IN MEMORIA DI NOSTRA SORELLA ADELINA ADELUNA
Riporto, qui di seguito, il documento politico redatto da Rita Ricciardelli, una delle Ragazze di Avanguardia Femminista che, a nome del Collettivo tutto, cerca di fare chiarezza su uno degli ultimi accadimenti più inquietanti della recente cronaca. Un documento redatto con l’ intento di far riflettere, ponendosi delle domande su un recente “suicidio”, poco chiaro e poco limpido: quella di Adelina Adeluna (nome di battesimo: Alma Sejdini).
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Siamo sconvolte per la morte della nostra sorella Adelina che, con immensa sofferenza e disperazione, sembra abbia deciso di togliersi la vita. Conoscevo personalmente Adelina e la sua storia, quella di una guerriera piena di vita, che ha dato tanto al movimento femminista abolizionista. Non si può non ricordare quanto si sia immolata per combattere lo sfruttamento sessuale, la violenza stupratoria della prostituzione: lo stupro a pagamento. Rapita in Albania nel 1996, all’età di 22 anni, fu deportata in Italia con lo scopo di prostituirla in strada. Le hanno inferto, nel modo più sadico di cui sono capaci gli uomini, le più atroci torture: ferite, botte, stupri, per renderla docile, mansueta, per annichilirla. Per tutta risposta, Adelina non ha solo fatto arrestare i suoi aguzzini: è diventata preziosa per le forze dell’ordine, partecipando a diverse operazioni, tra cui l’operazione “Caronte” e facendo così arrestare numerosi sfruttatori e prostitutori di ragazze spesso minorenni. È stata di aiuto per tante ragazze, sia prima che dopo le retate poiché riusciva a parlare con loro. Con la sua tenacia ha votato la sua esistenza alla lotta per tutte le donne messe in strada per mano della criminalità organizzata, ha rischiato ritorsioni e spesso ha ricevuto minacce, come tutte le sopravvissute alla violenza patriarcale che decidono di parlare, di farsi testimoni d’acciaio. Adelina ha avuto coscienza dell’inferno che gli uomini infliggono alle donne nella prostituzione. Con lei abbiamo capito che, quando tocchi con mano quello che gli uomini possono fare al tuo corpo vivo, si fa pietra e dall’interno pietrifica a sua volta tutto ciò che tocca. È difficile estirparlo da dentro. È come immagino sia sopravvivere ai campi di concentramento: diventa quasi impossibile convivere con l’indifferenza della gente. Ti prende una malattia! Credo che lei questo dolore immenso lo abbia somatizzato. Si è ammalata di cancro e così ha dovuto recentemente combattere l’ennesima battaglia con se stessa. Sì, perché la prima regola è “prendersi cura il più possibile di sé”. Personalmente credo che la vita sia stata spropositatamente ingiusta con lei, che – tra l’altro – si fidava, si affidava. Era credente. Faceva parte di quelle persone che, in senso cristiano, si definiscono “i giusti” della terra. Non sappiamo esprimerci su quel sistema intimo di fede, ma attraverso le tessiture umane e concrete che ci ha donato sentiamo di dovere persino. Ricordo non solo, come già detto, quando fece arrestare trafficanti di esseri umani e prostitutori partecipando ad operazioni di polizia difficili e che richiedevano la sua azione sul campo come infiltrata, di nuovo sulla strada. Ma voglio soprattutto ricordare che Adelina, pur di salvare le altre donne, decise di affrontare di nuovo il suo trauma, fiera e dignitosa. Penso a quando, sfidando le sue condizioni fisiche, cercò di convincerci a fare lo sciopero della fame davanti a Montecitorio, nonostante il suo fisico fosse debilitato e prima che la malattia la mettesse nuovamente alla prova. Adelina portava sul viso dipinta la bandiera italiana, quando protestava contro la violenza della prostituzione, era una patriota, amante delle istituzioni, quelle stesse istituzioni che l’hanno tradita. Non aveva paura della morte, è vero, aveva anche minacciato di togliersela perché voleva risvegliare le coscienze, andarsene però così, giù da un ponte in una notte piovosa, ci fa naufragare con lei. Le circostanze della sua morte sono inquietanti, non credo si indagherà mai davvero, e non credo sarebbe abbastanza per scagionare i colpevoli. Adelina non è stata uccisa dalla marginalità nonostante l’abbia vissuta per tutta la sua vita, non è stata uccisa dal cancro al seno nonostante abbia attraversato un calvario. Adelina è stata uccisa da uomini torturatori e terroristi, uomini violenti che l’hanno brutalizzata quando arrivò in Italia, è stata uccisa da uno stato patriarcale che si è preso tutto da lei, la vita, la giovinezza, l’impegno sociale e politico che ha investito la sua lotta, una volta uscita dallo sfruttamento sessuale, trattandola come un rifiuto e negandole il permesso di soggiorno a tempo indeterminato o la cittadinanza che le spettava per motivi umanitari e per alti meriti sociali e per aver collaborato con la giustizia a servizio dello stato e delle forze dell’ordine che lei stessa chiamava: “i suoi angeli”. Uno stato che tutela maschi collaboratori di giustizia e invece mette questa eroina in condizioni di fare la questua per la avere la cittadinanza (Adelina si rivolse anche al Presidente della Repubblica) invece di darle una medaglia al valore: é uno Stato morto, trainato da governanti incompetenti, ciechi e pronti a tutto per un pugno di voti. Scriveva questo nostra sorella: “Questo mio caso di cittadinanza sarà la mia tomba! Mi domando come è possibile che ai terroristi di Merano lo Stato dava i benefici e a me, che sono la legalità in persona, non sanno più cosa scrivere sui miei documenti. […] L’unica cosa che sanno dirmi è ‘Adelina stai tranquilla che poi risolviamo’ e intanto siamo sempre punto e a capo. È terribile, amici miei, se mi succede qualcosa 🙁 mi sanno dire solo ‘brava’ ma i soldati da soli quanto possono durare?”. L’affronto più terribile, dopo tanti anni a servizio dello stato italiano, l’ha subito poco prima della sua morte. Adelina nel ritirare i suoi documenti si rese conto che le avevano attribuito la cittadinanza albanese, cittadinanza che lei aveva sempre rifiutato, avendo vissuto da sempre in Italia. Adelina non poteva tornare in Albania, era in pericolo, contribuì ad operazioni che avevano portato all’arresto di numerosi appartenenti alla criminalità organizzata. Ricordo che usava spessissimo la parola “dignità”. Riteneva questo valore più importante della vita stessa e comunque imprescindibile nella lotta. Adelina viveva fuori da sé, per le altre donne, non viveva per lei, viveva per la lotta alla prostituzione, il suo unico scopo di vita. Quando ha capito che i suoi sforzi a servizio dello Stato erano vani perché lo stato le negava la cittadinanza che le avrebbe consentito tra l’altro le cure gratuite e l’assegno di invalidità (Adelina era invalida al 100%), non ha trovato altra ragione di vita. Per questo siamo determinate a sapere la verità sulla sua morte, e soprattutto a continuare la sua battaglia, anche se abbiamo un’eredità complicata da gestire. Ma noi sappiamo, siamo tante, siamo il femminismo vivente, custodiamo la fiaccola, non lasceremo che falsi profeti per bocca delle loro vestali conducano le donne alla totale sofferenza e alla disumanizzazione. Pertanto, non possiamo che augurare alla nostra adorata Alma – era il suo nome di battesimo – il paradiso in cui lei credeva, mentre le promettiamo di farci eredi della lotta che lei ha difeso con la sua esistenza tutta: ovunque tu sia, guardaci.
QUE EL FEMINISMO SERÁ ABOLICIONISTA O NO SERÁ!
Rita Ricciardelli, una delle ragazze di Avanguardia Femminista e il Collettivo tutto.