Per la pace rinuncio ai condizionatori d’aria ma anche all’invio di armi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giuliana Sgrena
Fonte: Globalist

Per la pace rinuncio ai condizionatori d’aria ma anche all’invio di armi

Non credo in una soluzione militare, ma anche se ci potesse essere un vincitore e uno sconfitto sul campo, quale sarebbe il prezzo da pagare? Un prezzo che pagherebbero i civili

Per la pace rinuncio ai condizionatori d’aria, persino al riscaldamento se fosse necessario. Chiedo però al presidente Draghi di rinunciare all’invio delle armi per la pace. Anche se «Armi, armi, armi» è la richiesta del ministro della difesa ucraino Kuleba alla Nato. Un grido di guerra che mi spaventa. Nei vari conflitti in cui mi sono trovata a intervistare la popolazione, la prima richiesta avanzata era sempre la fine della guerra, porre fine alle stragi, a qualunque costo. Possibile che in Ucraina invece tutti siano a favore della continuazione della guerra fino alla vittoria?  Certo il nazionalismo esacerbato alimenta il bellicismo e l’odio, che purtroppo non finirà con la fine della guerra, come abbiamo visto nei Balcani, ma vivere sotto le bombe è devastante. In Ucraina esiste, per quanto ininfluente, anche un movimento pacifista contrario alla violenza guidato da Yurii Sheliazhenko. Chi ne ha mai parlato?  In Ucraina, sotto la legge marziale, un decreto del presidente ha unificato tutti i canali televisivi in un’unica piattaforma di «comunicazione strategica» attivo 24 ore al giorno. E sicuramente non c’è spazio per l’opposizione.

Non credo in una soluzione militare, ma anche se ci potesse essere un vincitore e uno sconfitto sul campo, quale sarebbe il prezzo da pagare? Un prezzo che pagherebbero i civili, che nelle guerre sono il 90 per cento delle vittime.

Nelle guerre, tutte, la propaganda è una componente inevitabile dello scontro. La utilizzano più o meno abilmente, anche mediaticamente, tutti gli attori in campo, tanto che è difficile verificare i fatti dietro il fumo della propaganda, ma è necessario, indispensabile per informare e formare l’opinione pubblica. In Ucraina sarà particolarmente difficile, anche perché in questa guerra non c’è dubbio che dobbiamo stare dalla parte degli ucraini, ma dobbiamo farlo non con la reticenza e l’omertà, affidandoci al giornalismo embedded.

La guerra spettacolo è la negazione dell’informazione. Alcuni di noi hanno sottoscritto un appello per rendere evidenti questi rischi e per evitare la deriva di questo giornalismo di guerra, io direi la «militarizzazione» dell’informazione, anche se questo declino non è iniziato con l’aggressione russa all’Ucraina ma in Ucraina ha raggiunto livelli preoccupanti: non basta denunciare gli orrori per evitare che tornino ad accadere, bisogna scavare in profondità per sradicare (o almeno togliere la copertura) alle ragioni più profonde.

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