Fonte: Odissea
L’“IMPOSSIBILITÀ” DI UNO STATO PALESTINESE
IN DIFESA DELLO STOLTO
All’alba del secondo millennio, il monaco Gaunilone divenne famoso per aver osato scrivere la sua Difesa dello stolto (1070), con cui criticava la prova ontologica dell’esistenza di Dio del monaco Anselmo. Gli dedico la stoltissima perplessità che ho provato studiando la prova ontologica dell’impossibilità di uno Stato palestinese, argomentata da Ernesto Galli della Loggia (Corriere, 19 febbraio). Vi ricordate quell’ente di cui non si può pensare nulla di più grande? Si chiama Dio. Se gli mancasse l’esistenza, se ne potrebbe pensare uno più grande! Lo stolto non lo vede, e per questo ritiene possibile che Dio non ci sia. Solo possibile, per carità. Un’ipotesi, ma concepibile. Che stupido.
Partiamo dalla premessa ontologica del nuovo Anselmo: “la garanzia assoluta della sicurezza di Israele”. E come non accettarla! Diamine, Israele deve pur essere sicuro. È fatta, lo stolto è in trappola. Non vede che è “impensabile che lo Stato ebraico possa mai accettare l’esistenza di uno Stato palestinese”? Dopo il 7 ottobre, poi. E allora perché sono “tutti d’accordo”, gli stupidi, “nell’idea che la soluzione da perseguire dovrebbe essere quella dei ‘due popoli, due stati”? (Che siano “tutti d’accordo” non è vero, se solo si ascoltassero molti palestinesi e molti esperti, ma questo è secondario).
Lo stolto di un tempo era tale perché non vedeva l’invisibile, che invece è iperreale. Noi stolti di oggi invece a quanto pare non vediamo le cose visibili: noi “al realismo” preferiamo “di gran lunga il tifo”. Stolti davvero: perché il tifo presuppone due enti contrapposti, e noi non vediamo che uno dei due non può e non deve esistere. Senza premesse ontologiche, Netanyahu lo ripete da una vita e ieri lo ha ribadito: uno Stato palestinese non deve esistere, punto. E questa non pareva la conclusione di un sillogismo, semmai un biglietto di saluti attaccato a ciascuna delle bombe (americane) da novecento quintali che hanno raso al suolo Gaza. Ma la perplessità non viene da qui: ma dalla scoperta che lo Stato palestinese invece esisteva! Per l’appunto tale “era di fatto Gaza”. Già: senza controllo dei confini, della moneta, dell’energia, dell’acqua, dell’economia, perfino dei permessi di uscita e rientro, che dipendono da Israele: uno Stato di tipo nuovo, invero. Per questo la Relatrice speciale dell’ONU (insipiente anche lei?) ci spiega che la violenza efferata delle “forze paramilitari non statali” di Hamas andava punita in quanto criminale con tutti i mezzi di uno Stato di diritto e anche di fronte a un tribunale internazionale” (F. Albanese, J’Accuse, p. 27), non con la punizione collettiva di una popolazione.
La perplessità cresce: se l’ontologo, contra propria principia, e dal momento che l’esistente implica il possibile, riconosce la possibilità di uno Stato palestinese, come mai la sicurezza dei palestinesi che questo Ens Rationis, insomma questa chimera statuale dovrebbe proteggere, neppure si pone? Forse lo stolto travede di nuovo, e si figura che un popolo palestinese esista? Ecco sì. Non esiste e non deve esistere, e quindi perché scomodarsi a ricordare i cinque devastanti bombardamenti a tappeto che ha subito a Gaza (lasciando stare la Cisgiordania) prima del 7 ottobre?
Lo stolto travede, certo, ma perché ingannato da quei terroristi dell’UNRWA, l’agenzia dell’ONU (tanto per cambiare), che ha vergognosamente nutrito, aiutato, protetto i profughi delle varie Nakba, dalla prima in poi, fino a farli crescere, da quei 700.000 poveretti che erano (metà circa della popolazione palestinese di allora), ai cinque milioni e rotti di oggi! E solo per sollevare una falsa questione, la “questione palestinese” (proprio con le virgolette nel testo). Ma vi rendete conto della vergogna, che questi pretendano di essere un popolo? Di autodeterminarsi, addirittura? E come si autodetermina chi non esiste? Al massimo minaccia la sicurezza altrui! Pare però che il culmine della stoltezza illogica sia quel “diritto al ritorno” che l’insipienza universale dell’ONU ha ribadito con la testardaggine delle sue risoluzioni: come fa a ritornare chi non esiste? Al massimo minaccia la sicurezza di chi deve tornare alla terra dei padri, e pazienza se i suoi padri sono sepolti in Polonia o nelle Americhe, la patria celeste è lì, fra insediamenti e muri.
Ci vuole del genio, non dirò per far apparire vero il falso – questa è la definizione platonica di “sofista”, ma addirittura per far sembrare logico l’assurdo. Ci vuole un’abilità consumata nell’eseguire doppi salti mortali con grazia, chiudendoli in un inchino reverente. Ma ci vuole anche stomaco, di fronte a quella tomba di 30 mila corpi fatti a pezzi, insieme con tutti i loro registi, la loro memoria, la loro identità storica e umana – che è Gaza, oggi.
(Odissea, 21 febbraio 2024)