La guerra sta prendendo una piega preoccupante per l’Ucraina
La caduta di Bakhmut, poco importa se totale come proclama Mosca o semitotale come vuole Zelensky, è un evento militarmente minore ma scioccante per la resistenza e per il fronte interno ucraino. Migliaia di combattenti hanno dato la vita per impedire che su quel cumulo di macerie sventolasse la lugubre bandiera nera della Wagner. Erano mesi che il capo delle Forze armate ucraine, generale Zaluzhny, cercava inutilmente di convincere il suo presidente dell’urgenza di ripiegare in buon ordine da Bakhmut. Obiettivo: risparmiare i soldati in vista della controffensiva di primavera.
Zelensky ha preferito evitare un’operazione tatticamente necessaria per non macchiare la fama dei suoi combattenti. E il suo personale prestigio.
Risultato: oggi i russi possono vantarsi di aver sconfitto un esercito armato “dall’Occidente collettivo” con una compagnia di ventura, mentre domani gli ucraini, quando dovranno finalmente assemblare le truppe per la fin troppo annunciata controffensiva, mancheranno di uomini, mezzi e soprattutto munizioni spese per difendere una località minore, da loro stessi eretta a simbolo della resistenza contro l’invasore.
Kiev ha accettato la logica della guerra di attrito che conviene a Mosca, dotata di risorse superiori e soprattutto rinnovabili, a differenza delle Forze armate ucraine che dipendono totalmente da armi e munizioni occidentali. Americani ed europei disposti ad armare gli ucraini stanno consumando gli stock e non possono ricostituirli in velocità. I flussi prevalgono sulle scorte di magazzino.
Il Pentagono teme di svuotare i suoi stock proprio mentre intende concentrarsi sulla possibile guerra contro la Cina, di ben altra pregnanza strategica. Esempi: l’artiglieria ucraina spara circa 7 mila colpi di artiglieria al giorno, mentre gli Stati Uniti ne producevano 14 mila al mese prima della guerra e non riescono ad aumentare sensibilmente questo ritmo, anche per mancanza di manodopera specializzata. Secondo Raytheon, campione dell’industria militare americana, gli ucraini hanno sparato solo nei primi otto mesi di guerra l’equivalente di 13 anni di produzione di missili antitank Javelin e 5 di missili terra-aria Stinger. Presumiamo che al quindicesimo mese tale volume sia da quasi raddoppiare. Secondo il sottosegretario alla Difesa Colin Kahl, “il conflitto in Ucraina ha mostrato, francamente, che la nostra base industriale non era al livello necessario per generare munizioni”. Effetti non troppo collaterali della deindustrializzazione dilagata negli anni spensierati della globalizzazione con steroidi.
L’effetto Bakhmut sulla linea del fronte sarà forse di contribuire a stabilizzarlo. Perché se è vero che gli ucraini sono carenti di uomini e munizioni è altrettanto certo che i russi non dispongono oggi di forze sufficienti a sfondare le linee ucraine. Anzi, stanno rafforzando le barriere nell’area di Zaporizhzhia e completando le file di denti di drago che sigillano la linea di contatto con il nemico lungo gran parte del Donbas – le paludi occidentali li garantiscono nella regione di Kherson, fondamentale per proteggere la Crimea.
Il tempo sembra giocare per l’invasore, oggi adattato a una postura difensiva che non comprende però buona parte dei territori annessi. Ciò lascia supporre che Mosca intenda scambiarli in un futuro negoziato con qualche contropartita non territoriale.
Ma questa è la guerra delle sorprese – a cominciare dall’imprevista invasione russa e dall’inattesa capacità di reazione ucraina. Sicché nessuno dovrebbe escludere che pur di rovesciare la logica dell’attrito, ovvero dell’autostrangolamento, Kiev tenti qualche colpo a sorpresa. Magari parlando di meno e rischiando di più. Per esempio colpendo la Russia in profondità con missili di discreta potenza. Anche in reazione ai sempre più intensi bombardamenti su Kiev – mai visti prima quelli della notte fra sabato e domenica – risposta più che sproporzionata al fallito attacco via drone contro il Cremlino, da Putin attribuito agli ucraini. Sempre che gli americani glielo lascino fare.