Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 11 settembre 2014
Ci mancava Francesco Cundari a spiegarci la preferibilità di avere un segretario che sia anche premier (e viceversa). Un uomo solo al comando, insomma, uno che la vocazione maggioritaria la incarna coma la sintesi hegeliana. Dove sarebbe il vantaggio dell’unicità? Nel fatto che, se le due figure si distinguessero, l’una ‘sparerebbe’ (politicamente) all’altra (e viceversa), e ne verrebbe fuori un dualismo pernicioso, un conflitto capace di ammazzare la sinistra (che invece, a quanto pare, gode di ottima salute, visto il 40,8%). Tutto qui il ragionamento. Nessun accenno allo stato dell’arte, ossia al partito ridotto a comitato elettorale, alla classe dirigente il cui ricambio è avvenuto con criteri giovanilistici o di genere estetico, alla politica divenuta passerella mediale, alla sinistra europea ridotta a 5 camice bianche che sfilano sul palco della festa sicure di vincere, alla Festa dell’Unità in assenza di Unità, allo straripamento mediale prodotto da valanghe di hashtag gettati in pasto a indifesi utenti di rete o anziani cittadini. Nulla. Il punto critico sarebbe unicamente: se sdoppiamo le figure queste si fanno la guerra. Meglio la pax renziana, dunque, e chi s’è visto s’è visto (intendo la sinistra).
Pensiero tattico? Boh. Pensiero minimalista di sicuro. Che ha, proprio alla fine del pezzo scritto per l’Unità on line, un riscatto di lucidità cundarica. Dice: attenzione, con l’Italicum potremmo ritornare alle coalizioni preelettorali e alle guerre intestine tra cespugli e ulivi. Come dire, se proprio ci tenete, battetevi contro l’Italicum perché è un ritorno agli anni 90 e lasciate, aggiungo io, che il destino politico ci trascini verso una sorta di realistico monolite, senz’altro migliore, dice lui, dello zelo pluralistico e dell’esagerazione cespugliesca dell’Ulivo. Tra quel dibattito inconcludente e l’attuale assenza di dibattito, il realista sceglie il male minore, che corrisponde di solito a ciò che offre appunto la realtà, persino la misera realtà dell’era renziana. Anche perché l’ideale proporzionalista di Cundari dovrebbe infine salvarci, con un ritorno equilibrato al parlamentarismo, dall’egemonia del partito unico e, dunque, dal rischio che l’uomo solo al comando (oggi Renzi, domani chissà, questo è il punto vero) si prenda tutto il cocuzzaro.
Ecco. Cundari sbaglia solo un calcolo, ma decisivo. Ossia che è proprio l’uomo solo al comando (nel patto con Berlusconi) che vuole l’Italicum, mica io o mio cugino di Molfetta. Ci sarà pure una ragione. Capisco l’invito di Cundari, che accolgo, di battersi contro l’Italicum. Non capisco perché mai non capisca che la strategia elettorale ultramaggioritaria e la vocazione ultra maggioritaria del Leader-a-Capo-di-Tutto sono la stessa e medesima cosa. La legge è un sontuoso completamento della sua ‘presa’ del partito e del governo (e viceversa), compiuta peraltro con una specie di blitz. Il 40,8% alle europee è solo il viatico all’asso piglia tutto. Anzi, Cundari queste cose le sa bene, ma oggi deve distinguersi da Bersani e D’Alema, non solo da Renzi, senza tuttavia mostrarsi pregiudizialmente contro quest’ultimo, per potersi ‘posizionare’ equilibristicamente ed efficacemente nel peggior dibattito politico mai visto dal dopoguerra a oggi (il qui presente, appunto). Ergo, logica avrebbe voluto che ci si battesse sia contro l’unipolarismo renziano, sia contro l’unipolarismo elettorale, non solo contro il secondo e quasi legittimando il primo. E qui torno alla questione del doppio incarico. Bersani non ha detto di essere contro in linea di principio al doppio incarico, ha detto che Renzi, in questo contesto, non appare in grado di governare efficacemente sia il partito (vedi il caso clamoroso dell’Emilia Romagna) sia l’esecutivo assieme. Oppure, dico io, di governarlo impiegando mezzi non convenzionali (e dunque alla lunga politicamente dannosi).
Ma a Renzi del partito non importa. E può dunque continuare ad noleggiarlo a Serracchiani e Guerini senza dispiacersene troppo. A noi invece importa e ci piacerebbe che la segreteria fosse affidata a qualcuno che se ne preoccupasse di più, che non lo tramutasse solo in un brand o in un service elettorale. Qualcuno magari pure gradito a Renzi, perché no. E il premier, invece, si posizionasse meglio a Palazzo Chigi, dove ha fatto talmente tante promesse che ci vorrebbero due premier per soddisfarle tutte, altro che uno a mezzo servizio col Nazareno. Feticismo del partito? Macché. Non è l’esistenza in sé del PD (o di che altro) che importa, quanto la sua efficacia, la sua capacità di rappresentare iscritti ed elettori, non solo il Capo (a cui tutti addebitano il merito di fatto del 40,8%). In altri termini, se il PD è questo ‘leggerissimo monolite’, l’Italicum passa, caro Cundari, addavedé se passa. E tu il tuo proporzionale te lo scordi. E comunque passa l’idea dell’ultramaggioritario, del chi vince governa e gli altri zitti e mosca, per cui va a finire che si decide chi governa ancor prima che cada l’ultima scheda nell’urna, così ci sbrighiamo. Stupisce che un intellettuale raffinato e puntuto come Cundari questo lo ignori o eviti di ricordarlo preso dalla vis polemica.