Fonte: La Stampa
Lucrezia Reichlin: «Il governo terrà se non sprecherà il Pnrr e troverà un modo per rilanciare la crescita»
Lucrezia Reichlin: «Il governo pensi alla crescita, cruciale il negoziato con l’Ue. I problemi arriveranno l’anno prossimo, la congiuntura peggiorerà. I margini per mantenere le promesse elettorali sono minimi, il consenso può calare»
«Il problema non è tanto la revisione al rialzo del deficit di quest’anno o la legge di bilancio che vedo improntata alla prudenza. Sarà più duro l’aggiustamento necessario dall’anno prossimo per rientrare nei parametri europei». Lucrezia Reichlin, professoressa della London Business School, legge i numeri della Nadef e invita alla prudenza: «Il governo ha ritenuto di aumentare il deficit dal 4,5 al 5,3%. Era prevedibile. Non bisogna creare allarmismi».
«I numeri si discostano dalle stime stesse dell’esecutivo. Questo vuol dire che l’aggiustamento dei conti sarà più duro negli anni a venire. D’altra parte, dalla Nadef si nota come il governo pianifichi di consolidare i conti più del previsto nel prossimo futuro».
Il ministro Giorgetti è convinto di ottenere il via libera dalla Commissione europea.
«Per l’Italia, a Bruxelles, si gioca una partita cruciale. Il governo dice che riporterà il deficit al 3% del Pil solo nel 2026, un anno più tardi di quanto atteso. Adesso è fondamentale capire come si concretizzerà la riforma del patto di stabilità. Di certo dovranno accelerare molto, per rientrare nei parametri».
Il dibattito europeo ruota intorno agli aggiustamenti automatici che chiede la Germania.
«Gli aggiustamenti dovrebbero essere rivisti ma non è chiaro se si troverà un compromesso. Ma nella nuova proposta della Commissione c’è un’altra variabile importante per l’Italia, cioè la lunghezza del piano di aggiustamento: 4 o 7 anni. Con un orizzonte temporale a quattro anni saremmo costretti ad una stretta pesante. Con un orizzonte a sette, centrare gli obiettivi, è difficile, ma non impossibile».
Intanto i mercati, sembrano aver bocciato la Nadef.
«Per quanto si possa sostenere o meno questo governo, non si può negare che l’impostazione della manovra, almeno nei numeri aggregati, sia ragionevole. Credo che la reazione dei mercati sia temporanea ma questo dipenderà anche dalla reazione della Commissione e dei partner europei. Gli investitori non apprezzano le tensioni tra l’Italia e l’Europa. Il ministro Giorgetti ha detto di non voler fare nulla di pro-ciclico, ma l’anno prossimo l’economia andrà peggio».
Si poteva fare meglio?
«Non credo che l’opposizione o un altro governo sarebbe riuscito a fare qualcosa di diverso, ma la realtà e che si sposta il problema più avanti, ma con poca crescita la stretta arriverà. Il nodo fondamentale è la crescita e quindi il Pnrr. Su questo si valutera il governo».
Il governo cerca di scaricare tutte le responsabilità sul Superbonus.
«Sicuramente è stato un provvedimento fatto male. E il governo ha ragione che sia costato molti soldi, troppi. Ma prima di definirlo la causa di tutti i mali, dovremmo fare un esercizio controfattuale per capire come sarebbe andato il mercato delle costruzioni e a cascata il Pil, senza il Superbonus».
Per fare cassa il ministro Salvini ha rilanciato l’idea di un condono.
«Sarebbe uno scempio. Mi auguro che il governo non vada in quella direzione».
Le privatizzazioni possono aiutare?
«Non mi sembra che ci sia molto margine d’intervento».
E la tassa sugli extraprofitti?
«Non sono contraria a una tassa sulle banche, ma sono contraria a come è stata fatta. Doveva essere chiarito da subito che si trattava di una tantum straordinaria per un momento eccezionale in modo da non dare il senso agli investitori che lo Stato possa fare un prelievo arbitrario quando vuole. E stato anche sbagliato imporre una tassa sui margini di interesse e non su tutto l’utile. Gli spagnoli l’hanno fatta certamente meglio. Ma in generale il problema degli utili delle banche è dovuto al rialzo dei tassi e spiegato dalla mancanza di concorrenza che permette agli istituti di non alzare i tassi sui depositi. Quindi si poteva anche pensare ad un intervento più strutturale sulla concorrenza bancaria».
Se l’anno prossimo sarà peggio e il sentiero di rientro nei parametri si farà stretto, andremo incontro a una nuova austerity?
«Il pericolo è che tutti i Paesi contemporaneamente siano costretti a manovre pesanti e questo affosserebbe l’economia accentuando nel 2024 l’effetto della politica monetaria e nel 2025, quando probabilmente la Bce comincerà ad abbassare i tassi. Per questo la prossima legislatura comunitaria dovrebbe introdurre riforme che evitino questo effetto perverso delle regole fiscali. Una riforma importante sarebbe costituire una Central fiscal capacity, con la quale finanziare insieme spese cruciali come la transizione digitale ed ecologica o la sicurezza. In questo modo ci sarebbe molto rigore sui conti pubblici nazionali, ma anche più spazio di spesa».
Per il momento il dibattito non è in agenda.
«No, non è sul tavolo. Ma questo è il vero negoziato che si aprirà con la prossima legislatura. E più l’Europa sarà spinta a investire su temi strategici come la sicurezza e il cambiamento climatico, più è probabile che la spinta riformatrice si rafforzi. L’Italia deve decidere che partita giocarsi. Non si può stare con l’Europa di Orban e poi volere anche un bilancio comune».
Il governo terrà all’urto della manovra e delle difficoltà economiche?
«Il governo terrà se non sprecherà il Pnrr e troverà un modo per rilanciare la crescita. Ma i margini per fare le cose che ha promesso sono minimi e quindi potrebbe perdere consensi. Inoltre la manovra implica un aggiustamento più duro nei prossimi anni e se la crescita non parte ci saranno conseguenze politiche. Naturalmente quello che succederà dipende anche dalla credibilità dell’opposizione».