Ucraina. Chi sono i cattivi? Regressione infantile e necessità di una nuova cultura
Chi conosce un po’ di storia sa che la guerra Franco-Prussiana scoppiò perché c’erano delle ragioni storiche. Solo per menzionarne alcune: l’unificazione tedesca, la paura della Francia di essere accerchiata dagli Hohenzollern, le ambizioni della Francia, la diffidenza dell’Inghilterra verso queste ambizioni, le aspirazioni della Russia rispetto alla Crimea.
Chi conosce gli eventi che portarono a quella guerra sa bene che vi fu un gioco (molto più complesso di quanto sia possibile dire qui). La Francia non poteva accettare che sul trono spagnolo sedesse Leopoldo: sarebbe stata accerchiata, sarebbe potuta essere attaccata su due lati. Bismarck voleva invece il conflitto, necessario per giungere all’unificazione tedesca, alla proclamazione del Reich. Ma Guglielmo era accomodante, dava rassicurazioni ma non formali (lo abbiamo visto anche di recente).
La guerra, per farla breve, scoppiò perché Bismarck falsificò un telegramma, che umiliava la Francia. Ma lo fece da quel grande statista che era: si assicurò che l’esercitò prussiano fosse pronto, della neutralità inglese e russa. Era una trappola, e la Francia vi cadde: avvio il conflitto.
Ci fu qualcuno che si dedicò all’analisi delle ragioni, del perché del conflitto, degli interessi, complessi, intrecciati, mai lineari. E ci furono coloro che si chiesero:
CHI è L’AGGREDITO? CHI è L’AGGRESSORE?
E’ semplice, rassicurante. Non occorre pensare, studiare, decifrare. E’ semplice. Come tutto ciò che è infantile.
Diventare adulti significa sviluppare un pensiero della complessità, e la nostra cultura è regredita invece di maturare.
Eravamo stati educati all’idea che per evitare il peggio, per risolvere i problemi non servono discorsi moraleggianti: bisogna cogliere e rimuovere le cause dei conflitti.
Questo significava usare la ragione.
Negli ultimi trent’anni le cose sono cambiate. Si è sviluppata una cultura che consiste semplicemente nel dire chi ha torto e chi ha ragione. Nel 1870 si sarebbe stati a chiedersi chi era l’aggressore e chi era l’aggredito. E porre così il problema significa impedirsi di comprendere la storia, significa non essere adatti ad agire in essa.
Gli intellettuali di matrice “progressista” somigliano sempre più a quegli scolaretti che vogliono fare i primi della classe, quelli che scrivono alla lavagna chi sono i buoni e chi i cattivi.
C’è una santa alleanza a questo riguardo: ci sono quelli che leggono la storia con categorie morali, ci sono quelli che hanno un accesso speciale all’inconscio (come ogni sacerdote, autorizzato alla rivelazione e unici che possono poi comunicarla agli altri), ci sono anche quelli che “bisogna combattere contro gli ortodossi, e gli ortodossi sono scimatici (anche questo c’è).
Al discorso critico, all’analisi delle forze storiche, al tentativo di decifrare i veri moventi della storia si è sostituito il catechismo moralista.
Moralista, ma immorale. Perché morale è la ragione che porta alla luce le cause e mira a rimuoverle.
Il moralismo non mira a questo, mira solo a esacerbare i conflitti, a produrre fanatismo: c’è un aggressore, morte all’aggressore.
Non ci si chiede: come è potuto succedere? Quali cause la hanno generato? Quali cause bisogna rimuovere per avere la pace, e una pace vera?
Questa cultura ci porterà alla devastazione. E’ una cultura incapace di assumere il punto di vista dell’altro, di cogliere come funzionano le culture, e dunque una cultura totalitaria, che rende impossibile il dialogo.
Entriamo in un mondo multipolare, e per entrarci dobbiamo lasciarci alle spalle questa cultura infantile, arretrata, priva di cultura storica, autocentrata.
VINCENZO COSTA
Vincenzo Costa è professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia (triennale) e Fenomenologia dell’esperienza (biennio magistrale). Ha scritto molti saggi in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo, apparsi in numerose riviste e libri collettanei. Ha pubblicato 20 volumi, editato e co-editato molte traduzioni e volumi collettivi. Il suo ultimo lavoro è Psicologia fenomenologica (Els, Brescia 2018).