Don Luigi Ciotti: Gli stipendi che hanno rovinato il calcio

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: don Luigi Ciotti
Fonte: La Via Libera

Gli stipendi che hanno rovinato il calcio

La presenza di interessi criminali nel mondo sportivo, e in particolare nel calcio, non è certo una novità. Già nel 2010 con il dossier Le mafie nel pallone, Libera aveva indagato le infiltrazioni mafiose e i casi di corruzione in quello che rimane lo sport più seguito dalla maggior parte del pubblico italiano.

Del resto non c’è da stupirsi: le mafie inseguono il denaro, e sappiamo che il calcio di denaro ne fa girare tanto. Ma cosa rimane oggi di uno sport popolare che faceva sognare i ragazzini e accendeva discussioni animate nelle famiglie, nelle scuole, nelle fabbriche e in ogni luogo della socialità quotidiana? Poco, purtroppo. A inquinarlo, prima della criminalità organizzata, è stato un capitalismo senza ideali che per massimizzare i profitti è disposto a mettere tutto il resto tra parentesi, a partire dall’etica.

Ecco allora gli ingaggi smodati offerti ai giocatori per costruire squadre invincibili non tanto sul campo, quanto nelle vendite di prodotti a marchio e nelle sponsorizzazioni. Ecco i bilanci truccati, i contratti conclusi a cifre astronomiche per la vendita dei cartellini, i giri illegali di scommesse, le speculazioni sugli stadi, le pubblicità concesse anche a settori pericolosi, primo fra tutti il gioco d’azzardo.

In uno scenario simile non sorprende che anche il tifo organizzato si sia involgarito e, in certi casi, colluso con ambienti malavitosi, trasformandosi in strumento di intimidazione e pressione sulle società per portare vantaggi economici ai suoi leader. Sono ormai numerose le inchieste che provano un legame fra esponenti in vista delle curve e ambienti criminali o frange politiche estremiste. Non possiamo pensare di affrontare la situazione solo sul piano giudiziario. Indagare e sanzionare gli abusi è fondamentale, così come portare allo scoperto qualsiasi interesse criminale mascherato da passione sportiva. Ma è proprio quella passione che deve ritrovare la sua autenticità e purezza, anche al di fuori degli ambienti corrotti.

L’esempio degli adulti. Nelle scuole calcio, nelle palestre scolastiche o negli oratori, così come sui campetti improvvisati dentro ai parchi pubblici e agli angoli polverosi delle strade, i più piccoli imparano a controllare il pallone, ma anche le proprie emozioni. In quei contesti può maturare una socialità sana, fondata sul rispetto reciproco e sulla voglia di migliorare insieme. Ma possono anche mettere radici quelle storture che ritroviamo poi ingigantite nel mondo del professionismo. Succede quando gli adulti latitano, oppure abdicano al proprio ruolo educativo, rendendosi protagonisti di comportamenti assai peggiori di quelli dei figli. Un bambino non nasce con pregiudizi né ambizioni infondate. Non impara da solo a offendere un compagno perché di origine straniera o meno atletico. Non si mette in testa autonomamente di essere il più bravo, o che la sua squadra meriti più delle altre la vittoria. Questi sono atteggiamenti indotti dal cattivo esempio dei ragazzi più grandi, degli adulti di riferimento o dei media. Purtroppo non è raro sentire genitori che durante i tornei utilizzano linguaggi volgari, arrivando a minacciare gli arbitri o insultare i ragazzini. E sappiamo che il giornalismo sportivo ha spesso toni eccessivamente enfatici, sia nell’esaltare che nel denigrare le prestazioni di un singolo o di un gruppo. Così, crescono generazioni abituate a pensare che tutto sia ammesso, nel nome dell’appartenenza alla squadra o a una tifoseria: violare le regole e poi negare di averlo fatto; attaccare gli avversari sul piano morale, colpendoli nelle loro fragilità; pensare alla vittoria come unico risultato possibile, lasciando sullo sfondo la bellezza del gioco, il fair play, l’amicizia e tutti gli altri aspetti che danno valore allo sport. Ecco, al di là del marcio che va scovato e combattuto negli ambienti del professionismo e delle curve, sanzionando le società scorrette e le tifoserie criminali, è sulla prevenzione che dobbiamo concentrarci. Sull’educazione. Sul necessario lavoro di bonifica del calcio – e di qualsiasi altro sport – dal basso.

Scelte coraggiose. Questo lavoro si affida già oggi a tanti allenatori ed educatori coraggiosi, che sanno andare controcorrente e prendere anche decisioni “perdenti” sul piano dell’agonismo, pur di risultare “vincenti” a livello formativo. Ma si affida anche alla responsabilità delle famiglie, della scuola e di tutti quei contesti dove bambini e adolescenti imparano l’arte della relazione con l’altro, le regole della comunità. Se l’interesse sportivo in senso stretto tornerà a prevalere sugli interessi economici generati dall’industria sportiva, potremo sperare di liberare il mondo del pallone dalle influenze negative che rischiano di soffocarlo. Meno soldi, più impegno. Meno intrallazzi, più relazioni educative. Meno “curve” criminali e più “rettitudine” del tifo, nelle società e nella società.

 

*Presidente di Libera e Gruppo Abele

(editoriale tratto da “lavialibera” N.28)

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