La riforma- imbroglio di medicina: ecco perché è destinata a fallire

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Eugenia Tognotti
Fonte: La stampa

La riforma- imbroglio di medicina: ecco perché è destinata a fallire

L’aggettivo “storico/a” e il sostantivo “Storia” con la s maiuscola – (in fase di “riscrittura”, stando ad un recente trionfalistico annuncio della presidente del consiglio) – è di gran moda nella maggioranza di governo e dintorni. L’ultima a parlare di «passo storico» è stata la ministra dell’Università e della Ricerca, a proposito del cosiddetto numero chiuso la cui abolizione è prevista dal disegno di legge delega che rivede le modalità di accesso per quanto riguarda il primo semestre. Siamo ormai abituati alle “bugie” di questo governo (dalla cancellazione delle liste d’attesa all’aumento del fondo al servizio sanitario nazionale e così via). Ma, ogni volta, si resta quasi ammirati dalla disinvoltura con cui si tenta di far passare per una riforma epocale, un imbroglio – per usare il termine appropriato.

Le cose stanno così, stando al testo che è stato approvato dalla commissione istruzione del Senato: tutti i candidati dovrebbero essere ammessi all’immatricolazione al primo anno di corso senza test d’ingresso per frequentare il primo semestre e sostenere i relativi esami. Poi però, potranno proseguire nella carriera soltanto quelli che passeranno attraverso il filtro della selezione, basata sulle competenze acquisite attraverso i crediti formativi e la posizione raggiunta in una graduatoria nazionale. I non ammessi, potranno frequentare la facoltà alternativa scelta prima (Farmacia, Biologia, Biotecnologia), senza perdere gli eventuali crediti acquisiti che varranno per il nuovo corso. Insomma, il numero chiuso rimane, ma la selezione viene spostata avanti di un semestre.

Purtroppo, le informazioni disponibili non sono sufficienti, per il momento, a rispondere alle molte preoccupazioni di chi si chiede cosa c’è dietro l’angolo dell’annunciata eliminazione della vituperata “lotteria delle crocette” del vecchio sistema. La prima cosa che s’impone è la questione della sostenibilità economico-finanziaria della riforma dell’accesso a Medicina, considerato il taglio di oltre 800 milioni di euro della dotazione del Fondo di finanziamento ordinario delle università. Come possono bastare le risorse fin qui disponibili per formare 20 mila studenti, se fossero invece 60-80 mila i candidati a premere sulle strutture delle Facoltà mediche, quando (e se) la revisione andrà a regime? E le aule, le cattedre, i docenti? È vero che è tempo di nozze con i fichi secchi, per onorare le promesse fatte in campagna elettorale. Ma possiamo, in questo ambito, mettere a rischio il nostro eccellente sistema formativo, che distingue l’Italia nel mondo, abbassando la qualità della didattica nel primo semestre, magari ricorrendo, per necessità, alle università telematiche?

Aspettando i dettagli della riforma – e lasciando da parte la mancanza di una nuova programmazione che tenga conto delle urgenze del Servizio Sanitario Nazionale – restano in campo tanti dubbi, a cominciare da quali saranno gli esami caratterizzanti alla fine del primo semestre, con quali modalità si svolgeranno e su cosa si intende per “standard uniformi” (considerato che le prove non potrebbero che essere diverse tra le varie sedi che non propongono gli stessi ordinamenti e gli stessi esami). E restano oscuri i criteri per la formazione della graduatoria di merito nazionale, i crediti e il peso specifico del voto degli esami. Insomma, l’accesso libero sarà solo al primo semestre e la notizia secondo cui è abolito l’odiato numero chiuso a medicina a medicina è falsa. Ma intanto ha raggiunto lo scopo di raccogliere consensi. Ha scritto più di due secoli lo scrittore irlandese, brillante polemista Jonathan Swift nel delizioso saggio L’arte della menzogna politica: «come il più mediocre scrittore ha i suoi lettori, così il più gran bugiardo ha i suoi creduloni, e spesso accade che se una menzogna viene creduta anche solo per un’ora essa ha già compiuto il suo lavoro e non deve fare altro».

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