Di Maio all’assalto di Conte: vede Belloni e Raggi, sente Appendino

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Paola Zanca
Fonte: Il Fatto Quotidiano

Di Maio all’assalto di Conte: vede Belloni e Raggi, sente Appendino

LA STRATEGIA – Il titolare della Farnesina a pranzo con il capo del Dis, poi parla con le due ex sindache. Il nodo del terzo mandato. Scanzi, Pasquino, De Masi: i pareri

Le telefonate, gli scatti, gli incontri: con un certo terrore nella voce, ai piani alti del Movimento si guardano le spalle: “Manca solo la foto con Grillo”. Luigi Di Maio ha scelto di rispondere così al capo politico che gli ha chiesto, ieri dal Fatto, “chiarimenti” sulle “gravi condotte” delle ultime settimane. “Non sono solo”, gli ha detto lui, senza lasciare nulla al caso: al mattino vede l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi, a pranzo la (fu) candidata al Colle Elisabetta Belloni, a sera telefona a Chiara Appendino, già prima cittadina di Torino.

La partita del Quirinale ha innescato la marcia dell’ottovolante su cui i 5Stelle erano seduti da un pezzo. E adesso che si viaggia senza cinture si fa perfino fatica a capire come tutto è cominciato. La storia della Belloni, per esempio. Come è possibile che la direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza “si sia prestata a questa operazione”? La domanda è sulla bocca di tutti e non è nemmeno così peregrina: è vero che lei e Di Maio hanno costruito un solido rapporto alla Farnesina e che lui l’arriva a chiamare “sorella”, ma è pur vero che la diplomatica che nei giorni in cui il suo nome rimbalzava sui giornali non ha mai fatto filtrare nemmeno uno spiffero, ora si fa beccare dal Foglio a tavola con il ministro degli Esteri, nel pieno della faida interna al partito, e decide di corredare l’incontro con un comunicato in cui si scomodano le parole “amicizia” e “lealtà”.

Se voleva dimostrare di non essere lui il traditore di Conte, come assist non è male. Ma l’ex capo politico decide di affondare il colpo. Incontra nel suo ufficio Virginia Raggi, che come lui fa parte – insieme a Roberto “Svizzera” Fico (così lo apostrofano per la proverbiale neutralità con cui affronta i guai interni) – del comitato dei Garanti, l’organo nominato da Beppe Grillo come contrappeso ai vertici del Movimento. E il marchio di Raggi nei 5Stelle è uno solo: popolarità nella base. Non è un caso, quindi, che Di Maio abbia voluto incontrarla proprio nel giorno in cui sui giornali finiva la minaccia di Conte di convocare un’assise degli attivisti in cui processare l’ex numero uno. Poi, a sera, la telefonata con Appendino, un altro pezzo da novanta dei 5Stelle, stimata da tutti.

Certo, gli incontri e le telefonate non significano in automatico che “le sindache” si siano schierate dalla parte di Di Maio, questo no. Ma è chiaro che quello di ieri è un uno/due che serve a galvanizzare le truppe anti-contiane e a smentire la narrazione dei fedelissimi dell’ex premier per cui Di Maio “non ha big” dalla sua. Mettici poi che Alessandro Di Battista, per qualche ora eroe dei contiani (aveva detto, sempre al Fatto, che Di Maio pensa più agli interessi suoi che alla salute del M5S), si è rimesso i panni del battitore libero, scrivendo su Facebook che lui no, a differenza di Conte, di Enrico Letta non si fida. Mentre Riccardo Fraccaro, accusato di tradimento per un incontro con Matteo Salvini prima dell’inizio del voto sul Quirinale, ieri ha individuato nella scelta di campo, quella con il centrosinistra, l’origine dei mali di cui soffre ora il Movimento.

Quello che a nessuno è ancora chiaro, però, è quale sia il punto di caduta di questa guerra. Nella tregua non ci crede praticamente nessuno, ma al momento non esiste un luogo fisico, e nemmeno virtuale, in cui inscenare la conta. Ci sono le sedi formali, quelle sì. A cominciare proprio dal comitato dei Garanti in cui siedono Di Maio e Raggi, oltre che Fico: da lì dovranno passare tutti i regolamenti ancora in attesa di essere varati e che avranno valore alla prossima tornata elettorale. Di deroghe alla regola dei due mandati non si è più saputo nulla, ma tutti immaginano che al massimo saranno poco più di una dozzina i “salvati” e che Di Maio, nella guerra con Conte, potrebbe far leva anche su questo malcontento. Si brancola nel buio. Inutile scervellarsi nelle interpretazioni del post che Beppe Grillo ha pubblicato ieri. È la prima volta che parla dopo lo scivolone sul tweet pro-Belloni di venerdì scorso. Riappare e parla di femori rotti: “Nessun animale – scrive citando l’antropologa Margaret Mead – sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo da permettere all’osso di guarire”. Chi è l’animale? Conte? Di Maio? Di chi è la gamba rotta? Il dubbio resta, fino alla prossima foto.

I PARERI

Metamorfosi Luigi ormai pare rumor, può fondare il partito dei poltronari

Conte ha accettato la leadership di un movimento morente, all’interno del quale Grillo e Di Maio lo detestano. Il problema, enorme, sta tutto lì. Letta è stato osceno su Belloni, ma l’alleanza con il centrosinistra rimane l’unica strada, a meno che Conte non voglia abbracciare il movimentismo à la Di Battista: lecito e per certi versi sensato, ma non ce lo vedo. Conte non può sempre inseguire Letta: dev’essere un’alleanza, non un’annessione. E se Letta non si libera dei renziani, che vada pure a sculacciare le rane con Marcucci e Guerini. Di Maio è bravo ragazzo e politico scaltro, ma odia Conte e ormai è più democristiano di Rumor. Vederlo celebrato da Brunetta, Casini, Nobili, De Benedetti, Boschi eccetera mette malinconia. Può varare in serenità un nuovo PDI (Poltronari Dorotei Incalliti), pieno di nuovi Churchill tipo Castelli e Carelli, ma non può esistere alcuna coabitazione tra Conte e Di Maio. Parafrasando De André: “Sono riusciti a cambiarti/ ci son riusciti lo sai”. Peccato.

Andrea Scanzi

Compromesso I duellanti dei 5s devono mediare e stare con Letta

Di Maio sfida Conte per ragioni che mi sfuggono, visto anche che dalla vita ha già avuto moltissimo. Forse c’entra la possibilità di restare in politica anche per un terzo mandato, ma a maggior ragione allora dovrebbe cooperare per la ristrutturazione del M5S, non tentare di impallinarlo. Per Conte è un problema, anche perché fare il leader di partito non è come governare e forse non è la cosa che gli riesce meglio. L’unica soluzione è la mediazione, devono raggiungere un accordo per convivere, magari distribuendosi i compiti a seconda delle qualità. In ogni caso non credo che per i 5S esista altra strada rispetto all’alleanza con il Pd. Conte fa molto bene a dire che si fida ancora di Letta, ma fa meno bene a fidarsi, nel senso che quando si tratta si deve essere sicuri di arrivare a un risultato che entrambi rispetteranno. Il problema non è Letta, ma il fatto che Letta debba fare i conti con 4 o 5 posizioni diverse nel Pd.

Gianfranco Pasquino

La base Se non si trovano intese, dovranno decidere gli iscritti

Per il bene del M5S e del Paese, la soluzione migliore per Conte sarebbe “imbrigliare” Di Maio, facendogli capire che in questo momento loro due sono parte di una sfida molto più grande: noi tra un anno rischiamo che la destra stravinca le elezioni e una rottura nel M5S sarebbe soltanto dannosa. La posta in gioco è altissima e c’è bisogno di un’alleanza forte tra Pd e M5S, anche se in molti continuano a non capirlo. E la destra si infila nelle spaccature dei 5 Stelle, trascinando Di Maio verso di sé. Se però Conte non riuscirà a condurre a più miti consigli il ministro degli Esteri, allora non vedo tanto alternative se non un aut aut in cui a decidere saranno gli iscritti del M5S. E credo che in quel caso la base starebbe con Conte, anche perché ormai Di Maio, che ho sempre ritenuto essere un politico capace, si comporta come un Renzi dentro al M5S.

Domenico De Masi

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