“Voto utile” a Conte e ai 5Stelle: l’ultimo tabù della sinistra va in crisi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Paola Zanca
Fonte: Il Fatto Quotidiano

“Voto utile” a Conte e ai 5Stelle: l’ultimo tabù della sinistra va in crisi

Il tabù s’è rotto un giovedì di fine agosto. Augusto Illuminati, filosofo e fondatore di Dinamopress, voce dell’informazione indipendente a sinistra della sinistra, affida a Facebook le sue “riflessioni settembrine”. Strettamente personali, chiarisce, che pure è l’intellettuale di riferimento di Esc Atelier Occupato, uno degli spazi sociali faticosamente sopravvissuti a Roma. Dice Illuminati che “la fine del governo Draghi è un sottoprodotto dell’offensiva convergente delle destre e del Pd per liquidare il M5S e spartirsene gli elettori”. Individua l’agenda che andava cancellata: dal reddito di cittadinanza all’opposizione all’invio delle armi in Ucraina. Poi, tira le sue conclusioni: “L’astratta razionalità indurrebbe all’astensione, mentre il sentimento spingerebbe a simpatizzare con il volenteroso entusiasmo di UP-De Magistris (…) Tuttavia, avrei molti rimorsi, dopo la vittoria di Meloni, per essermi astenuto e non me la sento di replicare l’ennesimo voto testimoniale, sopra o sotto il 3% (…) L’unica formazione in grado di pesare politicamente a sinistra del Pd – per quanto confusionaria e neppure di sinistra – è al momento il partito di Conte, con le sue istanze pauperistiche e la sua riluttanza alla spesa militare e all’oltranzismo Nato”.

Nella variegata e litigiosa galassia che va da quelli che un tempo si chiamavano “movimenti” al mondo delle associazioni e del sindacato di base, quella di Illuminati è una discreta bomba che costringe a riflettere su quello finora considerato l’indicibile: votare Conte perché “pesa” a sinistra. Già perché se è vero che già nel 2018 il M5S si aprì qualche varco nell’elettorato “radicale”, è altrettanto vero che l’esperienza di governo con Salvini aveva fatto sì che la debole fiammella d’intesa si spegnesse (e pure con uno sputo sopra). Non che se lo siano dimenticati. “Tra le associazioni che si sono occupate in questi anni di migranti – spiega Andrea Costa di Baobab – è ancora vivo il ricordo dei decreti sicurezza che sono stati varati quando Conte era presidente del Consiglio: deve ancora passare un po’ di tempo prima che si ripulisca. Ma è vero che per la prima volta è difficile trovare dichiarazioni di voto chiare da parte delle associazioni. Un pezzo di sinistra vive con rammarico il fatto che di fronte al pericolo Meloni non ci sia messi tutti insieme. E in quest’ottica il voto ai 5 Stelle non è più un tabù”. Beppe Caccia, che con Luca Casarini è al timone di Mediterranea, conferma che non daranno indicazioni di voto. “Ma di certo entreremo nella campagna elettorale chiedendo ai candidati di prendere una posizione chiara, sia per quanto riguarda il rinnovo del memorandum con la Libia sia sul soccorso in mare e sulla difesa delle attività delle Ong”. Lo stesso percorso che hanno in mente i ragazzi dei Fridays for Future. Hanno stilato la loro Agenda per salvarci dalla crisi climatica e dicono che “il voto è utile quando viene dato a chi fa proposte utili per abbassare le emissioni e per aiutare le fasce di popolazione più in difficoltà”. È un altro pezzo di elettorato in cui i 5 Stelle stanno cercando di pescare, piazzando come “esca” il prorettore della Sapienza, Livio De Santoli. Certo, così come sull’immigrazione, anche in tema di sostenibilità c’è chi fatica a digerire “l’equivoco” Cingolani, il ministro della Transizione ecologica in nome del quale il M5S è entrato nel governo Draghi. Eppure, paradossalmente il passaggio di governo con “l’establishment” ha rafforzato l’opinione – anche nell’area antagonista del Nord-Est e tra le realtà sociali bolognesi – che fossero “altro”. La scissione di Luigi Di Maio pure ha giovato: “Ora che si sono liberati dei destri…”, dice chi non rimpiange l’addio dei draghiani. Spiega il sociologo Marco Revelli: “Quello che li premia è questo essere fuori e contro un establishment ferocemente anti-sociale, rispetto a un Pd che invece sgomita per sedersi a quel tavolo”. La foto di Cl a Rimini, per capirci (anche se domenica, Conte, a Cernobbio ci sarà).

Fuori da tutto, invece, l’ultimo esperimento a sinistra, quell’Unione Popolare guidata dall’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, nata a ridosso del voto. Ha con sé Potere al popolo, Rifondazione, ManifestA, l’Usb. Tra i candidati (a titolo personale) ha due esponenti No Tav, l’unico movimento sopravvissuto agli anni che passano: l’ex 5S Marco Scibona e Fiorenza Arisio. La sinistra della sinistra doveva essere il bacino di riferimento naturale di Up, ma per ora stenta a decollare. “C’è un intero mondo che è attivo sui territori, che lavora nelle città e che non trova alcuna sponda nei giornali, nelle televisioni”, constata Cristiano Lucchi, sostenitore di Up e direttore di Fuori binario, il giornale dei senza fissa dimora fiorentini. A Firenze poi “viviamo una contraddizione”, perché Sinistra Italiana ha candidato Ilaria Cucchi: “La stimo molto, ma votarla significa votare Pd”. Già, perché l’altra esca, questa volta lanciata dai rossoverdi Bonelli e Fratoianni, è quella della sorella di Stefano, ma pure quella del sostenitore No Tav Marco Grimaldi, capogruppo di Leu in regione Piemonte, e del sindacalista dei braccianti, Aboubakar Soumahoro, sempre nell’alleanza con il Pd. Nel mondo dei sindacati di base non negano che sia un nome in grado di muovere più di qualcosa. “Siamo spiazzati, siamo indecisi se votare e chi votare – spiega una fonte –. Questo quadro partitico non ci rappresenta, ma la legge elettorale obbliga a dei ragionamenti: noi non crediamo nella testimonianza, ci interessano progetti che incidono e la paura della Meloni al governo qualche riflessione la fa fare”. E poi c’è la guerra, la grande assente del dibattito. Lo fa notare un’altra intellettuale di riferimento di questo mondo, la giornalista Ida Dominijanni: “Non c’è stato un colpo d’ala di tutta la sinistra sulla questione della guerra. Doveva essere l’occasione per mettersi insieme e per fare un salto di qualità di pensiero. Invece è prevalsa la frammentazione, ciascuno si regolerà con i collegi. Lo chiamano voto tattico, io mi chiedo perché non siamo tutti in piazza contro questa legge elettorale”. Le piazze sono vuote, chissà le urne. Perché a sinistra della sinistra il non voto continua a essere una precisa scelta di testimonianza.

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