pensionistica ( affinché giovani entrino nei
luoghi di lavoro).
Bisogna “cambiare verso” anche nella gestione delle piccole e grandi vertenze aperte, contrastare i
piani di ridimensionamento delle imprese, affrontare i nodi della politica industriale per
determinare le prospettive di crescita. Costo dell’energia, istruzione, ricerca ed innovazione sono
alcuni dei grandi temi di politica industriale che il governo evita di affrontare, così come non
affronta scelte settoriali dalla chimica alla siderurgia alle nuove tecnologie, al riassetto e alla cura
del territorio e non investe nell’economia della conoscenza, della cultura e del turismo.
Vent’anni di scelte politiche e legislative del nostro Paese hanno determinato un mercato del lavoro
frammentato nel nostro Paese.
Hanno cancellato l’idea di una flessibilità positiva, permesso il dilagare della precarietà, tanto che
l’OCSE ci colloca sopra la Germania ( sulla base dell’indice che misura le tutele ai lavoratori a
tempo indeterminato, in particolare la tutela sul licenziamento).
Appare così in tutta la sua strumentalità la domanda del Presidente del Consiglio, su dov’erano le
organizzazioni sindacali nel tentativo di cancellare le responsabilità della politica e della parte
miope del sistema delle imprese.
Ancor più alla luce della presentazione dell’emendamento del governo alla delega che, ha fatto
precipitare l’attacco allo statuto dei lavoratori, ed, ancora una volta, ha delineato un’idea di lavoro
povero, non formato e non qualificato; la via bassa della competizione che si accompagna all’assenza della politica industriale.
Per questo il comitato direttivo della CGIL ritiene inaccettabile una proposta che motivata dal
superamento del dualismo del mercato del lavoro, nei fatti riduce in generale diritti e tutele dei
lavoratori, cancella il reintegro previsto dall’art.18; non propone invece l’estensione e la
generalizzazione che è l’unica risposta per ricostruire un mercato del lavoro unico.
L’urgenza del Paese è la creazione di posti di lavoro che non si crea con regole sul mercato del
lavoro che non hanno mai determinato e non possono determinare la crescita dell’occupazione, ma
con una coerente politica espansiva ed affrontando il tema della diseguaglianza.
La diseguaglianza nel mercato del lavoro è plasticamente rappresentata dalla frammentazione
tra precarietà, lavoro nero e sommerso e lavoro dignitoso.
Per questo la CGIL avanza una piattaforma fondata sulla proposta della drastica riduzione della
precarietà e dell’estensione di diritti e tutele a tutto il mondo del lavoro.
Nei Paesi europei, nei Paesi normali, le politiche del lavoro sono sempre state oggetto di confronto
con le parti sociali. E al confronto la CGIL è, come sempre, pronta.
Il contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato (introdotto a fronte della cancellazione delle
forme di lavoro precario, a partire dai contratti a termine senza causale, prorogabili 5 volte e
rinnovabili senza limiti che diventerebbero direttamente concorrenti di questa tipologia come già
oggi lo sono con il contratto a tempo indeterminato ) può rappresentare una scelta positiva di
superamento della dualità se affiancato solo dalle seguenti forme di lavoro: contratto a tempo
determinato con causali e ragioni oggettive, (contratto per il lavoro stagionale), apprendistato,
somministrazione, una sola forma di vero lavoro autonomo
insieme alla definizione di strumenti efficaci di contrasto al fenomeno delle false partite IVA.
Il contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato di cui va fissata la durata con un periodo di
prova più lungo ed articolato per fasce professionali.
Alla fine del quale vi deve essere il pieno riconoscimento delle tutele del licenziamento senza giustificato motivo e dei diritti di legge e contrattuali.
In caso di licenziamento – non illegittimo- al lavoratore sarà riconosciuto un indennizzo
proporzionale alla durata del contratto a tutele crescenti e somministrata una politica attiva volta
alla ricollocazione.
Superamento della frammentazione si attua riconoscendo a tutti i lavoratori e le lavoratrici i diritti e
le tutele universali, anche a coloro che hanno un contratto di lavoro autonomo.
Per questo vanno estesi i diritti previsti dal Titolo I dello Statuto dei Lavoratori da quelli sulle
libertà dei lavoratori, al divieto di accertamento sanitario, senza cancellare le tutele sul controllo a
distanza e le mansioni del lavoratore di cui va, se mai, rafforzato il potere di contrattazione.
Sul Titolo II e III che trattano della libertà sindacale e dell’attività sindacale va ridefinito l’art. 19 in
coerenza con la sentenza della Corte Costituzionale (n. 231/2013) e definita una nuova legislazione
della rappresentanza che abbia a riferimento la legge sul lavoro pubblico e l’accordo
interconfederale del 10 gennaio 2014, che determina la validità dei contratti in ragione della
maggioranza delle OO SS, e la maggioranza del voto dei lavoratori nel voto certificato;
in coerenza all’art.36 della Costituzione.
Vanno poi definite forme di esercizio dei diritti sindacali nel lavoro diffuso e nel territorio.
Un allargamento dei diritti che va accompagnato dal riconoscimento a tutti i lavoratori e lavoratrici
della tutela della maternità, della malattia e infortunio e del diritto al riposo, unitamente all’equo
compenso che deve avere a riferimento i minimi stabiliti nei contratti nazionali di lavoro che
devono essere erga omnes in virtù della traduzione in legge delle regole della
rappresentanza. Questa è la strada per definire un mercato del lavoro unico per un buon lavoro qualificato e dignitoso. Il percorso di unificazione del mercato del lavoro necessita di ammortizzatori sociali universali
fondati su due pilastri: indennità universale (anche legata alla disponibilità alla formazione e al
lavoro),e cassa integrazione ordinaria e straordinaria contribuita da imprese e lavoratori. A questo
fine è necessario che il calcolo del lavoro effettuato per la “nuova ASPI” sia a giornate, che si
superino i fondi che escludono gran parte delle imprese minori dalla cassa integrazione, che il
sistema sia seriamente finanziato.
I tanti richiami al modello tedesco possono essere tradotti con l’applicazione dell’art. 46 della
Costituzione.
È evidente che il processo di riunificazione del lavoro deve essere accompagnato da una forte
contrattazione inclusiva, per questo va superato il blocco dei rinnovi dei contratti nazionali, a partire
dai pubblici, respingendo i tentativi di destrutturazione dei contratti nazionali e della contrattazione
e cancellando l’art. 8 della legge 148/11.
A sostegno di questa piattaforma e a contrasto dell’attacco al lavoro la CGIL indice per il 25 ottobre
2014 una grande manifestazione nazionale (Roma, Piazza San Giovanni).
La scelta di convocare la manifestazione del 25 ottobre non è, né può essere intesa come una scelta
di separazione da CISL e UIL, la nostra piattaforma che tiene in valore quella unitaria su fisco e
previdenza, è aperta al confronto e al contributo di tutti, come ferma è la volontà di confermare tutte
le iniziative unitarie e di categoria, già programmate, ( a partire dalla manifestazione dei lavoratori
pubblici dell’8 novembre ), convinti che sia da tutti sentita la necessità di riprendere e consolidare
un cammino unitario.
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