Certamente parlare di timore ed anche di paura per la conoscenza spirituale può essere giudicato insensato o fantasioso, ma è così. Si dirà: ma come è possibile che in questa epoca ci sia paura per la conoscenza, una epoca di meravigliose conquiste nella ricerca e nella tecnologia? Le persone credono senza ombra di dubbio di trovarsi con i loro poteri di cognizione nelle condizioni di poter comprendere tutto. Questo timore però non si trova nella nostra coscienza ordinaria, laddove crediamo di essere molto coraggiosi per affrontare ogni nuova conoscenza. Si stabilisce invece in una regione della nostra anima di cui sappiamo poco o nulla, e di cui vogliamo sapere ancora meno. E a causa di ciò, sorgono tutte le ragioni, le difese e le obiezioni possibili alla conoscenza dello spirito. Ma esse non sono altro che le estreme difese di fronte alla paura.
Credo che la paura più forte sia quella della morte fisica. Essa rappresenta il massimo dell’incognito. Ed è appunto il momento in cui prescindendo del corpo fisico si rivelerà lo spirito. Allora, non frequentando consapevolmente lo spirito durante la vita da svegli ne abbiamo un timore inconscio. Ciò che è sconosciuto appare ai più come un salto nel buio e quindi motivo per ritirarsi e negare di entrata qualsiasi approccio cognitivo. Eppure, ciascuno di noi giù nel profondo sa più di quello che pensa, ma non si adopera per indagare e porsi domande. Si oppone a che questo sapere salga alla superficie.
Abbiamo a volte il sentimento che qualcosa di superiore sia riflesso nei nostri pensieri, che questo mondo di pensieri si riferisca alla realtà come l’immagine riflessa nello specchio si collega all’oggetto reale di fronte ad esso. Se allora la persona ammette questa possibilità e ha il coraggio di accettare che il che il pensiero abbia solo carattere di immagine ed è disposto ad andare fino in fondo, in quel momento è personale desiderio di conoscere il mondo spirituale nella sua varietà.
E se accetta di percorrere il cammino, ecco un’altra scoperta. Ogni cosa che si sperimenta nel mondo dei sensi non è altro che una immagine. Il mondo terrestre diventa una immagine fantasmagorica se vista dall’interiorita’. Ci si comincia a sentirsi insicuri e presi dalla vertigine. È l’io che comincia a manifestarsi. Allora ci si ribella perché si ritiene che il fondamento sicuro dell’esistenza cadrebbe se la vita dell’anima si trasformasse anche essa in mera immagine.
Ceda aggiungere che non si tratta solo di conoscere l’altro lato ma di viverci. Di viverci preparati ed adattati così come qui si vive nel mondo fisico col corpo. In Ltre parole, è un po’ come attraversare in anticipo quello che si attraversa al momento della morte. Si capisce che bisogna raggiungere le condizioni per poter vivere in un mondo nel quale una parte di noi non è adattata ancora. Questa conoscenza del mondo sopra sensibile è tuttavia una necessità assoluta per l’epoca attuale è può gettare luce su ciò che ci appare caotico e distruttivo. Eper amore alla vita che si pensa alla morte e se ne discute
La morte, in un certsenso, va vissuta e studiata da vivi, pensata e meditata. Proviamo a descrivere l’esperienza dell’anima che si volge al tema della morte, partendo da ciò su cui può meditare. Se mi rivolgo da sveglio e come di consueto ai fenomeni del mondo esterno attraverso i sensi, non so nulla della mia anima, non mi accorgo deluso agire. Essa è uguale a quella percezione, quel suono, quella luce, è tutt’una con l’esperienza del mondo. Essa è quel pensiero, quel sentimento, quell’atto di volontà. Non è così?
Solo quando riconosco in questa situazione familiare una sola faccia della medaglia e mi chiedo dov’è l’altra, posso richiamare nel campo della mia attenzione ciò che normalmente passa sotto traccia. Ma mi sento abbandonato dalla mia capacità rappresentativa quando essa non è sostenuta dal riferimento a cose percepibili. Pure, l’anima è in condizioni di rivolgersi a sé stessa e contemplare mentre si ritrae dal mo do in cui si trova imbrigliata normalmente. Questa è l’idea. Ad un certuni dell’esistenza questa meditazione sul corpo fisico è necessaria, perché potremmo sentirci un assurdo contro senso se non ci rifugiassimo nel nostro intimo a salvaguardia della nostra vita interiore
Infatti che senso ha il mondo che percepisco? Esso esiste senza di me. Ma è pur vero che colori e suoni vivono in me. Perché allora le sostanze e le forze del mondo esterno formano il mio corpo? Che coscienza ho del mio corpo? La vita richiede che il mondo esterno si configuri in me: ho bisogno di questo corpo, di questi sensi, per avere le esperienze che il corpo permette di portare a coscienza. Il mio corpo mi conferisce pienezza e contenuto, è ricettacolo delle mie esperienze, vivo tramite esso e sperimento me stesso nelle esperienze del mondo. Io sono quella gioia, quel dolore, quel suono, quel timore.
Ma non sarà sempre così. Il corpo è soggetto alle leggi che regolano il comportamento delle forze e sostanze della Natura este. Sento la bellezza del mondo naturale, la sua grandiosa magnificenza, la saggia disposizione. Ma arriva il momento in cui del mio corpo si impadronisce la Natura, che si incarica di disperderlo. La grande, bella e saggia Natura da’ una ottima risposta alla domanda su come si dissolve la forma umana ma non mi convince quanto afferma su come sia tenuta assieme.
Ecco qui sorge tutto l’enigma della morte, e ci si dibatte tra pregiudizi e desideri mentre l’ideale è mantenere la visione neutra.
Filoteo Nicolini
Immagine: Leonora Carrington